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La guerra in Afghanistan continua. Ritengo molto improbabile che se un combattente talebano o Isis si sveglia la mattina con un po’ di mal di gola dica “oh, oggi non me la sento proprio di battermi, telefono prima al medico di famiglia o alla Asl, ma al Pronto Soccorso non ci vado di sicuro perché lì è pieno di feriti gravi e gravissimi”. La guerra in Afghanistan, per parafrasare Bertoldo al contrario, sono tre: guerra dei Talebani all’Isis, guerra dei Talebani all’esercito “regolare” afgano, guerra dell’Isis contro tutti, soprattutto civili e in particolare sciiti. Ma è mai possibile che ancora oggi commentatori autorevolissimi non abbiano capito che i Talebani non solo non hanno niente a che vedere con Isis, cioè col terrorismo internazionale, ma lo combattono dal 2015, da quando cioè gli uomini del fu Al Baghdadi hanno cominciato a penetrare in Afghanistan? Ma è mai possibile che nessuno ricordi, o si ricordi, della “lettera aperta” che il Mullah Omar nel 2015 (dato per morto, chissà perché, nel 2013) scrisse ad Al Baghdadi intimandogli di non cercare di penetrare in Afghanistan perché quella dei Talebani era una guerra di indipendenza nazionale che nulla aveva, e ha, a che fare coi deliri geopolitici dell’Isis? In quella lettera inoltre Omar diceva ad Al Baghdadi qualcosa che dovrebbe interessare noi ma soprattutto i musulmani: “Tu stai dividendo pericolosamente il mondo islamico”, fra sunniti e sciiti. E infatti durante il governo del Mullah Omar che era sunnita, come sunnita era buona parte di coloro che lo seguivano, non ci fu nessuna persecuzione della pur consistente minoranza sciita, gli sciiti dovevano rispettare la legge come tutti gli altri, punto e basta. C’è anche un’importante differenza fra il Califfato del fu Al Baghdadi, o di chi per lui, e l’”Emirato Islamico d’Afghanistan” come Omar volle che fosse chiamato il suo Stato. Il Califfo pretende di discendere da Maometto, Omar, che nasceva da poverissima gente e apparteneva a un modestissimo clan, gli Hotaki, ha sempre rifiutato questa impostazione e così si comportano coloro che gli sono succeduti a cominciare dall’attuale leader Mawlawi Haibatullah Akhundzada, che non è uno dei cinque figli del Mullah Omar, che detestava, come ha dimostrato in tutta la sua vita, il familismo all’italiana basato sui rapporti di parentela e non sul merito, ma si è distinto, prima giovanissimo come lo stesso Omar, nella guerra agli invasori sovietici e in seguito nella ventennale lotta contro i più micidiali invasori occidentali. Il primo a dare ai Talebani la caratura di “gruppo militare e politico, non terrorista” è stato Putin, che sarà quel che sarà ma è un uomo di Stato che vede lontano oltre ad essere un russo, russissimo, della Moscovia. Anche Biden quando era vice di Obama definì i Talebani degli indipendentisti, e ci voleva del coraggio a dire queste cose in quell’America.

Ma è mai possibile che ogni volta che c’è un atto di guerriglia o un attentato in Afghanistan si aspetti la rivendicazione per attribuirne la paternità? La distinzione è molto semplice: se sono presi di mira obbiettivi politici o militari, cercando di limitare il più possibile gli “effetti collaterali”, l’azione è talebana per la semplice ragione che i Talebani non hanno alcun interesse a inimicarsi la popolazione sul cui appoggio hanno potuto contare nella lunghissima lotta agli invasori occidentali, mentre gli Isis non hanno di queste preoccupazioni.

Ora che gli americani se ne stanno andando e piuttosto rapidamente dall’Afghanistan (mentre noi restiamo là non si capisce a far cosa, spendendo ogni anno più di 170 milioni di euro con i quali non si risana ovviamente un bilancio ma sarebbero molto utili in Italia in epoca di pandemia, giriamo la domanda al nostro premier, al ministro della Difesa e al ministro degli Esteri Luigi di Maio) il focus è sulle trattative, a Doha, fra il governo di Ashraf  Ghani e i Talebani. Il problema di fondo è: che fare dei “collaborazionisti”, cioè di coloro, governo, amministrazione, polizia, magistratura, esercito “regolare”, che in questi anni hanno appoggiato l’invasore americano e i suoi alleati? E’ escluso che da questi colloqui salti fuori un premier scelto fra i “collaborazionisti” i quali oltretutto non sembrano consapevoli di rischiare la pelle e si sono divisi in due fazioni, quella di Ashraf Ghani e quella di Abdullah Abdullah,  come incredibilmente al tramonto del regime nazista in Germania c’era chi, per esempio Himmler, cercava di fare le scarpe al fuhrer. Sarebbe come se conclusa la guerra in Italia un gerarca fascista si proponesse come premier. Questi qui non hanno fatto la guerra per vent’anni per ritrovarsi sulla testa un quisling. Oltretutto i Talebani sanno benissimo che una volta che gli americani se ne saranno andati definitivamente, basi comprese, spazzeranno via l’esercito “regolare” con estrema facilità. Questo esercito infatti è formato da ragazzi che si sono arruolati per disperazione, per avere un salario, e non sono per nulla motivati, tanto che per quanti ne entrano ogni anno altrettanti ne escono. I Talebani non toccheranno certamente questi loro giovani connazionali. Per i meno compromessi l’attuale leader dei Talebani Akhundzada ha proposto un’amnistia, come fece nel 1996 il Mullah Omar, dopo aver fatto giustiziare il fantoccio dei sovietici Naiisbullah , amnistia che rispettò durante i sei anni del suo governo. Per i più compromessi c’è l’ipotesi di un salvacondotto, che se ne vadano negli Stati Uniti e la sia finita.

