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Il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, non avendo altro cui pensare, ha deciso di vietare, facendosi forza del Regolamento comunale sulla “qualità dell’aria”, il fumo anche all’aperto cioè alle fermate dei mezzi pubblici, standone lontani dieci metri, nei parchi, nelle aree attrezzate per gioco, sport e attività per bambini, nelle aree cani.

Gli uomini politici devono appartenere a una specie diversa. Come si fa a pensare ad un ulteriore divieto proprio mentre siamo gravati da infiniti verboten sotto il cui peso camminiamo come il “vecchierel bianco, infermo…con gravissimo fascio in su le spalle”? Il divieto di Sala rischia di essere il classico capello che fa crollare il cammello. E’ ovvio che nel periodo d’ansia che tutti stiamo vivendo ognuno cerchi una sua qualche via di fuga. Secondo l’Iss in questo periodo è triplicato l’uso di psicofarmaci e di droghe, leggere e pesanti. Di queste dipendenze il fumo mi sembra, almeno in questo momento, il più innocente o quantomeno il meno dannoso. Per giustificare questo divieto si è detto che il fumo inquina l’aria. Ma la smettano di prenderci per i fondelli, chi inquina è la produzione di CO2 delle fabbriche e il traffico automobilistico, il fumo vi ha una parte marginalissima.

Bisognerebbe piuttosto parlare dei gravi errori compiuti dal Governo italiano che si è fatto sorprendere da una seconda ondata del Covid che gli stessi scienziati avevano previsto e, per quel che mi riguarda e per quel che vale, io avevo dato per certo: una molla fortemente compressa appena si allenti la pressione rimbalza fuori con la stessa forza con cui è stata spinta. Nel periodo che intercorre tra il primo lockdown e quello, forse ancora più pesante, che ci sta per cadere addosso, il Governo doveva rafforzare tutti i presidi sanitari e il trasporto pubblico comprando mezzi ovunque ce ne fosse la possibilità e utilizzando anche i pullman privati che al momento se ne stanno inutilmente negli hangar. Niente di tutto questo è stato fatto.

A parer mio, che per fortuna di tutti non sono Presidente del Consiglio, la linea del Governo italiano, peraltro imitata da quasi tutti i Paesi europei, era sbagliata in radice: bisognava lasciare che l’epidemia, pur fronteggiandola con tutti i mezzi (mascherine, lavarsi le mani, eccetera) tranne il devastante “distanziamento sociale”, devastante per le nostre strutture nervose e per l’economia, facesse il suo corso e la propria opera, che Madre Natura gli detta, di sfoltire la popolazione.

Dicevo: tutti i Paesi europei. In realtà non proprio tutti. Il Governo svedese si è limitato a dare “raccomandazioni” contando sul notorio senso civico dei suoi cittadini. Nel momento in cui scrivo in Svezia i morti per Covid sono circa 6.000, noi ne abbiamo circa 39.000. E’ vero che gli svedesi sono 10 milioni e noi 60, quindi, in questa macabra conta, bisogna moltiplicare per sei i deceduti scandinavi. E’ anche vero che fra Italia e Svezia c’è una densità territoriale molto diversa, 200 abitanti per chilometro quadrato in Italia, 23 in Svezia. In Svezia ci sono poche grandi città, Stoccolma, Göteborg, Malmö, da noi a causa di un movimento di urbanizzazione e desertificazione delle campagne che è mondiale (e anche questo è un dito d’accusa puntato sul modello di sviluppo della cosiddetta Modernità) ci sono molte grandi città, Milano, Torino, Genova, Firenze, Roma, Napoli, Palermo che sono ormai sfuggite o stanno per sfuggire al nostro controllo.

Quanti saranno alla fine della pandemia, ammesso che con questo comportamento stop and go ci sia una fine, i morti svedesi e i morti italiani? Non lo possiamo sapere, i conti si faranno alla fine. Nel frattempo però, due anni, tre anni, gli svedesi avranno continuato a vivere, sia pur con qualche limite autoimposto, come hanno sempre vissuto senza subire lo stress dei coprifuoco salvando contemporaneamente la loro economia. Inoltre, se qualche istituto di statistica sarà in grado di fornirci i dati, bisognerà mettere in conto gli “effetti collaterali” dei vari lockdown: depressione, che abbassa le difese immunitarie, infarti, ictus e tutti coloro che, gravati da altre e ben più pericolose patologie, non hanno potuto avere le cure adeguate e a causa di ciò son morti.

