0
0
0
s2sdefault
powered by social2s

Giovedì 4 marzo a Piazza Pulita su La7, ore 21.15, intervento su Movimento 5Stelle

0
0
0
s2sdefault
powered by social2s

Combattenti di terra, di mare e dell'aria. Camicie nere della rivoluzione e delle legioni. Uomini e donne d'Italia, dell'Impero e del regno d'Albania: ascoltate… Un'ora segnata dal destino batte nel cielo della nostra patria (boato). L'ora delle decisioni irrevocabili. La dichiarazione di guerra è già stata consegnata agli ambasciatori di Gran Bretagna e di Francia (boato, fischi). Scendiamo in campo contro le democrazie plutocratiche e reazionarie dell'Occidente, che, in ogni tempo, hanno ostacolato la marcia e spesso insidiato l'esistenza medesima del popolo italiano. Alcuni lustri della storia più recente si possono riassumere in queste frasi: promesse, minacce, ricatti e, alla fine, quale coronamento dell'edificio, l'ignobile assedio societario di 52 stati (boato, fischi). La nostra coscienza è assolutamente tranquilla. Con voi il mondo intero è testimone che l'Italia del Littorio ha fatto quanto era umanamente possibile per evitare la tormenta che sconvolge l'Europa. Ma tutto fu vano (duce! duce! duce!). Bastava rivedere i trattati per adeguarli alle mutevoli esigenze della vita delle nazioni e non considerarli intangibili per l'eternità (…) bastava non respingere la proposta che il Fuhrer fece il 6 ottobre dell'anno scorso, dopo finita la campagna di Polonia (Hitler! Hitler! Hitler!). Oramai tutto ciò appartiene al passato. Se noi oggi siamo decisi ad affrontare i rischi ed i sacrifici di una guerra, gli è che l'onore, gli interessi, l'avvenire fermamente lo impongono, poiché un grande popolo è veramente tale se considera sacri i suoi impegni e se non evade dalle prove supreme che determinano il corso della storia (duce! duce! duce!). Noi impugniamo le armi per risolvere, dopo il problema delle nostre frontiere continentali, il problema delle nostre frontiere marittime. Noi vogliamo spezzare le catene di ordine territoriale e militare che ci soffocano nel nostro mare, poiché un popolo di 45 milioni di anime non è veramente libero se non ha libero accesso all'Oceano (duce! duce! duce!). Questa lotta gigantesca non è che una fase dello sviluppo logico della nostra rivoluzione. È la lotta dei popoli poveri e numerosi di braccia contro gli affamatori che detengono ferocemente il monopolio di tutte le ricchezze e di tutto l'oro della terra. È la lotta dei popoli fecondi e giovani contro i popoli isteriliti e volgenti al tramonto. È la lotta tra due secoli e due idee. Italiani! In una memorabile adunata, quella di Berlino, io dissi che, secondo le leggi della morale fascista, quando si ha un amico si marcia con lui sino in fondo. Questo abbiamo fatto e faremo con la Germania, col suo popolo, con le sue vittoriose Forze armate. (…) Salutiamo alla voce il Fuhrer, il capo della grande Germania alleata (Hitler! Hitler! Hitler!). L'Italia, proletaria e fascista, è per la terza volta in piedi, forte, fiera e compatta come non mai. La parola d'ordine è una sola, categorica e impegnativa per tutti. Essa già trasvola ed accende i cuori dalle Alpi all'Oceano Indiano: vincere! E vinceremo (boato, delirio).

Questo è il testo integrale, o quasi, del discorso col quale il 10 giugno 1940, da Palazzo Venezia, Benito Mussolini annunciava al popolo italiano che il nostro Paese entrava in guerra contro le “democrazie plutocratiche e reazionarie dell’Occidente”. Dovrebbe essere integrato dal sonoro che restituisce il timbro, la retorica, la potenza della voce del Duce (maiuscolo o minuscolo? dipende dai tempi) e soprattutto l’impressionante sottofondo. Credo che pochi italiani lo conoscano, se non per sentito dire, dopo che il fascismo, e tutto ciò che lo contorna, è stato bollato come “Male assoluto”, secondo in questa nera classifica, almeno nell’Europa continentale, solo al nazionalsocialismo. Lo ripropongo non per sbeffeggiare e vilipendere gli italiani illusi, entusiasti e atrocemente ingannati di ieri che poi non sono che, nella stragrande maggioranza, a seconda dell’età, i padri e i nonni degli italiani di oggi. Lo ripropongo per chiedere agli italiani di oggi se si credono sul serio eticamente superiori agli italiani di ieri solo perché “democratici e antifascisti” (durante il similsinistrismo degli anni ‘70 era obbligatorio aggiungere “laici”).

