Per la cosiddetta ‘fase due’ si profila una discriminazione a danno degli anziani (anche se i sostenitori di tale discriminazione sostengono che sia a favore). Jean- François Delfraissy, consulente scientifico del presidente francese Macron, lo ha detto a chiare lettere: “Il Paese va riaperto, ma anche nelle prossime settimane, forse nei prossimi mesi, ci saranno 18 milioni di persone che dovranno rimanere confinate”. Questi 18 milioni sono gli individui che, sono parole dell’esperto, “hanno superato i 65 o i 70 anni”. Sulla stessa linea, anche se un po’ più sfumata, è la dichiarazione della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen: “Gli anziani dovranno restare isolati, per motivi di protezione, almeno fino alla fine dell’anno”. Questa idea circola anche in Italia. Insomma costoro vorrebbero rapinare agli anziani anche un paio di estati della loro vita, estati che potrebbero essere le ultime non perché moriranno di Coronavirus ma perché potrebbero essere colpiti da quei mille accidenti che sono propri della vecchiaia.
Lasciamo pur perdere che se questa ipotesi divenisse un provvedimento concreto sarebbe del tutto incostituzionale, violerebbe l’articolo 3 della nostra Carta che sancisce un principio fondante della democrazia: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Ho detto “lasciamo perdere” perché ormai delle libertà costituzionali si è fatta strame col pretesto di una epidemia. E poiché non è possibile stabilire ‘ictu oculi’ se una persona ha superato i 65 anni o 70 anni gli appiccicheranno sul petto una stella gialla. Gli anziani sono gli ebrei del Duemila.
Ma ciò che colpisce di più è la totale illogicità del provvedimento. Gli anziani muoiono di Corona molto più facilmente dei giovani ma se, come tutti, rispettano le regole, non infettano più degli altri. Se io, anziano, voglio correre più rischi degli altri la decisione non può che essere mia. Diversamente che in altri tempi l’individuo non appartiene a Dio (per cui un tempo si puniva il suicida, dissacrandone la sepoltura perché ormai si era sottratto alla giustizia umana, o anche il tentato suicidio con pene severe) né alla società, appartiene solo a se stesso. In una società moderna, laica, “ognuno è libero di fare ciò che vuole, nella misura in cui non nuoce agli altri” che è l’ipotesi che stiamo esaminando perché l’anziano che si espone ai rischi dell’epidemia può nuocere solo a se stesso.
Ci sono poi alcuni corollari. E’ noto, è medico, che agli anziani, più che ai giovani, per tenersi in forma è essenziale muoversi: camminare veloci, se si può, andare in bici, nuotare. Un anziano che si ferma è perduto, finisce rapidamente in una sedia a rotelle.
Allentate le misure di isolamento i nostri figli se ne andranno al mare o ai monti e l’anziano resterà solo. Secondo un recente studio (2015) della Brigham Young University di Provo, Stati Uniti, la solitudine uccide più del fumo, aumenta le possibilità di morire del 30%. E se anche un anziano riuscisse a disciularsi da solo, verrebbe respinto dagli alberghi, dai Residence, dagli stabilimenti balneari col pretesto della sua età.
L’aria viziata di un appartamento è più pericolosa dell’aria all’aperto. Non per nulla in un primo tempo le Autorità italiane avevano permesso di correre o di svagarsi nei giardini, solo che i cretini facevano gruppo, e quindi focolaio, e si è dovuto ritirare questa saggia decisione.
In ogni caso sia chiaro che se qualcuno, poliziotto o persona normale, si azzarda a dirmi “che cosa fa in giro lei che è anziano?”, poiché al momento sono sano, sono ancora forte e batto a braccio di ferro i ventenni (chiedere al simpatico, palestrato, cameriere cubano-spagnolo, Ramiro, che serve al Nhero e ogni volta che viene sconfitto prende a pretesto che non è concentrato perché deve badare ai clienti) lo abbatto col mio bastone Masai.