Che cosa sono disposti a concedere i Talebani?  Ispezioni Onu perché non si creino in Afghanistan santuari del terrorismo internazionale, che peraltro i Talebani sono gli unici a combattere in quel Paese. Sul piano dei diritti civili i Talebani sono disposti a non porre limiti al diritto delle donne a studiare, diritto che peraltro in linea di principio esisteva già ai tempi del governo di Omar, ma al quale non fu possibile dare una concreta attuazione perché i Talebani, nella loro indubbia sessuofobia, pretendevano che non solo le classi maschili e femminili fossero distinte ma occupassero edifici diversi e ben lontani fra loro. Programma che non ebbero modo di attuare perché impegnati da Massud che non accettava la sconfitta, non ebbero il tempo di costruire questi edifici. Avevano altre priorità.

Se fosse ancora vivo il Mullah Omar, con la sua moderazione, ho scritto moderazione, con la sua saggezza, ho scritto saggezza, propenderei per una soluzione pacifica di questa questione cruciale. L’attuale leader dei Talebani, Akhundzada, è della stessa generazione di Omar e ne ha la mentalità. Ma i più giovani sono incarogniti da anni e anni di una guerra infame, che ha costretto gli afghani a un reciproco fratricidio, e non è escluso che ci siano regolamenti di conti ed esecuzioni sommarie come fecero in Italia i comunisti nel cosiddetto “triangolo rosso” dopo la fine della guerra.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 14 novembre 2020

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Nel suo immancabile papello annuale il sempiterno Bruno Vespa ci informa che fra Salvini, Meloni e Berlusconi è stato stipulato un patto per portare quest’ultimo alla Presidenza della Repubblica. Tappa seccante ma solo intermedia per l’ex Cavaliere che da “unto del Signore” aspira legittimamente a diventare Monarca di origine divina così come lo erano in Europa tutti i Sovrani medioevali e, più recentemente, in Giappone il Mikado fino a quando i vincitori americani non imposero la devinizzazione dell’Imperatore in nome della loro “cultura superiore”, laica, anche se per la verità il Presidente degli Stati Uniti finisce sempre il proprio discorso alla Nazione con la formula “Dio protegga l’America” e non si capisce perché mai il Dio dovrebbe proteggere proprio questi guerrafondai seriali e non piuttosto i pacifici indigeni delle Isole Andamane.

Ma quando arrivato ai 120 anni a cui altrettanto legittimamente aspira, ma anche, perché no, oltre, mai mettere limiti alla Divina Provvidenza, e non sarà certo l’ex Cavaliere a porli poiché è cattolicissimo (e anche massone, vabbè, sibbè, embè, chi se ne freg, chi se ne import) tanto che nella turpe stagione di Mani Pulite, allorché i Pm non riuscendo a interrogarlo perché il Premier opponeva sempre i suoi impegni politici, gli proposero la domenica mattina, rispose: “Ma la domenica io vado a Messa”, Silvio Berlusconi salirà finalmente all’Empireo. E qui saranno problemi seri per la Santissima Trinità. Perché Berlusconi non è tipo da restar subalterno a nessuno. Poiché il numero dei giocatori in campo non può essere cambiato, così come nel Campionato di calcio i giocatori devono essere undici e se se ne vuole immettere uno nuovo un altro va sostituito, il primo a rischiare la “panca” è lo Spirito Santo questo “spettro” come lo definisce Borges che non si è mai capito bene che ruolo abbia e in quale posizione giochi. Deciderà il Capitano, sempre che rimanga tale e il Nuovo Arrivato non sostituisca anche lui precipitandolo nel Campionato parallelo dell’Europa League per i misfatti di cui si è reso responsabile (“l’unica scusante di Dio è di non esistere”, Baudelaire) rimpiazzando Lucifero che tornerà al suo posto.

