Come ci raccontano le cronache è stato Davide Caparini, assessore al bilancio, in quota Lega, a volere Aria, l’agenzia che doveva occuparsi della distribuzione e della prenotazione dei vaccini dove ha combinato disastri: prenotazioni in luoghi molto distanti da chi ne doveva usufruire, in un giorno in cui le location non erano disponibili, prenotazioni per soggetti che non avevano maturato il diritto al vaccino. Io stesso sono stato oggetto di una di queste disfunzioni, perché sono stato convocato via sms in quanto over 80, anche se quell’età sono ancora abbastanza lontano dal raggiungerla e, per la verità, ma questo è affar mio, non ho nessuna voglia di raggiungerla. Il governatore della Lombardia Fontana ha dimissionato il consiglio di amministrazione, ma ha lasciato al suo posto Caparini, cioè il principale responsabile di queste disfunzioni.
Davide Caparini l’ho già incrociato nella mia vita, quando, appena trentaseienne, faceva parte della commissione di vigilanza Rai, un posto di notevole responsabilità, non si capisce a quale titolo, perché è laureato in ingegneria meccanica, se non quello di essere appunto un esponente della Lega, in cui era entrato giovanissimo, a 18 anni.
Ma qui bisogna fare un lungo passo indietro. Tornare all’autunno del 2003. Eduardo Fiorillo propone al direttore di RaiDue Marano un programma, Cyrano, cui dovrei partecipare anch’io, non come conduttore (questa parte è riservata a Francesca Cheyenne), devo semplicemente legare i vari spezzoni del programma che parlano di narcisismo, di vecchiaia, del rapporto con la morte, insomma niente di politico, il tutto trasmesso in terza serata. Marano accetta, pensa sia utile proporre qualcosa di culturale in RaiDue che proprio in quei mesi ha dato il via all’Isola dei Famosi. Marano accetta, il contratto è firmato. La trasmissione viene annunciata dagli organi ufficiali della Rai e da parecchi giornali. Noi intanto facciamo le prove in Corso Sempione a Milano, la puntata-pilota non è stata ancora montata, insomma in Rai nessuno l’ha vista. Tre giorni prima della trasmissione, che dovrebbe andare in onda martedì, Marano, che appunto non l’ha ancora vista, telefona a Fiorillo dicendo che il programma si può fare ma che deve eliminare la mia presenza. Fiorillo resiste. Marano ci riconvoca per il lunedì proprio il giorno prima della messa in onda. D’accordo con Fiorillo ci portiamo in tasca un registratore. Marano è a suo modo sincero: “A questo punto la trasmissione l’ho vista e potrei dirle che lei non buca il video, che ci sono dei difetti e altre cose del genere, ma non me la sento, non è così. Il fatto è che c’è un veto politico e aziendale sul suo nome, da parte di persona cui non posso resistere”. E mi propone di apparire solo come autore. Io rifiuto per una questione di principio, oltretutto non sono neanche uno degli autori del programma. Cyrano non andrà in onda, verrà sostituito con un simil Cyrano chiamato Border Line, senza di me. Secondo quanto ha dichiarato Marano in Commissione di Vigilanza Rai, sarebbe stato Antonio Socci a mettersi di mezzo. Districarsi fra le contraddizioni di Marano, di Socci e degli altri dirigenti Rai coinvolti, un vero nido di vipere, è impossibile. Quel che è certo è che qualcuno è andato da Berlusconi, che aveva ben altro da fare che guardar me all’una di notte, e gli ha detto: “Ma come, adesso facciamo lavorare anche un antiberlusconiano doc come Massimo Fini?”. Per la verità Berlusconi non avrebbe dovuto c’entrarci per niente, visto che la trasmissione era Rai, ma lasciamo perdere. Berlusconi fa telefonare da qualcuno a Cattaneo, in quel momento Direttore generale della Rai, Cattaneo telefona a Marano e almeno la filiera diventa istituzionalmente regolare.