Massimo Fini
Il Fatto Quotidiano, 18 aprile 2020
Caro Alessandro, anche se qualcuno si sorprenderà, io ho per te stima umana e professionale. Sentimenti che, credo, siano reciproci visto che per quattro volte mi proponesti di venire al Giornale (tre volte me lo propose Feltri, due Belpietro, una Giordano nel suo breve anno di direzione). Tutte proposte lusinghiere anche economicamente che fui costretto a rifiutare per una mia coerenza che Paolo Liguori, forse non a torto, ha definito “cretina”, perché adesso a furia di dir no mi trovo nell’angolo anche economicamente. Ma io son fatto così, sta nel mio dna. Benché io sia un antiberlusconiano della prima ora (Europeo, 2.8.1986, Un americano a Milano: “O il calcio distruggerà Berlusconi o Berlusconi distruggerà il calcio”) il Giornale, come del resto quasi tutti i media di destra, è stato sempre molto attento alla mia opera di scrittore, se fosse stato per quelli della cosiddetta Sinistra, Repubblica, Espresso e la fu Unità, io non sarei esistito, culturalmente, in questo Paese. Mi dicono che molti tuoi lettori mi apprezzano e del resto fra i tuoi giornalisti ci sono dei ‘criptofiniani’ di stretta osservanza di cui non farò i nomi.
Bene. Ma c’è una cosa che non posso proprio digerire ed è la vostra capillare, costante, sistematica delegittimazione della Magistratura italiana di cui il tuo editoriale del 9 aprile (“Datevi uno scudo dal virus dei giudici”) è solo l’ultimo di infiniti altri dello stesso tenore. Se qualcuno proponesse di aprire le carceri in un “liberi tutti” io potrei essere anche d’accordo perché sono convinto, non è demagogia, che molti di quelli che stanno fuori sono peggio di molti di quelli che stanno dentro. Ma il vostro ‘garantismo’ è double face ed è questo che è intollerabile. Silvio Berlusconi che, penso, faccia parte della ‘famiglia Berlusconi’ proprietaria del tuo giornale, mi ha chiamato in giudizio per danni, cioè è ricorso alla Magistratura, benché io non abbia mai ficcato il naso nelle sue questioni di donne, perché ritengo che un premier, come ogni altro cittadino, abbia il diritto di fare in casa sua quello che più gli piace a meno che non si tratti di delitti, e penso anche che oggi una ragazza di 17 anni sia minorenne solo per l’anagrafe, per cui bisognerebbe abbassare l’età penale attiva e passiva a 14 anni (ragionando o sragionando come Adriano Sofri, mandante di un vilissimo assassinio sotto casa, e che oggi fa la morale a tutti, estrapolando dal testo secondo un malvezzo sempre più abituale, qualcuno potrebbe dire che voglio mettere in gattabuia anche i ragazzini). Renato Brunetta, che è della vostra scuderia (Forza Italia), mi ha chiamato in giudizio per danni, cioè è ricorso anch’egli alla Magistratura. Quando fa comodo la Magistratura torna ad esistere. Per tali ‘garantisti’ double face io ho questa formula: provate a rubargli l’argenteria e vedrete come va a finire, chiameranno la ‘pula’, i Pubblici ministeri, la Gestapo.