Finalino incoraggiante. Donald Trump ha già immesso nel sistema economico americano tre trilioni di dollari, Biden si appresta a infilarcene altri due. Da dove la vanno a prendere quest’enorme quantità di denaro? Se ce l’avessero avuta l’avrebbero già usata. Non ce l’avevano e non ce l’hanno. In realtà questo denaro è fatto di un credito verso un futuro ipotecato fino a regioni temporali così  sideralmente lontane da essere inesistente e, prima o poi, più prima che poi, ci ricadrà addosso, a tutti e non solo agli americani, come drammatico presente, sulla scia di quanto è avvenuto, usando lo stesso paranoico meccanismo, con la Lehman Brothers e la crisi del 2008. E’ questo che, Covid o non Covid, ci aspetta al varco. Auguri.

Pezzo inedito. 5 novembre 2020

Massimo Fini

 

 

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Nel 2021 si celebreranno i settecento anni dalla morte di Dante Alighieri. Aldo Cazzullo, il noto editorialista del Corriere della Sera, ha anticipato tutti con un bel libro “A riveder le stelle”. La lettura che Cazzullo dà del Sommo Poeta è particolarmente interessante perché, a differenza di quella del pur ottimo Sermonti che si fissa molto sui simbolismi della Divina, che pur ci sono ma che per noi hanno ormai uno scarso significato, ci restituisce un Dante in carne e ossa, con la sua vita, le sue passioni, le sue idee, i suoi pensieri. Del resto la Divina Comedia è di fatto una autobiografia (“ogni filosofia è un’autobiografia” scrive Nietzsche). Dato per scontato che Dante fonda, in modo meraviglioso, la lingua italiana (nel libro di Cazzullo vengono richiamati molti detti che sono penetrati profondamente nel linguaggio comune, attuale, anche se noi non ce ne rendiamo più conto) e che, insieme a Leopardi, è il massimo letterato del nostro Paese e, a livello mondiale, sta con Shakespeare e pochi altri, Dante come persona esce a pezzi da questa autobiografia mascherata, anche se Cazzullo, che ne condivide evidentemente in qualche modo le idee, cerca di dissimulare in tutti i modi l’indecenza della povertà umana del Sommo Poeta.

Dante è un uomo vendicativo. Non c’é personaggio, anche di notevole spessore, che non ficchi nei gironi peggiori dell’Inferno solo perché gli han fatto un qualche sgarbo o si sono schierati dalla parte politica opposta alla sua, si tratti di Guelfi Neri o Ghibellini. Non c’è città italiana che sfugga alle sue invettive, da Firenze che lo esiliò, a Pisa “vituperio delle genti”, alla garbata Siena, a Genova descritta come sentina di tutti i vizi. E’ un manicheo. E’ irriconoscente anche verso chi negli anni suoi bui gli diede generosamente una mano, come i conti Guidi che lo ospitarono più volte ma nei quali riesce comunque a trovare qualche macchia. Ispirato da Virgilio, il suo ‘doppio’, fa grandi concioni sulla pietas, che è un concetto latino piuttosto estraneo al mondo cattolico cui Dante aderisce ‘toto corde’,  ma non ne ha nessuna per i suoi avversari. E’ un legalista, un pio devoto all’ordine superiore  e non per nulla tutta la Divina è organizzata in modo gerarchico. E’ un moralista insopportabile a un occhio moderno. Il climax lo raggiunge non proprio nella Divina ma nella tenzone che ebbe con Forese Donati a cui ne dice di tutti i colori: “Non è figlio di suo padre, come Cristo non lo era di Giuseppe; è brutto, sfregiato, goloso, grasso, e non paga i conti; la moglie Nella è raffreddata anche d’agosto, perché dorme sola mentre lui è in giro con altre donne o a rubare; pure i suoi fratelli trascurano le mogli, forse perché preferiscono gli uomini” (Cazzullo traduxit). In un colpo solo son sistemati i brutti, i grassoni, le persone che non corrispondono a un canone di bellezza standard, le donne, gli omosessuali.

