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Sky cade a vite come un aereo cui sia stata impallinata un’ala. Il giorno in cui sono iniziati gli scontri in Kosovo è riuscita a dare la notizia, che era oggettivamente la principale, fra le ultime facendola commentare da una tipa che ha detto che l’aggressione americana alla Serbia del 1999 aveva la copertura dell’ONU. E’ vero il contrario.

Hanno ripreso visibilità mezze carampane che sono arrivate a Sky per dono del Signore.

Io sono abbonato a Sky dal 2003 cioè dall’anno in cui, Murdoch imperante, il network mise piede in Italia. Avendo quindi quasi vent’anni di abbonamento sono un socio ‘benemerito’. Sarei tentato di filarmela se Sky non avesse un’offerta calcistica quasi sterminata, anche se con alcune trappole per cui la miglior partita di Champions finisce su Amazon prime.

m.f

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“Io sono d’un altra razza: son bombarolo” (Il Bombarolo, De André)

L’Irlanda ha varato una legge per cui è obbligatorio che sulle etichette delle bottiglie di vino, birra, sidro e distillati sia scritto “bere alcol causa malattie del fegato”. Curioso perché gli irlandesi sono dei forti bevitori (Irish coffee) ma forse è proprio per questo che il governo gli ha voluti ammonire. Tentativo senza speranza. Ci sono paesi in cui gli abitanti, per cultura e a volte anche per latitudine geografica non vogliono e nemmeno possono rinunciare agli alcolici. La Russia, che per sua fortuna non fa parte della Ue ma può costituire un buon esempio. Gorbaciov quando salì al potere, invece di occuparsi della posizione totalmente subordinata che la Russia aveva assunto nei confronti degli Stati Uniti, pensò bene di muovere guerra all’alcol. In quel caso la vodka perché come il serbo è serbo, la vodka è russa. Emise quindi dei diktat per cui nei ristoranti non poteva essere servita vodka prima delle due e negli spacci non poteva essere venduta che per due ore, mi pare di ricordare dalle due alle quattro del pomeriggio. Risultato: fino alle due nei ristoranti non c’era nessuno e intorno agli spacci si snodavano file interminabili che si attorcigliavano, per isolati, intorno ai brutti grattacieli di Mosca. Quando uno riusciva a mettere le mani sulle tre bottiglie di vodka concesse uscendo le spartiva con gli amici in trepida attesa e tutti poi andavano a ubriacarsi nel primo giardinetto disponibile. Nei primi anni Venti ci aveva provato anche Trotzky che certo non andava per il sottile (la sanguinosa repressione dei marinai anarchici di Kronštadt) ma nemmeno lui aveva cavato un ragno dal buco. Il vero Zar della Russia non è Putin è la vodka (Moskovskaya, le altre, alcune addirittura americane, sono una truffa).

In Italia mettere quel tipo di etichette al vino è semplicemente ridicolo. Da noi il vino è una cultura da tempo immemorabile, mi pare che anche Nerone ne bevesse, naturalmente in tazze di mirrina, una specie di ceramica delicata e profumata che si faceva venire dall’Oriente, noblesse oblige. E nessuno oserebbe dire a un friulano che appena alzati non è bene farsi un bicchiere di grappa (stessa gradazione della vodka ma ad essa gerarchicamente sottoposta per motivi di nobiltà di lignaggio).

A gennaio di quest’anno il sindaco di Milano Giuseppe Sala aveva proibito con un suo diktat l’uso delle sigarette elettroniche anche all’aperto, in particolare nei parchi e alle fermate dei tram. Nei parchi era soprattutto per tutelare le donne incinte, se non c’erano donne incinte si poteva fumare la famigerata sigaretta. Quindi uno avrebbe dovuto andare nei parchi e tastare il ventre delle donne (buon pretesto peraltro) per assicurarsi che non erano incinte.

