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Le prepotenze di Zelensky e dei suoi hanno superato ogni limite. Per la recente Via Crucis l’ambasciatore Ucraino in Vaticano, Andrii Yurash, ha protestato perché vi hanno partecipato oltre ad un ucraino anche un russo: “dimentica di dire che i suoi parenti sono andati in Ucraina per uccidere, e non viceversa”.  Papa Francesco questa volta non ha chinato la testa, lo aveva fatto l’anno scorso quando la protesta ucraina aveva ottenuto che il discorso del Papa, che comprendeva nella Via Crucis due ragazze, una ucraina e una russa, non fosse letto. Di recente il Corriere pubblicava un articolo dal titolo “schiaffo all’Ucraina” perché il Cio si era opposto alla pretesa ucraina che gli atleti russi non fossero presenti alle prossime Olimpiadi. Presa di posizione peraltro a metà perché il presidente del Cio Thomas Bach, da non confondersi con il musicista, tedesco e quindi chiaramente nazista, aveva dichiarato che gli atleti russi e bielorussi sarebbero stati accettati se “non hanno mai partecipato a una manifestazione pro guerra, hanno avuto rapporti con agenzie di sicurezza nazionale o si siano fatti tatuare la famigerata Z”. La fondista russa Stepanova ha risposto a muso duro a Thomas Bach, che è tedesco come il musicista e quindi in pectore nazista: “io non permetterò a nessuno di analizzare le mie opinioni per decidere se parteciperò ai Mondiali”. Dichiarazione ineccepibile, cui va aggiunto che, moraleggiando allo stesso modo, si potrebbe chiedere agli ucraini che ci facciano, nel loro esercito, i nazisti della Azov.

Ma ritornando alle invasioni di campo di Zelensky nelle attività del Papa sarebbe bene ricordare allo stesso Zelensky che la missione del Papa di Roma è di tutelare tutti, senza distinzioni religiose e tantomeno politiche. Se c’è un’Entità dove “uno vale uno” è quella della Chiesa cattolica dove vige il concetto cristianissimo che il perdono (“porgi l’altra guancia”, Cristo, i Vangeli) vale per tutti anche per il peggiore degli uomini. Un concetto diversissimo da quello dell’ebraismo militante che privilegia la vendetta e a proposito del genocidio di Gerico nel Deuteronomio, 33-34, afferma: “votammo allo sterminio ogni città, uomini, donne, bambini; non vi lasciammo anima viva”, nemmeno le bestie ad ascoltare altri passi della Bibbia il libro più noir stando ad alcuni interpreti contemporanei.

Ma a parte tutto questo perché noi europei dovremmo difendere a spada tratta uno Stato, l’Ucraina, che Stato non è mai stato davvero, ma solo un regalo di Krusciov che ne volle fare una provincia autonoma all’interno dell’Unione Sovietica?. Uno Stato dove sono state cancellate tutte le opposizioni e non esiste, di fatto, libertà di espressione. Perché gli ucraini sono “eroici nella difesa del loro territorio”? A parte il fatto che “eroici“ non tutti sono visto che fra gli otto e i dieci milioni se la sono filata e non tutti possono essere donne e bambini (quando gli occidentali invasero l’Afghanistan talebano nessun afgano, talebano o meno,  lasciò il paese, questo per dire che cos’è il vero sentimento di identità nazionale). In ogni caso con l’appoggio degli Stati Uniti, della Germania, della Polonia e di altri addentellati USA sarebbe stato “eroico” anche il Lussemburgo.

E poi che cosa ha dato, culturalmente e artisticamente, l’Ucraina all’Europa a differenza della Russia? I “balletti russi” si chiamano così perché furono inventati e creati a Parigi dal Russo Diaghilev. I più grandi ballerini di tutti i tempi sono stati Nižinskij (“la grazia innaturale di Nižinskij”, Prospettiva Nevski di Battiato) e Rudi Nurejev a meno di non ricorrere all’antica Roma, a Paride “un danzatore che alla straordinaria bellezza univa grazia, agilità, intensità espressiva” (Nerone, Duemila anni di calunnie).

