Qualche lettore mi chiede perchè mi sono preso tanto a cuore la causa dei Talebani e del Mullah Omar, se sto per convertirmi all'Islam e magari partire per la Siria come quel Giuliano Delnevo. Se anche ne avessi l'età non andrei in Siria perchè non ho capito se le ragioni stanno dalla parte dei ribelli o di Assad. Ci sono Paesi, composti da comunità molto diverse fra loro, che per essere tenute insieme hanno bisogno di un 'uomo forte'. Abbiamo visto i disastri combinati dagli occidentali con i loro interventi in Libia e in Iraq per eliminare Gheddafi e Saddam e portarvi la democrazia. Del resto io non credo alla democrazia rappresentativa nemmeno in area occidentale. Nel mio libro 'Sudditi' lo definita, un po' brutalmente, «un modo sofisticato per metterlo nel culo alla gente, soprattutto alla povera gente, col suo consenso». E mi sembra che l'Italia ne sia un esempio piuttosto eloquente.
Ma per tornare alla domanda dei lettori, se c'è qualcosa che è lontanissima dalla mia sensibilità è la cupa religione islamica, non meno di quella, altrettanto cupa, ebraica. In quanto alla religione cattolica non sono mai riuscito a prenderla sul serio con quei suoi dogmi inverosimili (La ressurezione della carne? A che età, please? Perchè se mi fai resurgere a vent'anni è un conto, se all'età che ho adesso preferisco rinunciare).
Sono più attratto, culturalmente, dai culti neri, africani, che non hanno un Dio unico, punitivo o meno, nè dei, ma una visione magica della Natura. Ma le abbiamo distrutte.
La questione dei Talebani è un'altra. In loro io difendo il diritto elementare di un popolo, o di parte di esso, a opporsi all'occupazione dello straniero. Altrimenti, se vogliamo essere coerenti, prendiamo la nostra Resistenza (su cui abbiamo fatto tanta retorica: riguardo' poche decine di migliaia di uomini e donne coraggiosi, duro' un anno e mezzo mentre gli agfani resistono da dodici anni) e buttiamola nel cesso. In generale detesto chi va a ficcare il naso, anche con le migliori intenzioni, in casa altrui: i missionari, le Ong, la bontà sanguinaria e morbosa delle Madri Teresa di Calcutta che si pascono del dolore altrui.
Dei Talebani ammiro alcune qualità prepolitiche. Il coraggio, fisico e morale, la lealtà che da noi non riesce ad essere declinata se non nel senso dell'omertà mafiosa. Sulla testa del Mullah Omar pende, da dodici anni, una taglia di 25 milioni di dollari. Ma nessuno ha mai venduto il Mullah, mentre da noi uomini che hanno già tutto si compromettono per una vacanza pagata o una cena in un bel ristorante.
Sul Mullah Omar c'è poco da dire. Diciottenne ando' a combattere gli invasori sovietici, perse un occhio, torno' in battaglia.Dopo la guerra rientro' nel suo povero villaggio, Singesar e studio' nelle madrasse. Poi, all'inizio solo con altri tre compagni (Ghaus, Hassan, Rabbani), prese le armi contro 'i signori della guerra' che rubavano, taglieggiavano, assassinavano, stupravano, sbattevano fuori dalle loro case i legittimi proprietari per metterci i propri seguaci. In due soli anni (1994-1996) sbaraglio' questi potenti farabutti con l'appoggio della popolazione che non ne poteva più dei loro soprusi. Dirà il giovane Omar agli inizi della sua avventura: «Come potevamo strarcene tranquilli vedendo tanti crimini commessi contro le donne e la povera gente?». Questo era il suo modo di difendere la dignità della donna. Nei nostri democratici e femministicissimi Paesi ragazze vengono stuprate nel centro delle città senza che nessuno osi muovere un dito.