Le Democrazie sono, storicamente e statisticamente, i sistemi politici più corrotti del mondo, più delle dittature, delle autocrazie, delle teocrazie. E si comprende facilmente il perché: le varie fazioni politiche, in perenne conflitto fra di loro per procacciarsi il consenso, ricorrono molto spesso, per non dire quasi sempre, ad atti illeciti. Quella italiana, almeno in Europa, è la più corrotta di tutte, più che in Germania, più che in Spagna, più dei pur corrottissimi cugini francesi. Pervertiti sono i suoi meccanismi istituzionali a uso e consumo delle varie autocrazie, economiche e politiche. Corrotti sono i partiti, poco più che delle associazioni mafiose che proteggono, a scapito di pochi cittadini liberi, gli amici e gli “amici degli amici”. Corrotto il larga misura è il Parlamento dove siedono centinaia di inquisiti e anche condannati per reati di diritto comune e personaggi di un tale squallore che ci si chiede perché mai siano lì a rappresentare la più prestigiosa Istituzione della Repubblica. Scrive Alexis de Tocqueville in La democrazia in America: “Al mio arrivo negli Stati Uniti fui molto sorpreso scoprendo fino a  qual punto il merito fosse comune fra i governati e come fosse scarso nei governanti” e aggiunge “Nella democrazia i semplici cittadini vedono un uomo uscire dalle loro file e giungere in pochi anni alla ricchezza e alla potenza: questo spettacolo suscita la loro sorpresa e la loro invidia. Essi ricercano in che modo colui che ieri era un loro eguale sia oggi rivestito del diritto di dirigerli”. Corrotta è la Pubblica Amministrazione infiltrata arbitrariamente dai partiti. Corrotta è una parte della Magistratura, soprattutto nei suoi gradi più alti. Corrotto è il mondo universitario dove, solitamente, si entra e si avanza non per merito ma per uno scambio di favori e c’è voluto un docente di origine inglese, Philip Laroma Jezzi, per smascherare un sistema che tutti conoscevano. La mafia, per parafrasare al contrario Bertoldo, sono quattro: la mafia propriamente detta, la ‘ndrangheta, la camorra, la Sacra corona unita, cui si aggiunge quel “mondo di mezzo” per il quale è stata accolta con gran giubilo una sentenza della Magistratura che non lo giudicava propriamente mafioso mentre si tratta di un fenomeno ancora più grave perché le mafie ufficiali sono malavita organizzata gerarchicamente e quindi, in teoria, individuabile, il “mondo di mezzo” no, perché può essere dappertutto.

Scriveva Ignazio Silone in Vino e Pane: “Per vivere un po’ bene, bisogna vendere l’anima. Non c’è altra via”. Si riferiva al periodo fascista, ma questo vale anche, e forse ancora di più, nella democrazia italiana degli ultimi decenni.

E allora vi chiedo, italiani di oggi: siete davvero così sicuri di essere eticamente migliori dei vostri padri e dei vostri nonni e continuerete a sputare sulle loro tombe? Attendo risposte.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 27 febbraio 2021

0
0
0
s2sdefault
powered by social2s

Forse non tutto il Covid vien per nuocere. Certo quando il Covid verrà definitivamente sconfitto avremo, per ritessere la tela di un’economia lacerata, un rilancio della produzione e dei consumi. Troppe persone sono allo stremo per poter fare diversamente. Ma rimesse le cose a posto potrebbe cambiare il trend sul quale ci eravamo abituati a vivere prima dell’epidemia. Le persone potrebbero aver riscoperto il gusto e il valore delle piccole cose, delle piccole gioie. Per esempio, in una regione ridiventata ‘gialla’, il piacere di poter pranzare all’aperto con un amico o un’amica. È la privazione che ci fa comprendere i valori della vita. Eraclito lo aveva già detto ventisei secoli fa: “La malattia rende piacevole la salute e di essa fa un bene, la fame rende piacevole la sazietà, la fatica il riposo”. L’uomo postCovid potrebbe aver compreso che non è necessario consumare compulsivamente il superfluo, il voluttuario, l’inutile per star bene con se stesso e con i suoi simili, senza per questo doversi ridurre a una vita d’asceta. Una riduzione dei consumi comporterebbe necessariamente una parallela riduzione della produzione che dovrebbe concentrarsi sui beni essenziali. Questo darebbe anche un senso e un contenuto a quel sacco vuoto che è, per ora, il Ministero della “transizione ecologica” voluto fortemente da Beppe Grillo (anche se ovviamente  il discorso non riguarda l’Italia ma tutto il mondo consumistico). Perché non c’è green o bio, più o meno sinceri ed autentici, che tenga se non si riduce drasticamente  la produzione. Ogni energia, anche quelle più pulite, se utilizzata in modo massivo è, in una forma o nell’altra, inquinante. Un foglio di carta in una casa è innocuo, diecimila fogli ti tolgono l’aria, ti soffocano. Se davvero l’uomo postCovid, ridiventato tale e non più ridotto a consumatore costretto a ingurgitare il più rapidamente possibile quanto altrettanto rapidamente produce, seguisse la via di una relativa riduzione invece di continuare sulla strada di una progressiva e indefinita espansione, allora si aprirebbe un varco per quella che Maurizio Pallante, un pensatore che non a caso è stato oscurato, ha chiamato con felice espressione (la tautologia è qui inevitabile) “la decrescita felice”. Del resto Pallante riprende da due correnti di pensiero americane: il neocomunitarismo e il bioregionalismo. Il neocomunitarismo  guarda al ritorno di una specie di feudalesimo senza feudatari, cioè a piccole comunità solidali che non abbiano sopra di sé alcun potere, né personale né statuale. Il bioregionalismo coniuga il comunitarismo, che è sostanzialmente un localismo, con l’ambientalismo. In pratica queste correnti di pensiero propongono “un ritorno, graduale, limitato e ragionato, a forme di autoproduzione e autoconsumo che passano per un recupero della terra e il ridimensionamento drastico dell’apparato industriale e finanziario”.