E che dire dei musicisti: Ciaikovski, Mussorgski, Prokofiev, Rimskij-Korsakov, Stravinskij e ci potremmo fermare qui perché l’elenco occuperebbe un paio di pagine del Fatto. Sugli scrittori russi si sono educate generazione di europei: Puskin, Dostoevskij, Tolstoj, Turgenev, Lermontov. C’è Gogol, le anime morte, che è ucraino ma non sarebbe mai esistito se non all’interno della grande letteratura russa.

A me pare che non sia la Russia di Putin a voler cancellare l’Ucraina dalla mappa del mondo, ma che sia l’Ucraina a voler cancellare la Russia con tutta la sua storia. E comunque io dovrei stare con l’Ucraina che ora, ricattando, tiene per le palle mezzo mondo? Io mezzo russo, ebreo per soprammercato, sto con “la grande madre Russia”, di cui Putin è solo un tragico esemplare che non può far dimenticare tutto ciò che questo grande Paese ci ha dato.

 

Il Fatto Quotidiano, 14 Aprile 2023

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“La domenica delle salme

Non si udirono fucilate

Il gas esilarante

Presidiava le strade

La domenica delle salme

Si portò via tutti i pensieri

E le regine della tua culpa

Affollarono i parrucchieri”

(La Domenica delle Salme, De André)

 

Stiamo riuscendo a fare una figura di palta, cosa che peraltro non c’è mai stata difficile, in Europa e davanti all’intera Europa. A Luglio del 2020 l’Italia era riuscita ad ottenere per il Recovery Found, grazie al dileggiatissimo governo Conte (due) con l’aiuto determinante di Angela Merkel, che aveva messo a sedere i cosiddetti Paesi “frugali” che, non senza qualche buona ragione, diffidavano,  209 miliardi di cui 69 a fondo perduto e il resto in prestiti agevolati, più di qualsiasi altro Paese europeo.

Le cose si sono messe male fin dall’inizio. Probabilmente Draghi non aveva fatto bene i conti che dovrebbe essere il suo mestiere, non conoscendo che ne abbia mai fatto un altro. Siamo stati quasi subito costretti a chiedere a Bruxelles delle dilazioni per i progetti che avevamo presentato e che dovevano essere eseguiti entro il 2026 e anche una maggiore flessibilità perché risultava che alcuni progetti erano del tutto inattuabili  e dovevano essere quindi riconvertiti. La Commissione europea si era messa sul chi va là quando aveva visto che parte dei quattrini del Recovery erano destinati alla riqualificazione degli stadi di calcio di Firenze e Venezia. Sulla necessità di questi lavori una domanda avremmo dovuto forse porcela noi prima degli altri, ma in Italia c’è un certo fanatismo, soprattutto da parte delle cosiddette destre, per le “grandi opere”, vedi il ponte sullo stretto di Messina che non è compreso nel Recovery ma che Salvini ritiene inderogabile (ma che cosa abbiamo fatto di male per averci costui?) nonostante le decine di miliardi spesi per progetti sul ponte che si sono già rivelati impossibili, e urgentissimo come se in Calabria e soprattutto in Sicilia non ci sia la necessità di adeguare il sistema ferroviario e stradale prima di tutto il resto. Ma questi sono lavori minori meno appetibili dalle mafie locali, in stretto legame con l’intero sistema mafioso nazionale (la Mafia propriamente detta e gli imprenditori ‘collusi’), mentre sulle “grandi opere” il ricavo può essere molto succulento.