Arrivato al potere Omar continuerà a condurre la vita spartana di sempre e le sue tre mogli e i cinque figli rimarranno nel povero villaggio, di capanne di fango e paglia, Singesar che non avrà nessun vantaggio dal fatto che uno dei suoi 'enfant du pays' è diventato il padrone del Paese.
Questo, per me, è un uomo. O dovrei appassionarmi a Enrico e Gianni Letta?
Massimo Fini
Il Fatto Quotidiano, 22 giugno 2013
L'annuncio di Barack Obama, in margine al vertice irlandese, che a Doha, nel Qatar, è iniziato un negoziato con i Talebani per arrivare ad una pace in Afghanistan, è in realtà una dichiarazione di resa. Gli americani hanno preso atto che dopo dodici anni di guerra, il più potente esercito del mondo non è riuscito a piegare la resistenza di quello che, fino a poco tempo fa, chiamavano «un pugno di criminali e terroristi». La ragione è semplice: i Talebani godono dell'appoggio della stragrande maggioranza della popolazione afgana, storicamente refrattaria a qualsiasi occupazione dello straniero. Nell'800 cacciarono gli inglesi, nel 900 i sovietici e ora si apprestano a far fare la stessa fine agli occidentali.
In realtà non è la prima volta che gli americani tentano di agganciare, diciamo cosi', diplomaticamente i Talebani. Ci provarono già nel 2005, quando la guerriglia organizzata dal Mullah Omar era ancora agli inizi. Proposero un' amnistia per i Talebani che avessero deposto le armi. Ma gli era andata male. Dei 142 leader inseriti nella 'lista nera' dell'Onu solo 12 avevano accettato. Ci avevano riprovato nel 2010 quando ormai i Talebani controllavano il 75% del territorio. E gli era andata ancor peggio. Infine, come ultima carta, avevano costituito un grottesco Consiglio di pace in cui sostenevano che erano entrati alcuni leader talebani, in realtà scartine raccolte per le strade di Kabul. In quell'occasione, ridotti alla disperazione, gli Usa avevano chiesto aiuto anche all' 'arcinemico' Iran.
Tutti questi tentativi erano falliti perchè gli americani si erano rifiutati di trattare col il Mullah Omar, capo indiscusso della guerriglia. Ora a Doha la situazione è cambiata. I contatti, che in realtà vanno avanti sottobanco da due anni, da quando l'Emirato islamico d'Afghanistan vi ha aperto una sede diplomatica, hanno portato a questo risultato: gli americani accettano di trattare con gli emissari del Mullah Omar, 'il mostro', 'il criminale di guerra' su cui pende tuttora una taglia di 25 milioni di dollari. Gli americani, per salvare la faccia, dicono che le trattative saranno condotte dal governo Karzai. Ma è una peccetta pietosa. Il Quisling Karzai, non conta nulla, è alle dirette dipendenze del Dipartimento di Stato. Le trattative saranno dirette fra americani e emissari del Mullah (Anche se Omar, pur dirigendo le operazioni, non sarà personalmente presente a Doha. Non si fida degli americani. Ricorda quanto accadde al suo ex ministro degli Esteri, Wakil Muttawakil, invitato nel 2005 negli Stati Uniti perchè considerato un 'moderato' con cui si poteva trattare. Muttawakil non aveva fatto ancora in tempo a mettere piede a New York che si trovo' a Guantanamo).
Rispetto ad altre volte le trattative hanno quindi basi più solide, poichè coinvolgono i veri protagonisti della guerra. E perchè entrambe le parti sono spinte dalla necessità. Gli americani di venirne fuori anche perchè non possono continuare a spendere 40 miliardi di dollari l'anno per una guerra che hanno già perso. I Talebani perchè, pur essendo padroni dell'immensa area rurale dell'Afghanistan, l'80% del Paese, non possono conquistare le città più importanti, dove sono arroccati gli occidentali, per l'enorme disparità degli armamenti. Ma la trattativa si presenta ugualmente difficilissima. Le distanze rimangono abissali. Basti questa. Gli americani vogliono mantenere comunque delle basi aeree in Afghanistan per poter continuare a controllare il Paese. Il Mullah Omar vuole che, a negoziato finito, non un solo soldato straniero calchi il suolo afgano. «Aspettatevi un processo lungo, complesso e caotico» avvertono i consiglieri della Casa Bianca. E, una volta tanto, hanno ragione.