Quella censura nei miei riguardi, che Marco Travaglio nel suo libro Regime definirà “antropologica”, provocò alcuni rumors, per la verità non molto accalorati. Chi si superò fu Marcello Veneziani, consigliere di amministrazione Rai, che disse più o meno: “Perché la sinistra si lamenta se la Rai non fa lavorare Fini, dal momento che Fini non ha lavorato nemmeno quando la Rai era di sinistra?”. Seguendo questa logica ineccepibile io non avrei dovuto lavorare mai. Perché se la Rai era di destra la scusa era che nemmeno la sinistra mi aveva fatto lavorare, se era di sinistra la scusa era che la destra non mi aveva fatto lavorare.
Io farò causa alla Rai e la vincerò. Il Tribunale mi riconobbe i danni materiali, ma non quelli morali con la singolare motivazione che ero stato io a darne notizia ai giornali e quindi mi ero autodanneggiato. Sarebbe come se a una ragazza stuprata non fossero riconosciuti i danni morali perché ha denunciato lo stupro.
La questione arrivò comunque davanti alla Commissione parlamentare di vigilanza Rai, di cui era presidente Claudio Petruccioli, allora Ds. A Petruccioli avevo mandato la registrazione che dimostrava in modo inequivocabile che c’era stato un veto politico. E Petruccioli si comportò da Petruccioli. Acquisì la mia registrazione, ne diede notizia alla Commissione di vigilanza ma non gliela fece ascoltare. Quindi la sola cosa che risultava era che io avevo compiuto un atto moralmente se non penalmente illecito. Oltre al danno la beffa. Per quella registrazione Davide Caparini chiese, insieme al forzista Lainati, la mia radiazione dall’Ordine dei giornalisti. Bella riconoscenza visto che io la Lega di Bossi, quella in cui era entrato il giovanissimo Caparini, l’avevo difesa a spada tratta quando tutti i media la attaccavano.
Perché mi sono soffermato così a lungo su un quidam come Davide Caparini? Non per puro spirito di rivalsa. Perché Caparini è emblematico, come per altri versi Luigi Bisignani, di un certo ceto politico e amministrativo che attraversa tutti i partiti. Non ha mai fatto una vera ora di lavoro in vita sua, come piace dire a Berlusconi quando si tratta dei suoi nemici, sorvolando sui suoi amici. La sua carriera è tutta interna alla Lega che gli ha permesso di cumulare presidenze, cariche nei consigli di amministrazione, assessorati, posti di potere che, come abbiamo visto con Aria, incidono sull’amministrazione pubblica e in definitiva sulla nostra vita.
Qualche anno dopo quel consiglio di amministrazione Rai, in cui aveva chiesto la mia radiazione dall’Ordine dei giornalisti, incontrai per caso il Caparini in un talk di basso livello. Poiché come ogni polemista sono aggressivo sulla pagina, ma cerco di comportarmi in modo civile nella vita, invece di dargli un cazzotto sul muso come si sarebbe meritato mi fermai a chiacchierare con lui. Mi diede l’impressione di un uomo un po’ “ritardato”, pardon, “indietreggiato” come si dice in Canton Ticino per gli alunni che hanno bisogno di un insegnante di sostegno. Con amministratori di questo genere, di cui il Caparini è solo un esempio marginale, non possiamo poi lamentarci se l’Italia, come l’epidemia ha solo evidenziato, è conciata com’è conciata.
Il Fatto Quotidiano, 3 aprile 2021
Massimo Bertarelli è stato un importante giornalista del Giornale, prima con Montanelli, poi con i vari direttori che si sono susseguiti. Era un critico cinematografico, molto a modo suo: gli piaceva stroncare i capolavori, sia pur in modo leggero e divertente (1500 film da evitare, Gremese Editore). Del resto prendeva la vita stessa come un grande gioco. Alla sua morte il Giornale che intendeva pubblicare un libretto con i suoi scritti migliori chiese a me e ad altri, fra cui Pupi Avati, un ritrattino. Io naturalmente non parlai del giornalista, ma del compagno di merende (poker soprattutto) che era stato per me in tanti anni. Quel libretto su Bertarelli, cui mi dicono che la figlia, comprensibilmente, tenesse molto, il Giornale poi, per motivi che non conosco né mi interessa conoscere, non lo pubblicò. Ma se il Giornale non intende onorare uno dei suoi giornalisti, lo faccio io qui, ora, pubblicando quel ritrattino.