In Dante ci devono essere delle gravi turbe psichiche. Non si descrivono con minuzia di particolari, godendone, gli spaventosi tormenti dei dannati se non si ha una personalità sadomasochista. Nella bolgia dedicata ai falsari ne vede uno talmente gonfio da sembrare un liuto, una sorta di mandolino più grande, come se la testa e il busto formassero il manico e la pancia la cassa armonica dello strumento. In un altro passaggio dedicato a due ladri Buoso Donati e Francesco Cavalcanti (padre del delicato poeta, suo amico) li accoppia fondendo così l’uno nell’altro: il serpente divenuto uomo ritrae il muso appuntito per trasformarlo in una faccia, cui spuntano le orecchie, si forma il naso e si ingrossano le labbra e all’uomo divenuto serpente le orecchie si ritirano come le corna della lumaca e la lingua si biforca, mentre l’altra lingua che era biforcuta si richiude. Certo non manca la fantasia al Poeta, ma è una fantasia malata, horror, da Grand Guignol o alla Dario Argento.

Nell’ultimo cerchio dove Lucifero sta ben piantato nel ghiaccio è punito il tradimento supremo: la ribellione al potere legittimo, la rivolta contro la divinità. Dante non coglie, e non può cogliere, a differenza di Milton (“meglio esser primi all’Inferno che in Ciel servire”) la grandezza appunto luciferina di Satana, il più bello degli Angeli, il primo ribelle della Storia. Come non coglie, là dove ne accenna, la grandezza, molto più terrena e concreta, di Lucio Sergio Catilina che si ribellò al potere del Senato romano, cioè dei latifondisti che con parole moralistiche coprivano i loro interessi economici, andando fino in fondo alla sua storia ben sapendo che alla fine di questa storia c’era solo la morte (Catilina. Ritratto di un uomo in rivolta). Si dirà che Dante esprime lo zeitgeist, cioè lo spirito del suo tempo, ma Cecco Angiolieri, che gli è contemporaneo, sta su tutt’altra sponda. Cecco come poeta non è Dante, ma socialmente riflette una componente di quella società che non ci stava al “politically correct”. Dante è estraneo a questa epica perché è tutto fuorché un ribelle.

Insomma, diciamolo pure, Dante persona fa un certo senso, cosa non nuova nei grandi artisti. Se si legge la biografia di Proust, di quest’uomo che si dilettava nel veder vivisezionare i topi, ne esce una persona che uno non avrebbe voglia di frequentare nemmeno per una semplice bicchierata al bar, e lo stesso Pasolini, esempio più vicino a noi, con la sua voglia di umiliare le ‘marchette’ al di là di ogni limite (finché una di queste, “Pino la Rana”, esasperato, non lo ucciderà) è molto diverso dal Pasolini coltissimo, creativo, controcorrente che siamo abituati a leggere sulla pagina o a vedere nei suoi film (peraltro a volte non riusciti). Queste zone d’ombra dei grandi artisti sono spesso all’origine della loro grandezza, non salirebbero alle stelle se non si fossero immersi fino in fondo nelle stalle.

Col libro di Cazzullo ripercorriamo, grazie a Dante, buona parte della letteratura greca e latina che lo hanno preceduto. Inoltre in Cazzullo, che sembra avere un’ottima conoscenza della mappa del nostro Paese, sia in senso geografico che storico, ritroviamo monumenti, lapidi, iscrizioni, di cui anche la persona mediamente colta ha perso contezza.

Cazzullo confronta poi i peccati di ieri, che Dante illustra con abbondanza di perfidia, con quelli di oggi. Attualizza cioè Dante. E questa è forse una delle debolezze del suo libro perché qui il giornalista del Corriere ridiventa cronista. Non c’è bisogno che a proposito dei ‘falsari’ ci rifaccia tutta la storia del Monte dei Paschi di Siena che il lettore conosce benissimo. Come inutili e noiose sono le pagine dedicate alla tragedia del Vajont dove, anche mettendocela tutta, non si riesce a cogliere una connessione con l’Inferno, se non nel Fato che è un concetto greco del tutto estraneo a Dante per il quale tutto dipende, dicendola col Manzoni, dalla Divina Provvidenza.

E alla “fin della tenzone” non so se in questa recensione ho stroncato solo la persona del Sommo Poeta o, con una perfidia prettamente dantesca, anche il mio amico Aldo Cazzullo.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 3 novembre 2020

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Noi difenderemo sempre la nostra libertà e i nostri valori” (Emmanuel Macron, dopo l’attentato a Nizza).