Massimo Fini
Il Gazzettino, 21 giugno 2013
Dall'inconcludente vertice irlandese fra i cosiddetti 'grandi della Terra' la notizia vera è uscita solo all'ultimo, quando Barack Obama ha annunciato ufficialmente che a Doha, capitale del Qatar, erano iniziate le trattative con i Talebani per negoziare una pace in Afghanistan. Naturalmente, per non sputtanarsi oltremisura, Obama ha affermato, attraverso i suoi consiglieri, che le trattative non saranno condotte direttamente dagli americani ma dal governo Karzai con la Commissione politica talebana che ha ricevuto l'imprimatur del Mullah Omar, il capo della guerriglia. Ma è una copertura di facciata, perchè Karzai non conta niente, è un presidente-fantoccio alle dipendenze del Dipartimento di Stato Usa. Le trattative saranno dirette fra americani e Talebani. Del resto l'annuncio di Obama arriva dopo due anni di contatti sottobanco, da quando l'Emirato Islamico d'Afghanistan aveva aperto una sua sede diplomatica a Doha proprio per poter negoziare in territorio neutro.
Peraltro non è la prima volta che gli americani cercano di agganciare i Talebani . Ci provarono già nel 2005 quando la guerriglia, organizzata da Omar, era appena all'inizio della controffensiva. Proposero un'amnistia per i guerriglieri che avessero deposto le armi. Ma gli era andata male. In pratica nessun comandante talebano si era arreso. Dei 142 leader inseriti nella 'lista nera' del Consiglio di Sicurezza dell'Onu solo 12 figure marginali avevano accettato di deporre le armi (salvo riprenderle in seguito, dopo che i missili Nato avevano ucciso un fratello o un figlio). Ci avevano riprovato nel 2010, quando ormai i Talebani controllavano il 75% del territorio. Le condizioni degli americani erano queste: «Prima i Talebani disarmano e accettano la Costituzione, poi si potrà avviare un dialogo». La proposta era estesa a tutti i leader talebani escluso il Mullah Omar considerato «inidoneo» per una conciliazione nazionale. Aveva fatto notare Wakil Muttawakil ex ministro degli Esteri del Mullah Omar: «Una volta che i Talebani avranno deposto le armi e accettato la Costituzione che cosa ci sarà ancora da discutere?». Naturalmente non se ne fece nulla. E ci avevano riprovato di nuovo costituendo un grottesco Consiglio di pace dove sostenevano che erano entrati anche alcuni leader talebani, in realtà scartine raccattate per le strade di Kabul (in quell'occasione, ridotti alla disperazione, gli Usa avevano chiesto aiuto anche all' 'arcinemico' Iran).
Tutti questi tentativi erano falliti perchè gli americani si erano sempre rifiutati di trattare con il Mullah Omar, il capo indiscusso (e prestigioso agli occhi degli afgani) della guerriglia. E la novità dell'annuncio di Barack Obama è proprio questa: gli americani piegano le ginocchia e accettano di trattare con Omar, «il mostro», «il criminale», il leader di «un movimento spaventoso, motivato da una orribile ideologia» come si espime ancora oggi il neocon Paul Berman.
