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Nel suo primo editoriale sul Giornale (8/9) Alessandro Sallusti, che è sempre meglio di Augusto Minzolini perché non specula sulle carte di credito ed è anche più simpatico, accusa la sinistra di aver favorito la globalizzazione senza rendersi conto delle conseguenze. Non è così. In un Wto del 1998 Bill Clinton, che certamente non è di sinistra, disse che non si poteva opporsi alla globalizzazione perché non è un fatto politico, è un fatto. E Fidel Castro (c’era ancora il vecchio Fidel, che nostalgia) disse che opporsi alla globalizzazione era come opporsi alla legge di gravità. Avevano ragione e torto entrambi. Se noi mettiamo al centro l’Economia e la Tecnologia è chiaro che tutto il sistema si ordinerà di conseguenza. Se mettiamo al centro del sistema uno spillo tutto verrà organizzato attorno allo spillo. Al centro del sistema dovrebbe essere rimesso l’uomo, dando all’Economia e soprattutto alla Tecnologia il ruolo marginale che avevano avuto prima del take off industriale. Facile a dirsi, quasi impossibile a farsi. Attualmente solo Papa Francesco insiste sulla centralità dell’uomo.

È ovvio che la tecnologia è sempre esistita. Nel delizioso racconto di Umberto Eco, intitolato La Cosa, il professor Ka presenta ad un grande generale, che gli aveva commissionato un arma per uccidere i nemici, una pietra. Il generale, che era già molto impaziente perché era cinque anni che aspettava, dice: “Ma questa è solo una pietra”. “Vi sbagliate” replica Ka. “Guardatelo bene è un sasso con una punta aguzza che può frantumare la roccia, spezzare una noce di cocco e quindi anche uccidere i nemici” e questa, già all’origine del mondo, è tecnologia. Nel corso degli anni, dei decenni, dei secoli, la tecnologia prenderà decisamente il sopravvento prevalendo su tutto ciò che è umano. È vero che individualmente  si può fare della tecnologia un uso euristico e intelligente, ma a livello di massa si è sempre dimostrata impoverente. Lo vediamo nei nostri ragazzi letteralmente uccisi dall’uso compulsivo degli smartphone.

Ma veniamo ad un argomento altrettanto attuale: la guerra. All’inizio c’era il corpo a corpo dove gli uomini mostravano la propria valentia guerriera. Poi verrà la scoperta della polvere da sparo (che i cinesi, il popolo a mio avviso più intelligente della terra, usarono solo per i fuochi d’artificio) e il fucile. Il combattimento avviene a distanza. In un bellissimo film di Ermanno Olmi, il mestiere delle armi, c’è Giovanni dalle Bande Nere, un Medici, che è un grande guerriero. Esce in battaglia convinto che con il proprio valore sconfiggerà i nemici. Ma basterà un colpo di fucile per metterlo fuorigioco. Per un certo periodo i cavalieri, cioè coloro che erano addestrati al mestiere delle armi e avevano l’obbligo di difendere il territorio, si opposero al fucile considerandolo un arma sleale. Naturalmente persero la partita. Adesso siamo arrivati ai droni senza pilota, ai droni subacquei, ai droni kamikaze che tolgono ogni epica e anche ogni etica alla guerra dove gli uomini, a parte qualche eccezione, compaiono solo come vittime impotenti (chiamare kamikaze un drone è offendere i kamikaze giapponesi che col loro aereo si gettavano sulle navi nemiche, cioè si implicavano personalmente, un po’ come gli ISIS che seminano morte in cambio della propria). La stessa cosa, sia pure con qualche modifica, si è avuta nella recente guerra degli occidentali all’Afghanistan. I Talebani avevano i fucili e qualche ordigno improvvisato (ied), ma gli americani utilizzavano i B52 che volano a diecimila metri d’altezza e sono quindi irraggiungibili, lo stesso vale per i caccia. Questo provocava il disprezzo non solo dei Talebani ma anche degli afgani in generale abituati a vedere almeno il nemico in faccia. In guerra la particolare legittimità di uccidere, esclusa in tempo di pace, è data dal fatto che si può altrettanto legittimamente essere uccisi. Se uno solo può colpire e l’altro solo subire si esce dall’ambito della guerra e si entra in quello dell’assassinio. Obama, preceduto dai Righeira, aveva teorizzato di far combattere solo dei robot. Ma il combattente che non combatte perde ogni legittimità e ogni dignità.