La vostra libertà, Presidente Macron? La vostra libertà. La vostra libertà è stata sempre quella di troncare con la violenza quella altrui. Avete un passato coloniale che fa orrore. Come tutti gli altri Paesi europei, come l’intera razza bianca (ho detto razza, restituiamo le parole ai fatti) ma non ci si può lavare l’anima, un’anima sporca come poche, con un facile e comodo “così fan tutti”. Era appena finito il processo di Norimberga, che secondo alcuni uomini di buona volontà avrebbe dovuto sancire la condanna definitiva della guerra, che con l’atroce brutalità di sempre soffocavate il Madagascar che cercava di liberarsi dalle vostre manette coloniali. Dopo la seconda guerra mondiale vi siete seduti come vincitori al tavolo della pace. Arbitrariamente, perché la vostra Resistenza è stata addirittura inferiore a quella italiana. Gerhard Heller, un singolare nazista (in realtà era solo un tedesco) che durante l’occupazione della Francia era a capo della Propagandastaffel, cioè della censura, e che invece lasciò pubblicare il giovane Camus (Lo straniero) e il giovane Sartre (A porte chiuse) e rappresentare le opere di quest’ultimo anche a teatro, diceva “siamo disgustati dalla quantità di francesi che vengono a denunciare altri francesi” (La Rive Gauche, H.R.Lottman). A parte che Heller era impregnato di cultura francese è evidente che la Gestapo riteneva del tutto innocua la resistenza o la pseudoresistenza degli intellettuali transalpini.

La vostra libertà, nonostante tutte le arie di grandeur, non siete mai stati capaci di difenderla. Durante la prima guerra mondiale foste salvati dagli inglesi. Nella seconda la strombazzata linea Maginot fu aggirata con irrisoria facilità dall’esercito tedesco e in due settimane Hitler passeggiava sugli Champs-Elysées. L’Europa fu salvata, ancora una volta, dallo straordinario valore e coraggio degli inglesi che come colonialisti non hanno meno responsabilità di voi ma a differenza vostra hanno le palle. Napoleone? Napoleone era corso e comunque fu sulla punta delle baionette, cioè ancora con la violenza, che furono esportati in Europa quei sacri princìpi dell’Illuminismo (liberté, égalité, fraternité) che voi rispettate un giorno sì e un altro no a seconda che vi convengano o non vi convengano.

Si dirà che son cose che appartengono a un passato ormai lontano. Mica tanto. Siete stati in Algeria, se non sbaglio, sino al 1962. Siete l’unico Paese europeo che fa uso ancora di pratiche coloniali vieux style. Nel Mali del Nord –ed è storia di oggi- convivevano pacificamente animisti, tuareg, islamici moderati. Ma, poiché occupate di fatto il Mali del Sud e la sua capitale Bamako, la cosa non vi stava bene. E avete quindi scatenato l’inferno nel Mali del Nord cercando di rioccuparlo con la forza, inventandovi anche una moneta coloniale che fa comodo a voi ma non certamente a chi là ci vive. Risultato: gli islamici son diventati estremisti, e animisti e tuareg hanno dovuto soccombere.

Storie di ieri? Nel 2011, con un’azione del tutto illegittima secondo il diritto internazionale, e contro la volontà dell’Onu, avete attaccato la Libia di Muammar Gheddafi, lasciato assassinare il colonnello con un linciaggio che farebbe orrore a quelli che chiamate, che tutti chiamano, “i tagliagole dell’Isis”, cosicché oggi la Libia è totalmente fuori controllo, percorsa da violenti e sanguinosissimi scontri intertribali, mentre durante il regime di Gheddafi la Libia non rappresentava un pericolo all’esterno e viveva con sufficiente ordine al suo interno. Perché lo avete fatto? Per i nobili princìpi della libertà e dei suoi valori? No, solo per sostituire i vostri interessi economici a quelli dell’Italia che con la Libia, sia per motivi storici, sia grazie a Berlusconi che con Gheddafi aveva stretto rapporti di amicizia, sia pur a modo suo, maldestro, aveva forti legami. Dell’attuale, tragica, situazione libica siete i principali responsabili.

Come non ho mai creduto al processo di Norimberga, dove pur sedevate fra i giudici, né ad alcun Tribunale internazionale per “crimini di guerra” perché son sempre i Tribunali dei vincitori (all’Aja ci vanno solo i serbi, da Milosevic, a Karadzic, a Mladic), beh se questi Tribunali fossero una cosa seria uno dei primi a dover esservi mandato, insieme ad altri autentici tagliagole come Bush, Obama e il nostro grande amico Abdel Fattah al-Sisi, dovrebbe essere Nicolas Sarkozy.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 31 ottobre 2020