Massimo è stato mio ‘compagno di merende’, cioè di gioco, d’azzardo naturalmente, poker, cavalli (“gli stramaledetti quadrupedi”), roulette, chemin de fer (Campione soprattutto, ma anche Saint-Vincent e Chamonix) e anche di calcio (era tifosissimo del Milan). Aveva un modo leggero di affrontare il gioco e oserei dire anche la vita, che si riflette poi nei suoi scritti. Gli piaceva un mondo fare gli scherzi. Quando a San Siro segnava il Milan si rovesciava all’indietro e lungo com’era e con le braccia allargate abbatteva un paio di file che gli stavano dietro. Una volta perse da me un bel po’ di soldi e poiché non li aveva mi portò da sua zia, la ricca nutrizionista Ada Del Vantesino perché saldasse il debito. Lei ci fece una solenne ramanzina che noi ascoltammo tutti compunti, ma pagò. Così ogni volta che perdeva (con altri) e non aveva i soldi mi portava dalla zia perché facessi la parte del creditore. Ma il peggio era che si metteva alle spalle della zia e faceva le facce, le ‘sue’ facce, mentre io dovevo rimanere serio (una storia alla Walter Chiari e Carlo Campanini). Aveva una vena irresistibilmente comica e, da giovane, anche una faccia un po’ comica. Credo che se non avesse fatto il giornalista sarebbe stato un eccellente uomo di spettacolo.
Come giocatore Massimo ha peccato molto, ma come bookmaker era una frana e il suo giro poco più di quello di una tombola familiare (ci giocava anche Montanelli). La magistratura lo accusò di essere nientemeno che il capo del “toto nero”. Un incidente di percorso che poteva avere serie conseguenze. Io che sapevo come stavano le cose scrissi per Il Giorno un pezzo (Un genio, un compare o forse due polli) per chiarire i limiti di quella “tombola”. E Montanelli mi telefonò, per ringraziarmi.
Massimo Fini
C’è una barzellettina divertente. Un automobilista telefona a Isoradio: “C’è un pazzo che in autostrada va contromano”. Dopo cinque minuti Isoradio riceve un’altra telefonata: “Non è solo uno, sono centinaia”. Il pazzo in questa stagione Covid-lockdown sono io perché ho un’opinione che va, sia pur parzialmente, contro le scelte fatte da quasi tutti i paesi (Svezia a parte, ma per il mio bene sfioro solo l’argomento Svezia perché Travaglio va in convulsioni). Ma la Storia racconta che in qualche caso i pazzi che nel Medioevo si riteneva avessero uno speciale rapporto con Dio hanno avuto ragione sia pure sulla lunga distanza.
Non sono né negazionista né complottista, due categorie che si intrecciano, tra l’altro contraddicendosi a vicenda (uffa, ogni volta che si parla di Covid-lockdown in modo diverso dalla communis opinio bisogna premettere che non si è negazionisti, come quando si critica Israele bisogna premettere che non si è antisemiti, così rafforzando la convinzione che si è proprio antisemiti). Il negazionismo va contro la realtà dei fatti. I morti all’anno per influenza sono mediamente 20.000, col Covid sono arrivati a 100.000 e sarebbero certamente moltiplicati, in che misura nessuno è in grado di dire, se non si fossero attuate le misure di contrasto. I complottisti sostengono che il Covid è un parto dei cosiddetti “poteri forti”, non mai ben specificati. Quindi per i negazionisti/complottisti il Covid non c’è ma anche c’è. Quale sarebbe il disegno dei poteri forti? Aumentare appunto il loro potere e la loro ricchezza. Ma che bisogno c’è se il potere e la ricchezza ce l’hanno già, oltretutto creando uno scompiglio tale che proprio questo potere e questa ricchezza potrebbe intaccare? Io non li ritengo così intelligenti da creare un complotto mondiale cui parteciperebbero evidentemente USA, Russia, Cina, Brasile eccetera né così stupidi da darsi la zappa sui piedi.