Vittorio Sgarbi, che è anche lui del giro, candidato per Forza Italia alle recenti Regionali, che scrive sul tuo giornale, per una intera estate mi additò in Tv al pubblico ludibrio, con relativa fotografia, “wanted”, come il principe dei ‘forcaioli’. E’ che questa gente pensa sempre che il mondo sia nato con loro. Io ho firmato l’appello per la scarcerazione di Valpreda in galera da quattro anni senza processo (il solo appello che ho firmato in vita mia). Fosse stato per la cosiddetta Destra, a cui tu oggi appartieni, Valpreda poteva restare in galera a vita e qualcuno dei vostri predecessori scrisse che il fatto che fosse affetto dal morbo di Buerger era segno inequivocabile che era il responsabile della strage di Piazza Fontana. Valpreda, infangato in tutti i modi dai vostri predecessori, sarà poi assolto. Ho difeso Giuliano Naria presunto terrorista rosso che si fece nove anni di detenzione preventiva, solo l’ultimo ai “domiciliari”, e che fu poi assolto con formula piena. A una settimana dal suo arresto sono stato il primo a difendere Enzo Tortora (“Io vado a sedermi accanto a Tortora”, Il Giorno, 25.6.1983) e non Enzo Biagi, come sempre si dice, e tale evaporazione della mia persona in questo e in tantissimi altri casi, ora che la spavalderia della splendente giovinezza mi viene meno con le sue energie, comincia a darmi parecchio fastidio. Lo difesi non tanto, o almeno non solo, perché lo conoscevo di persona, un liberale elitario di cui sarebbe stato difficile immaginare che si affigliasse a una bocciofila, figuriamoci alla camorra, ma perché era accusato ‘de relato’ da pentiti che riferivano voci sentite da altri pentiti. E la sorella del presentatore, Anna, perdeva il lume degli occhi quando in seguito i corrotti e i corruttori di Tangentopoli si mascheravano dietro quello che era successo a Tortora. Perché nell’inchiesta Mani Pulite non si trattava di ‘pentiti’, ma le accuse erano ‘per tabulas’, si basavano cioè su carte, documenti bancari e confessioni degli stessi autori dei crimini. Anche se poi si insinuò che i magistrati di Mani Pulite li arrestavano perché confessassero e si invocò l’intervento di Amnesty International per due o tre settimane di reclusione preventiva (una cosa terribile rispetto ai nove anni di Naria). Ma quel gran signore di Francesco Saverio Borrelli, il capo della Procura di Milano, corresse: “Noi li arrestiamo e loro confessano”.
Come si ricorderà per almeno due anni , dal 1992 al 1994, i giornali, tutti i giornali, si sdraiarono lascivamente ai piedi dei magistrati di Mani Pulite e in particolare a quelli di Antonio Di Pietro (“Dieci domande a Tonino”, Paolo Mieli, Corriere della Sera). Ma passata la buriana nel giro di poco tempo quasi tutti i giornali e i giornalisti, in particolare quelli della cosiddetta Destra ma non solo, fecero il salto della quaglia e da adoratori dei magistrati di Mani Pulite ne divennero gli accusatori. Per cui i veri colpevoli di Tangentopoli divennero i magistrati, i corrotti e i corruttori le vittime e spesso giudici dei loro giudici. Non c’è da meravigliarsi se con un simile esempio la corruzione abbia oggi infettato l’intero Paese scendendo giù per gli rami a buona parte della cittadinanza. Fra questi ‘saltatori’ spicca Vittorio Feltri, il più assatanato ‘forcaiolo’ finché rimase all’Indipendente (Enzo Carra sbattuto voluttuosamente in prima pagina in manette, messi sotto accusa i figli di Craxi, Bobo e Stefania –toccò a me difenderli per l’ovvio motivo che i figli non hanno né le colpe, né i meriti, dei padri- l’appellativo di “cinghialone” appioppato a Bettino, trasformando così una legittima inchiesta della Magistratura in una caccia sadica).
No, io non prendo partito per ‘lorsignori’, per i ladri in ‘guanti gialli’, perché hanno già molti difensori d’ufficio e ufficiosi. Io ho difeso, difendo e difenderò sempre gli stracci. Non c’è macchia sul mio onore di giornalista libero e libertario. Non so quanti, in questo Paese, possono dire altrettanto.
Massimo Fini
Il Fatto Quotidiano, 16 aprile 2020
Quello che è venuto a mancare in Occidente (la cui cultura ha ormai infettato anche civiltà millenarie ad esso lontanissime e con una visione dell’essere e della sua ragione di esistere quasi diametralmente opposta alla nostra, come la cinese) è il coraggio.