Il Fatto Quotidiano, 19.09.2023

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Botero è stato un grandissimo artista poco capito o equivocato. Ho avuto il piacere di conoscerlo a Pietrasanta dove passava le sue estati e di chiacchierare a lungo con lui.

M.F.

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La premier Giorgia Meloni ha affermato che il superbonus edilizio, così come altri bonus, è stato scritto così male da rivelarsi alla fine un danno per lo Stato quantificabile in circa 12 miliardi. C’è da crederle? Molti segnali non sono incoraggianti, l’Unione europea ipotizza che il pacchetto bonus debba essere rifinanziato per 4 miliardi mentre il sottosegretario all’Economia Federico Freni afferma che il bonus sarà portato dal 110 percento al 70, inoltre non è una buona notizia quella data da Mario Sensini sul Corriere secondo il quale i crediti da bonus sono di fatto diventati inesigibili. Dice sempre a Sensini un General contractor: “Non mi rimetterei mai e poi mai in un business come questo”.

Io non so, non me ne intendo, fra questi algoritmi finanziari mi perdo. Non so se dar ragione a Meloni e ai detrattori del bonus o a chi, a sinistra, afferma che il bonus è stato, ed è, importante per l’economia italiana. Quello che mi par certo è che il superbonus, come altri provvedimenti lodevoli dei Cinque Stelle è stato scritto e, ciò che è peggio, impostato male.

Non ho capito nemmeno quali fossero gli obiettivi del superbonus, probabilmente, penso, attivare l’edilizia che è il volano dell’economia. Ma se l’obiettivo era anche questo, forse era meglio costruire delle nuove carceri al posto, poniamo, del fatiscente San Vittore, coltura di suicidi a ripetizione (“la via Filangeri è un gran serraglio. La bestia più feroce è il commissario”, Nanni Svampa in Porta Romana).

Comunque fin qui sono andato a spanne. Ciò che è certo è che il superbonus, per un molto ipotetico vantaggio futuro, ha rovinato quelli che presumibilmente sono gli ultimi tempi della mia vita. Per più di un anno, e ancora oggi, sono abbottegato nel famigerato ‘cappotto’ perdendo luce, aria, sole. E riservatezza. Gli operai arrampicati in modo pericoloso sulle impalcature mi guardano in casa anche quando sono in mutande. Per avere un po’ di privacy devo rifugiarmi al cesso come il Francesco Guccini di un’altra canzone famosa. Poi c’è la questione dei condizionatori spazzati via dai balconi per le esigenze dei lavori. Per cui quest’estate, la più calda di tutti i tempi a giudizio unanime, l’ho dovuta passare senza aria condizionata.. Non so se questo sia successo per tutti gli altri condomini interessati al superbonus, ciò che è sicuro è che la nostra Amministrazione e l’appaltatore hanno completamente sbagliato i tempi facendo coincidere una parte notevole dei lavori con la stagione estiva in una città come Milano che a luglio e agosto è notoriamente un forno. Forse i miei condomini, che non conosco (altro segnale della solitudine di una città dove un tempo ci si conosceva tutti, non dico nel condominio ma nel quartiere) si sono salvati andando in qualche loro casa ai mari o ai monti oppure lavorando in ditta dove l’aria condizionata c’era. Io purtroppo lavoro in casa e tremo al pensiero che Caronte o Nerone (sempre diffamato) rimontino dalle terre del Sahara dove però il caldo è più sopportabile perché asciutto (il meccanismo è più o meno questo: l’aria calda parte dal Sahara, sorvolando l’Italia si scalda – l’effetto föhn – e ristagnando o ritornando indietro si scalda ancora di più).