La mia posizione è diversa. Secondo me non c’è proporzione fra la pericolosità del Covid e le misure che sono state adottate per contrastarlo, fra cui la più decisiva e anche la più devastante è il “distanziamento sociale”. Sostengo anche che nel tentativo, onesto, sincero, di salvaguardare la nostra salute, la stiamo compromettendo.
Sulla didattica a distanza tutti i governi all’inizio si sono concentrati sul fatto che interrompe la formazione degli studenti. Ciò è vero, ma fino a un certo punto. Io ho fatto tre prestigiosi licei milanesi, Parini, Berchet, Carducci, e c’erano ripetenti e gente che andava a ottobre con un mucchio di materie (io in seconda media con cinque, un record assoluto credo). Quindi studenti che non avevano studiato o lo avevano fatto malissimo. Eppure molti di costoro hanno avuto una buona riuscita nella vita, i “secchioni” spesso no. Solo di recente ci si è accorti che il vero e più profondo problema della didattica a distanza sta nel fatto che i ragazzi non possono conoscersi e socializzare fra di loro in un’età in cui questo è particolarmente importante per il loro equilibrio. Ma questa è solo la punta dell’iceberg. L’ambiente scolastico è solo uno dei luoghi della socializzazione giovanile, ci sono gli sport collettivi e, più semplicemente, la possibilità di incontrare amici e amiche o conoscerne di nuovi.
Alcuni ospedali pediatrici hanno registrato che i ragazzi fra i dodici e i diciotto anni che, ovviamente spinti dai genitori, si rivolgono a psicologi o psichiatri in periodo Covid sono aumentati del 17%. Le patologie sono psichiche ma hanno anche conseguenze fisiche: stati depressivi e ansiosi, attacchi di panico, autolesionismo, tentazioni suicidarie, stati ipocondriaci, anoressia che colpisce in prevalenza le ragazze e che, com’è esperienza comune, può avere esiti letali. I pediatri ritengono che quel 17% in più sia solo una frazione del disagio adolescenziale, perché ovviamente non tutti, pur soffrendo di quei sintomi, ricorrono allo psicologo o allo psichiatra. La psicologa italiana Giorgia Lauro scrive: “L’epidemia di Covid19 e i conseguenti e ripetuti lockdown possono produrre e hanno prodotto molteplici conseguenze sulla vita degli adolescenti, stress cronico e acuto, preoccupazione per i loro famigliari, interruzioni scolastiche, aumento del tempo trascorso su internet e sui social media, preoccupazione per il proprio futuro”.
Non ci volevano equipe di pediatri, psicologi, psichiatri per capire che la reclusione in casa, per un anno e più, avrebbe devastato il mondo adolescenziale (e anche, sia pur in proporzione minore, quello adulto di cui qui non ci occupiamo), sarebbe bastata un po’ di esperienza e di senso comune.
I conti per gli automobilisti che ritengono di andare nella direzione “giusta” si faranno solo fra qualche anno, solo allora si potrà fare un bilancio fra costi e benefici e se, come ci dicono gli esperti, l’epidemia diventerà endemica, è chiaro che non potremo continuare col meccanismo dei lockdown stop and go, ma dovremo rassegnarci all’idea che, o bella, si può anche morire.
Il Fatto Quotidiano, 31 marzo 2021
A parer mio c'è un'unica, sola e vera epidemia: l'epidemia della paura. E poiché la paura contagia più velocemente del Covid, oggi molte persone che avevano affrontato questa emergenza ai suoi inizi con una certa serenità adesso sono terrorizzate e disposte a tutto, anche a farsi mettere il collare vaccinale che, di fatto, viola l'articolo della Costituzione che dice che nessuno può essere sottoposto a una cura contro la sua volontà. Ma a furia di violare le norme costituzionali, in nome oggi di un'emergenza sanitaria, domani magari di un interesse nazionale prevalente, stiamo finendo in uno stato di polizia sottoforma di democrazia.
M.F.