In Europa non ci caga più nessuno, pur essendo l’Italia, insieme alla Germania e alla Francia, uno dei paesi fondatori della stessa idea di Unione europea. Nella considerazione collettiva siamo stati superati anche dalla Spagna che con il governo socialista di Sanchez ha introdotto una seppur limitata patrimoniale e ha preso importanti provvedimenti per limitare l’utero in affitto che, secondo la ministra dell’Uguaglianza Irene Montero, è un cinico sfruttamento del corpo della donna (“una violenza contro la donna” per usare le sue parole).

Nel febbraio scorso Macron e Scholtz si sono incontrati a Parigi, per una cena, con Zelensky per convincerlo ad arrivare ad un accordo con la Russia. L’Italia non pervenuta. Recentemente in Cina c’è andato Macron, con una cinquantina di imprenditori al seguito, per concludere ottimi affari, attraverso il governo di Xi in quella enorme area geografica che è diventata attraente anche per gli occidentali perché pur in Cina è arrivato il capitalismo, sia pure un capitalismo di stato. E questa è un’occasione che abbiamo perso perché era stato proprio il governo Conte attraverso il bistrattatissimo ministro degli Esteri Luigi Di Maio ad aprire alla “via della seta”. Naturalmente poi non se ne è fatto nulla per il niet degli Stati Uniti cui Draghi è stato sempre appecoronato (questo è il suo vero lavoro). Però lo sforzo di Giggino non è stato del tutto infruttuoso visto che i giornali cinesi affermano che tra i paesi occidentali l’Italia è quello che va meno criticato.

 

Il Fatto Quotidiano, 11 aprile 2023

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Il Foglio, per la penna di Paola Peduzzi, ha fatto un lungo e interessante reportage su Vinitaly, la fiera del vino che si svolge in questi giorni. Il Foglio però si occupa soprattutto dell’aspetto economico, che ovviamente c’è perché il vino è un prodotto, anche se molto particolare. Io penso invece che quella del vino sia soprattutto una questione culturale più importante di quella economica.  Di quest’ultima mi preme solo sottolineare che noi italiani siamo incapaci di promuovere i nostri prodotti. I francesi hanno degli ottimi vini, beaujolais, bordeaux, borgogna. Ma noi ne abbiamo di altrettanto validi, e forse più validi e soprattutto molto diversificati. Penso che sia una questione orografica perché la Francia è in buona parte piatta mentre noi con gli Appennini e 8300 chilometri di coste, peraltro autorovinate, abbiamo regioni diversissime e quindi anche vini molto diversi poiché l’Umbria non è la Toscana, la Toscana non è l’Abruzzo, l’Abruzzo è lontanissimo dalle Puglie e dalla Sicilia.  Siamo poi continuamente vittime di appropriazioni indebite. Il Prosecco croato (Prošek) non ha nulla a che vedere col nostro.

Per noi italiani, dicevo, il vino è soprattutto una cultura ed un fatto sociale. Lo si è sempre bevuto dappertutto e non mi riferisco tanto ai grandi ristoranti (anzi questa storia degli chef stellati comincia a dare sui nervi, indice di una bulimia che riguarda il cibo) ma alle bettole, alle taverne, ai trani di cui parla Gaber (dove ci sono “il finto pittore e il finto scrittore che parlan di sé, tra sé e sé”). E’ nei trani che si incontrava la clientela più disparata, ubriaconi dei bei tempi andati, dirigenti che venivano a consolarsi di un amore perduto, piccola mala. E’ lì che si facevano degli incontri interessanti e a volte delle amicizie, non certamente nei bar trendy di Corso Como dove ogni coppia davanti a un malinconio e immalinconito spritz sta con la sua solitudine.

A tavola, nelle famiglie, si è sempre pasteggiato col vino, l’acqua era impensabile, la Coca cola una bestemmia.

Però adesso il vino conosce un rapido declassamento. Intanto per ragioni, diciamo così, tecniche: oggi il classico tappo di sughero è spesso sostituito da tappi di plastica. Ora è vero che a volte il sughero può contaminare il vino (il classico “sapore di tappo”) ma lo si può bere lo stesso. se succede con la plastica il vino diventa imbevibile.