Poi c’è la questione della sicurezza o, per meglio dire, dell’insicurezza. Poiché le impalcature sono a livello finestra chi può garantire che qualcuno non entri di soppiatto, soprattutto di notte, approfittando del buio? L’Amministrazione e la prestigiosa ditta appaltatrice assicurano che c’è un sistema di allarme. Per la verità l’anno scorso – perché questo tormento dura da più di un anno – ho fatto camminare un mio amico fidato e sufficientemente acrobatico sulle impalcature e non c’è stato nessun segnale d’allarme. Ciò comporta due cose. Che di notte tu debba tenere la luce accesa per far capire agli eventuali malandrini che c’è qualcuno in casa. Che tu debba chiudere le finestre, rinunciando anche a quel poco di frescura che ti può dare la notte (parlo naturalmente dell’epopea di Caronte e Nerone). L’altra notte mi sono svegliato urlando perché mi sembrava che qualcuno mi strangolasse. E l’urlo non era nel sogno, l’urlo l’ho cacciato al momento del risveglio. Una specie di sogno nel sogno, una sorta di “doppio sogno” per dirla con Schnitzler.

Ci dicono poi che uno degli obiettivi del superbonus è il risparmio energetico. Ma dovendo stare gran parte della giornata al buio, a causa delle impalcature ma anche di uno sciagurato telo pubblicitario che i miei condomini, quelli con le ville al mare o ai monti, perché si tratta di una media borghesia ben pasciuta ma avidissima di denari, o forse avida di denari proprio perché pasciuta, ho dovuto vivere con la luce perennemente accesa. Il risparmio energetico ci sarà, dicono, nel futuro, ma a me, alla mia età, del futuro non importa un cazzo.

Ci sono poi alcuni inconvenienti minori. Quando esco di casa le impalcature impediscono la visuale mia e dei ciclisti per cui devi muoverti con una prudenza da plantigrado perché ci vuole poco che quelli, arrivando ad una velocità da Filippo Ganna perché la pista ciclabile pare non conosca limiti, ti fracassino le ossa. E cadere, alla mia età, significa frantumarsi il femore e quindi l’avvio verso il mondo dei più. Quando andavo in bicicletta io, noi eravamo le vittime preferite degli automobilisti, adesso i ciclisti, come ci dicono le cronache, sono allo stesso tempo vittime e carnefici.

Probabilmente se avessi vent’anni sopporterei tutto questo molto meglio, anzi mi divertirei con il monopattino a fare uno sterminio di vecchietti per la felicità di Marco Travaglio che ha il sospetto che io voglia il genocidio degli anziani. Ma vent’anni non ne ho più anche se gli istinti omicidi sono rimasti gli stessi e mi tocca la parte della vittima.

Ma, dicono, in futuro avrai grandi vantaggi dall’ecobonus perché la tua casa si rivaluterà ed entrerà in non so quale categoria. Intanto si tratta di capire quanto futuro. Parlavo oggi pomeriggio con due tecnici italiani, molto simpatici, che stavano lavorando sul balcone facendo un fracasso terribile (già, il rumore, me ne ero dimenticato) e gli ho chiesto quando sarebbe finita questa storia. “Non lo sappiamo” hanno risposto. “Dopo di noi devono lavorare gli idraulici, i saldatori, gli elettricisti e finalmente quelli che le metteranno il motore del condizionatore”, diciamo all’incirca, vista la speditezza con cui vanno questi lavori, due o tre anni. Ma fra due o tre anni io sarò morto. Sperabilmente. Perché il morto è l’unica persona veramente libera. Nessuno gli può più rompere i coglioni.

Molti lettori diranno che a ottant’anni (quasi) mi sono bevuto il cervello e so esprimermi solo per canzonette. È probabile, gli ottanta sono un’età limite, non per nulla Jannacci, e quindi do subito fiato ai miei detrattori, del quale alla festa del Fatto si sono onorati i dieci anni dalla morte, ne La forza dell’amore canta “gh’era el me zio/ ch’el tampinava/ ona filovia/ è appena uscito/ dal neurodeliri/ e gh’ha/ e gh’ha vottant’ann”.

Il Fatto Quotidiano, 14 settembre 2023