Peccato. Sala aveva cominciato bene riuscendo a far celebrare l’Expo e, per far questo, aveva anche sorvolato su alcune norme burocratiche per cui è stato messo sotto accusa. Ma se si fossero rispettate quelle norme l’Expo non si sarebbe fatta con un danno d’immagine per l’Italia incalcolabile. L’Expo ha fatto da traino all’economia turistico-alberghiera. Mentre prima di stranieri venivano a Milano solo per business, un giorno o due e poi via, adesso vengono anche, e molto di più, per turismo accorgendosi che Milano pur non essendo spettacolare come Roma (la crono del Giro d’Italia attorno al Colosseo ne ha dato, semmai ce ne fosse stato bisogno, una ulteriore dimostrazione) ha bellezze più nascoste e quindi più intriganti, come più intrigante è una donna interamente vestita di una che scula in tanga.

Ma Sala nella sua smania di “modernizzazione” per cui Milano deve avere grattacieli almeno pari a quelli di Abu Dhabi (ma là ci sono almeno dei cammelli) ha finito per portare a compimento l’espulsione dei ceti popolari dalla città, in atto da anni. E una città spopolata diventa pericolosa perché manca il controllo sociale. Milano la notte è deserta in rapporto alla sua popolazione virtuale (virtuale perché mi pare che ogni giorno vi entrino un milione e duecentomila pendolari provenienti dallo sconsolato e terrificante hinterland). Roma, al contrario, è popolata tutta la notte. Succede così che la stazione Centrale, che pur è molto vicina al centro, sia diventata uno dei luoghi più pericolosi della città.

Ma torniamo sui vaneggiamenti della proibizione degli alcolici che possono far contento solo il direttore di questo giornale. Adesso i vaneggiamenti di Sala sono stati ripresi dal governo che, oltre a tutto ciò che già ci vieta, vuole proibire il fumo in ogni sua forma. Nella libera democrazia siamo circondati da divieti, divieti comunali, divieti regionali, divieti statali, divieti della Commissione europea, insomma è lo Stato (“il più freddo di tutti mostri” come lo definiva Nietzsche) il padrone delle nostre vite.

Per quanto riguarda la salute il leitmotiv è sempre lo stesso: bisogna allungare la vita dei cittadini. Non si accetta più che si possa invecchiare e morire. Per cancellare l’invecchiamento (la morte proprio non si può) sono stati inventati trapezismi linguistici come la “quarta età”. Per me la “quarta età” inizia quando uno comincia ad avere difficoltà a mettersi le mutande, e uno che ha difficoltà a mettersi le mutande, secondo il mio personalissimo cartellino, non è più degno di vivere.

Adesso ci giungono notizie che sono allo stesso tempo positive e negative. La positiva è che si potrebbe fare baldoria fino ai cinquant’anni, la negativa è che se si vogliono raggiungere i cento bisogna mettersi in regola. Quali sarebbero queste regole?  Ce lo dice su Il Giornale una certa Valeria Braghieri, una che voleva diventare Natalia Aspesi ma è rimasta Valeria Braghieri, rifacendosi a ricerche di imprecisati scienziati, ricerche che non hanno alla base nessuna “evidenza scientifica”, ma abbiamo preso  –ed era l’ora- a dubitare delle “evidenze scientifiche” dall’epoca del Covid quando ognuno degli immunologi, epidemiologi, virologi si basava su “evidenze scientifiche” tutte diverse. Ma vediamo queste norme di buona condotta ex Valeria Braghieri. Ci sono innanzitutto le noci perché chi ne consuma a valanga avrebbe un tasso di mortalità del 20 percento più basso rispetto a chi non ne mangia, ma pare che il vero miracolo venga dal caffè che mette al riparo da demenza e Parkinson. Vietatissimi sono i formaggi che vanno sostituiti con una tazza di cavolo cotto. E naturalmente bisogna andare a letto con le galline cioè non avere una vita notturna.

Insomma è la solita solfa, è quello che ho chiamato il “terrorismo diagnostico”. E’ ovvio che vivere ci fa morire. Ma rinunciare a vivere per potersi ingozzare a cent’anni di noci non mi pare una buona cosa.

Io poi, per dirla con De André, sono proprio di un’altra razza (parola proibita, dovrebbe essere sostituita con etnia anche se vuol dire la stessa, stessissima cosa). Sono per lo sterminio dei vecchi. Perché plotoni di vecchi pesano sulle giovani generazioni, già impegnate a stare alla larga dalla marmellata. Penso che sia indecente vivere oltre una certa età. Il Covid poteva essere una buona occasione ma l’abbiamo mancata.