Durante la Seconda guerra mondiale i combattenti delle opposte sponde lasciarono sul terreno 68 milioni di morti, 10 milioni e mezzo appartenenti alle forze dell’Asse (Germania, Giappone, Italia, quest’ultima ne ebbe solo 472 mila) gli altri agli Alleati (russi, col maggior numero di perdite, 25 milioni, americani proporzionalmente col minor numero, 413 mila, inglesi 365 mila più il variegato mondo dei Paesi appartenenti al Commonwealth). Il tutto per cinque anni di guerra. Attualmente (10/4) i morti nel mondo per il Corona sono 86 mila in cinque mesi circa. Dovendo però scomputare in questa macabra ma necessaria comparazione tutti o quasi i Paesi africani che alla Seconda guerra mondiale non presero parte e che attualmente pagano un tributo di 8 mila morti circa. In una comparazione molto approssimativa, perché per esempio la Spagna non partecipò all’ultima guerra mondiale ma oggi è uno dei Paesi più infettati, 68 milioni di morti in cinque anni contro 78 mila in cinque mesi. Quindi anche se nei prossimi quattro anni e mezzo il Corona dovesse procedere progressivamente resterebbe comunque lontanissimo dai 68 milioni di morti della Seconda guerra mondiale. Eppure questa epidemia “tremar il mondo fa”.
Il coraggio è una componente essenziale dell’essere umano, anche se non va confuso con la temerarietà e l’irresponsabilità, perché anche la paura è un’altra importante componente purché sia tenuta sotto controllo. Credo che a tutti noi sia capitato, almeno una volta nella vita, di trovarsi in una situazione di grave pericolo, le reazioni sono di due tipi: c’è chi, sotto adrenalina, reagisce e la scampa e chi ne rimane paralizzato e soccombe.
In tutte le civiltà lato sensu europee che hanno preceduto la nostra (greca, ellenistica, latina, medioevale) il coraggio non era solo una dote indispensabile al comando, ma il suo valore era ampiamente introiettato anche da tutti gli altri. Sto leggendo Erodoto (Storie) e Tucidide (La guerra del Peloponneso) e negli scontri all’arma bianca quasi nessuno si tira indietro e quei pochi che lo fanno, che Erodoto e Tucidide condannano senza riserve, sono coperti da perpetuo disonore. Se nel Medioevo europeo i nobili avevano la loro tanta contestata supremazia è perché a loro spettava combattere, mentre i contadini restavano sui campi. Estremamente significativa in proposito è la spiegazione che due scudieri di Varennes-en-Argonne danno, verso la fine del Trecento, del fatto che i nobili non devono pagare la taglia, cioè la tassa reale: “Perché, dicono gli scudieri ,in virtù della nobiltà sono tenuti ad esporre i loro corpi e cavalcature alla guerra” (C.Aimond, Histoire de la ville de Varennes-en-Argonne). Ma per tornare un attimo alla società latina, dove per onore ci si suicidava come noi accendiamo una sigaretta, l’unico esempio, a mia memoria, di viltà conclamata è quello di Marco Tullio Cicerone che a 64 anni cerca di sfuggire in modo scomposto e miserevole agli uomini di Antonio che lo ha condannato a morte e una volta raggiunto “presenta ai sicari un volto disfatto” (Plutarco). E infatti i suoi concittadini gli conficcarono uno spillone nella lingua, a significare che era stato bravo solo con quella.
Dopo la Seconda guerra mondiale il coraggio perde il suo primato come valore. Gli americani ne dettero collettivamente un’ultima prova nella guerra del Vietnam dove persero 63 mila soldati. In quanto agli europei di guerre non ne hanno fatte più, tranne gli inglesi per le Falkland o Malvinas dove si comportarono da inglesi mandando in prima linea il Principe Andrea. Poi è nebbia. Anzi peggio. Noi occidentali conduciamo guerre senza epica, senza coraggio, senza gloria, utilizzando i droni, con i loro missili, teleguidati da 10 mila chilometri di distanza. Il coraggio è passato agli islamici. Non solo ai guerriglieri e ai kamikaze dell’Isis o di al Qaida (anche se l’azione di Atta e dei suoi che, armati solo di temperini, sequestrarono un aereo e lo proiettarono contro le Torri Gemelle ha, ammettiamolo, qualcosa di grandioso) ma nel musulmano comune che, come possiamo vedere in questi giorni, se ne fotte del Coronavirus per inciviltà certo, ma anche perché ha meno paura della morte.
Oggi noi occidentali tremiamo ad ogni stormir di foglia. Abbiamo costruito una società che sarebbe ingiusto definire femminea, perché le donne, attrezzate per il parto, hanno più coraggio degli uomini. Una società eunuca.
Massimo Fini
Il Fatto Quotidiano, 14 aprile 2020