Mi piacerebbe molto credere all’ipotesi di Pallante, col quale anni fa tentammo di fare fronte comune, ma non penso che le cose andranno così. La decrescita non sarà “felice” ma improvvisa e sanguinosa. Passato lo spavento del Covid, che avrebbe dovuto insegnare qualcosa, i reggitori della terra e tutti coloro che sono legati ai loro interessi o ai loro interessi piegati rilanceranno ulteriormente, approfittando proprio dell’abbrivio dato dalla ricostruzione, il modello di sviluppo che, partito intorno al Quattrocento con l’affermazione del mercante (poi imprenditore, poi finanziere) e sviluppatosi quindi con la Rivoluzione industriale e le sue successive evoluzioni, è oggi egemone. Questo modello si basa sulle crescite esponenziali che esistono in matematica ma non in natura. Tutto ha un limite. Non solo le fonti di energia ma anche la capacità della tecnologia, aiutata dal cervello umano, di autoinnovarsi (la famosa Singularity di cui parlava Gianroberto Casaleggio) o, se si preferisce, del cervello di potenziarsi costantemente attraverso la tecnologia. Quando, in un modo o nell’altro, non potremo più crescere ci sarà il collasso del modello, rapidissimo, nel giro di qualche mese, forse di qualche settimana. Si riproporrà la situazione che si ebbe dopo il crollo dell’Impero romano e delle sue strutture che diede origine al feudalesimo europeo. Ma l’Impero romano era uno sputo, seppur importante, del vasto mondo di allora, oggi il modello è pressoché globale e il collasso sarà globale.

Quando nei primi Ottanta rimuginavo su queste cose, che sono all’origine della mia opera storico-filosofica, pensavo che questa catastrofe ci avrebbe raggiunto non prima di un centinaio di anni. Ma da allora le cose sono andate sempre più veloci, sempre più veloci, già adesso siamo immersi dentro una serie infinita e quasi indecifrabile di connessioni, in una complessità quasi insostenibile che sorpassa anche le giovani generazioni e le rende vecchie, obsolete, in pochissimo tempo.

Nel 1982 feci per Pagina un’inchiesta che Aldo Canale ed io intitolammo “Scienza amara”, intendendo con ciò segnalare i pericoli cui ci esponevano  la velocità assunta dalla Scienza tecnologicamente applicata e la Tecnologia stessa, idolo incontrastato allora come ora. Andai a Ginevra a intervistare Carlo Rubbia che allora dirigeva il CERN. Rubbia mi ascoltò infastidito, ritenendomi un “apocalittico”. Allora gli dissi: “Professor Rubbia, lei è un fisico e le faccio una domanda per la quale vorrei una risposta da fisico. Non è che andando a questa velocità noi stiamo accorciando il nostro futuro?”. Rubbia ci pensò un po’ poi ammise: “È così”. “Io vedo l’uomo tecnologico scendere una ripidissima strada in sella ad una lucente bicicletta senza freni. All’inizio era stato piacevole, per chi aveva pedalato sempre in salita e con immane, penosa fatica, lasciarsi andare all’ebbrezza e alla facilità della discesa, ma ora la velocità continua ad aumentare e si è fatta insostenibile, finché ad una curva finiremo fuori” (La Ragione aveva Torto?, 1985).

Massimo Fini

 Il Fatto Quotidiano, 24 febbraio 2021