L'annuncio di Obama cela, malamente, una cocente sconfitta. Degli americani e della Nato. In dodici anni di guerra, la più lunga dei tempi moderni, il più potente e tecnologico esercito del mondo non è riuscito a piegare «un pugno di criminali e terroristi» che ha anzi riconquistato tutta l'immensa area rurale dell'Afghanistan, circa l'80% del Paese. E questo è potuto avvenire perchè, come ho scritto tante volte, i Talebani, e più in generale gli insorti (agli uomini del Mullah Omar si sono aggiunti altri gruppi) godono dell'appoggio della stragrande maggioranza della popolazione afgana, storicamente insofferente all'occupazione dello straniero, comunque motivata (inglesi, nell'800, e sovietici, nel 900, docent). Ma ora la situazione è di stallo. I Talebani non possono conquistare le città (Kabul, Herat, Mazar-i Sharif, a Kandahar culla del movimento talebano la situzione è un po' diversa) data l'enorme sproporzione degli armamenti. D'altro canto gli americani hanno l'assoluta necessità di venir via perchè non possono più permettersi di spendere 40 miliardi di dollari l'anno per una guerra che non potranno mai vincere. Ecco il perchè dei negoziati. Che si presentano difficilissimi. Gli americani, benchè perdenti, per levarsi dai piedi pongono delle condizioni. 1) Rottura di tutti i rapporti con Al Qaeda. 2) Fine degli attacchi in Afghanistan. 3) Riconoscimento della Costituzione del 2004. Poi ce n'è una quarta non detta: gli americani vogliono lasciare tre o quattro basi aeree per poter continuare comunque a controllare il Paese.
Sul primo punto non c'è problema. I Talebani non sono mai stati terroristi internazionali. Osama Bin Laden se lo sono trovati in casa, ce lo aveva portato il nobile Massud per combattere un altro 'signore della guerra' ,Hekmatyar. Osama Bin Laden di cui Omar non aveva alcuna considerazione (lo definiva «un piccolo uomo») è sempre stato un problema di cui si sarebbe volentieri liberato. Tanto è vero che quando nel 1998 Bill Clinton gli propose di farlo fuori si dichiaro' disponibile. Fu poi Clinton a tirarsi indietro (Documenti del Dipartimento di Stato). Se nel 2001, dopo gli attentati alle Torri Gemelle, si rifiuto' di consegnarlo agli americani fu per una questione di principio e di dignità nazionale. Il governo afgano chiese infatti agli Stati Uniti delle prove che effettivamente Bin Laden era alle spalle degli attentati e una seria inchiesta internazionale. Gli americani risposero: «Le prove le abbiamo date ai nostri alleati». A questo punto il governo afgano, come avrebbe fatto qualsiasi altro governo, si rifiuto' di consegnare, su queste basi, un uomo che era comunque sotto la loro giurisdizione. In ogni caso se in Afghanistan si ripresentassero degli arabi jihadisti Omar sarebbe il primo a cacciarli a pedate, visto che a causa loro s'è giocato il potere e l'intera esistenza. Comunque, se questo è il problema, il Mullah Omar, a quanto ne so, è disposto ad accettare ispezioni dell'Onu che controllino che in Afghanistan non si ricostituiscano basi del terrore.
Quello che non puo' assolutamente accettare è la Costituzione del 2004, ispirata alle istituzioni, ai valori, ai costumi dell'Occidente. Perchè ha combattuto proprio per preservare le istituzioni della tradizione afgana, i suoi usi, i suoi valori, la sua essenza. Infine, ed è il punto più critico, il Mullah Omar vuole che alla fine dei negoziati non un solo soldato straniero calchi il suolo afgano. Non ha combattuto più di trenta dei suoi 53 anni di vita per la libertà del suo Paese, prima, giovanissimo, contro gli invasori sovietici, lasciandoci un occhio, poi contro gli arbitrii, i soprusi, le violenze dei 'signori della guerra' (Massud, Dostum, Eckmatyar, Ismail Khan) e, da ultimo, contro gli occupanti occidentali, sacrificando la sua intera esistenza, per vedersi imporre, alla fine, una 'pax americana'.
Massimo Fini
Il Fatto Quotidiano, 20 giugno 2013