I ragazzi oggi preferiscono bere birra, le ragazze i bianchi con le bollicine che sono vini per “chi tiene alla salute” come sono gli astemi, cresciuti in modo esponenziale, a cominciare dal direttore di questo giornale, tipi pericolosissimi gli astemi, come, i vegani e vegetariani, in cui si nasconde un serial killer.   

C’è poi da considerare che proprio la commercializzazione del vino ha prodotto gravi storture e speculazioni. Il Chianti è coltivato, appunto, nella zona del Chianti. Oggi ce n’è in giro una quantità mostruosa, in Italia e soprattutto negli Stati Uniti (che cosa vogliono sapere di vino quegli zotici degli americani, la loro bevanda nazionale è il whisky, un superalcolico che meriterebbe tutto un altro discorso) è chiaro che si tratta di un Chianti taroccato. Il Pigato viene coltivato in una ristrettissima zona della Liguria, nell’imperiese, inoltre, essendo un vino molto delicato, non sopporta il passaggio degli Appennini, quindi se vi offrono un Pigato a Milano non è un Pigato o comunque non ha le qualità del Pigato. Il Pigato, insieme al “Nostralino” un suo sottoprodotto, io lo bevevo, con il mio amico Giagi d’estate (è un classico vino estivo) sulle bancarelle di Savona al costo di 20 o 30 lire. Adesso pur tenendo conto delle successive e inevitabili inflazioni (problema del momento) te lo servono ad un prezzo proibitivo ( a Milano un Pigato quasi autentico lo puoi trovare solo a le Cinque Terre),

Oggi per portarsi avanti si comincia a vendemmiare a Giugno, una vera bestemmia ( è come quando si ingrassano i polli tenendoli ventiquattro ore su ventiquattro sotto la luce dei riflettori, perché ingrassino prima, portando sulle nostre tavole, come abbiamo già scritto, una carne malata) perché la vendemmia la si fa a Settembre ed era quindi occasione di grandi feste contadine quando i contadini esistevano ancora. 

C’è poi la vendemmia meccanica che sta sostituendo quella manuale. Perché? Elementare Watson: perché la vendemmia manuale vuole molta più manodopera (poi ci lamentiamo perché ci sono i percettori del Reddito di Cittadinanza). Inoltre la vendemmia meccanica non può sostituire, per qualità, quella fatta con le manine sante di un uomo o di una donna (avrei dovuto scrivere, secondo le imposizioni attuali  che hanno fatto della donna non più “la seconda metà del cielo com’era e come doveva rimanere, ma la prima: ”le manine sante di una donna e di un uomo”). E’ la questione dei tombini. A Milano che oltretutto non ha un fiume decente non potendosi considerare tali il Seveso e il Lambro, vere fogne a cielo aperto,  basta un onesto temporale che la città si allaga. Perché i tombini non vengono più sturati dagli spazzini diventati “operatori ecologici” quando esistono ancora, ma dalle macchine che sono ovviamente più veloci ma non hanno la cura che lo spazzino mette, metteva, nel suo mestiere. Inoltre gli stessi tombini sono cambiati. Una volta erano un’opera d’arte tanto che l’artigiano ci teneva a metterci sopra il suo nome anche se solo con le iniziali. Ma questo ha che vedere con un’altra questione, anch’essa all' ordine del giorno, la semi-scomparsa dell’artigianato che si può trovare ancora solo in qualche piccolo centro o comunità, altrimenti sono imprese con la voracità delle imprese e l’anonimato delle imprese.

Io comunque rimango fedele al vino, in qualsiasi forma, anche annacquato: “Ma che ce frega, ma che ce 'nporta se l'oste ar vino ci ha messo l'acqua,e noi je dimo, e noi je famo, ci hai messo l'aqua e nun te pagamo “.

 

Il Fatto Quotidiano, 7 aprile 2023