Il Fatto Quotidiano, 2 giugno 2023

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Ad ottobre ho pubblicato sul Fatto un articolo intitolato “in Jugoslavia riesploderà la polveriera”. Sono stato facile profeta. A sei mesi di distanza ad innescare delle polveri che aspettavano solo di prendere fuoco sono stati stolidamente i kosovari. Lo scorso aprile c’erano state nel nord del Kosovo, nazione mai riconosciuta dalla Serbia e da altri 91 stati del mondo fra cui la Russia, elezioni comunali nei paesi di Leposavic, Zubin, Potok e Zvecan. Non riconoscendo il Kosovo i serbi della regione avevano disertato le urne tanto che al voto era andato solo il 3% della popolazione. Il che voleva semplicemente dire che in quella regione del Paese il 97% della popolazione era serba e solo il 3% kosovara/albanese ma il governo fantoccio di Pristina, lo definisco tale perché stato imposto dagli americani dopo l’illegittima aggressione alla Serbia del 1999 (l’Onu si era detta esplicitamente contraria) ha voluto ugualmente insediare i sindaci. Da qui sono nati scontri furibondi fra i serbi e l’esercito “regolare” di Pristina con un bilancio di numerosi feriti da entrambe le parti che è ancora da definire. Ieri, a fare le spese del nuovo incendio, sono state le truppe della forza Nato in Kosovo, con il ferimento di 41 militari, di cui 11 sono alpini italiani.

Dubito molto che i serbi si fermeranno qui. Se solo la guerra in Ucraina dovesse volgere a favore della Russia i serbi che sono storicamente alleati dei russi per ragioni che non sono solo politiche ma anche culturali ed etniche (sono entrambi popoli slavi e Jugoslavia sta a designare letteralmente gli “slavi del sud”) potrebbero non esitare a togliersi quella dolorosa spina nel cuore rappresentata dal Kosovo che è considerato storicamente “la culla della Nazione serba”. L’atteggiamento del campione serbo Djokovic (“il Kosovo è serbo e rimarrà per sempre serbo”) che oltre ad essere un grande tennista e persona educatissima e un uomo di grande cultura, che non ha nei suoi geni la ferocia di quasi tutti i suoi connazionali che sono per questo considerati, sul terreno, i migliori combattenti del mondo (vedi Maledetta Sarajevo di Francesco Battistini e Marzio Mian che tratta della guerra nella ex Jugoslavia combattuta con belluini corpo a corpo e non a forza di missili e droni) non lascia adito a dubbi.

Mutato il quadro geopolitico mondiale potrebbe entrare in gioco anche la Cina di cui nei bombardamenti del 1999 su Belgrado gli americani riuscirono a colpire, nel loro consueto ‘a chi cojo cojo’, l’ambasciata. Non a caso qualche mese fa la Cina ha fornito alla Serbia sei aerei militari Y-20 da trasporto strategico. Questa fornitura è avvenuta alla luce del sole, ma è molto probabile che altre armi siano state fornite dai cinesi alla Serbia e che altre ancora potrebbero arrivarne in seguito.

L’ordine in Kosovo/Serbia è mantenuto ora dalla Nato, ma la Nato è impegnata su un’infinità di fronti molto più interessanti per gli Stati Uniti e potrebbe sganciarsi dallo scacchiere balcanico che non gli da alcuna utilità concreta e nello stesso tempo è una spina nel fianco per l’Unione europea e in particolare per l’Italia perché nei Balcani oggi, dopo la guerra del 1999, predomina la componente islamica con annesse cellule ISIS che, a un centinaio di chilometri da noi, sono pronte a colpire appena se ne presenti l’occasione.

Ma la questione Kosovo è solo un assaggio. Presto, io credo, esploderà la Bosnia, uno stato inesistente e mai esistito, tenuto insieme con lo sputo, vale a dire ancora dalla NATO e con una forza europea, chiamiamola così, sul campo, con presidente un islamico e dove i serbi sono ridotti ad un enclave. Credo che i serbi di Bosnia o muoveranno guerra ai croati di Bosnia e agli islamici di Bosnia o più probabilmente si uniranno alla contigua Serbia.

I Balcani sono stati storicamente l’autentica polveriera d’Europa, l’Ucraina, in fondo, è solo un incidente di percorso.

Il Fatto Quotidiano, 30 maggio 2023