Certo sarebbe la prima volta che in un Paese democratico, e anche non democratico, un soggetto che per una colossale evasione fiscale è stato condannato a quattro anni di galera, diventati poi grazie ai benefici uno e mezzo scontato a ridicoli “servizi sociali”, ma insomma condannato in via definitiva, che ha usufruito di nove prescrizioni per reati che percorrono quasi l’intero Codice penale (corruzione di magistrati, falso in bilancio, finanziamento illecito, falsa testimonianza e in almeno tre di questi casi la Cassazione appurò che quei reati erano stati effettivamente commessi ma era passato il tempo utile per giudicarli) che ha quattro processi in corso, assurge alla massima carica dello Stato. Ma per i ‘berluscones’ queste sono bazzecole, bagatelle, anzi infamie ai danni del leader di Forza Italia. Berlusconi, si sa, è vittima della “Magistratura politicizzata”, anche se quando sono gli altri ad essere sotto schiaffo la Magistratura diventa integerrima. Un sillogismo binario, aristotelico, che non può essere revocato in dubbio.

Qualche perplessità sull’età è stata sollevata persino da Vespa. Berlusconi si candiderebbe a 85 anni e mezzo e, se tutto va bene, concluderebbe il suo mandato a 92. Ma ci sono dei precedenti illustri. Pertini voleva ricandidarsi a 89 anni e avrebbe terminato il suo secondo mandato a 96. Quindi Berlusconi ha quattro anni di vantaggio. E Pertini ci teneva fortissimamente a questo secondo mandato, tanto che avendo io scritto un pezzo in contrario chiese e ottenne il mio licenziamento insieme al direttore della Domenica del Corriere Magnaschi.  Non che gli contestassi l’età, bensì il modo sciagurato con cui “il Presidente più amato dagli italiani” aveva condotto il suo settennato, violando Costituzione, imparzialità, qualsiasi protocollo e persino la buona educazione. Inoltre Berlusconi ha un vantaggio. Pertini non era noto per il suo acume (il vecchio Pietro Nenni, che in tarda età era stato colpito da un’infermità agli arti inferiori, diceva: “A me ha preso le gambe, a lui la testa”), mentre di Berlusconi non si sa se sia intelligente o meno, ai posteri l’ardua sentenza, ma è certamente furbo, furbissimo, astuto, astutissimo. Berlusconi è un bizzarro incrocio fra l’italiano di Machiavelli (“il fine giustifica i mezzi”) e quello del Guicciardini che punta sul “particulare”, ognun per sé e Dio per tutti. Quindi anche culturalmente Berlusconi ci esprime. Rappresenta al meglio il peggio degli italiani, almeno quelli di oggi: disonesti, corrotti, corruttori, opportunisti, cinici. Quindi chi meglio di lui? Io sono perciò favorevolissimo alla candidatura dell’ex Cavaliere al massimo soglio della Repubblica italiana. E grido forte: “Berlusconi for President, Silvio forever”. E così sia.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 11 novembre 2020

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Il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, non avendo altro cui pensare, ha deciso di vietare, facendosi forza del Regolamento comunale sulla “qualità dell’aria”, il fumo anche all’aperto cioè alle fermate dei mezzi pubblici, standone lontani dieci metri, nei parchi, nelle aree attrezzate per gioco, sport e attività per bambini, nelle aree cani.

Gli uomini politici devono appartenere a una specie diversa. Come si fa a pensare ad un ulteriore divieto proprio mentre siamo gravati da infiniti verboten sotto il cui peso camminiamo come il “vecchierel bianco, infermo…con gravissimo fascio in su le spalle”? Il divieto di Sala rischia di essere il classico capello che fa crollare il cammello. E’ ovvio che nel periodo d’ansia che tutti stiamo vivendo ognuno cerchi una sua qualche via di fuga. Secondo l’Iss in questo periodo è triplicato l’uso di psicofarmaci e di droghe, leggere e pesanti. Di queste dipendenze il fumo mi sembra, almeno in questo momento, il più innocente o quantomeno il meno dannoso. Per giustificare questo divieto si è detto che il fumo inquina l’aria. Ma la smettano di prenderci per i fondelli, chi inquina è la produzione di CO2 delle fabbriche e il traffico automobilistico, il fumo vi ha una parte marginalissima.

Bisognerebbe piuttosto parlare dei gravi errori compiuti dal Governo italiano che si è fatto sorprendere da una seconda ondata del Covid che gli stessi scienziati avevano previsto e, per quel che mi riguarda e per quel che vale, io avevo dato per certo: una molla fortemente compressa appena si allenti la pressione rimbalza fuori con la stessa forza con cui è stata spinta. Nel periodo che intercorre tra il primo lockdown e quello, forse ancora più pesante, che ci sta per cadere addosso, il Governo doveva rafforzare tutti i presidi sanitari e il trasporto pubblico comprando mezzi ovunque ce ne fosse la possibilità e utilizzando anche i pullman privati che al momento se ne stanno inutilmente negli hangar. Niente di tutto questo è stato fatto.

A parer mio, che per fortuna di tutti non sono Presidente del Consiglio, la linea del Governo italiano, peraltro imitata da quasi tutti i Paesi europei, era sbagliata in radice: bisognava lasciare che l’epidemia, pur fronteggiandola con tutti i mezzi (mascherine, lavarsi le mani, eccetera) tranne il devastante “distanziamento sociale”, devastante per le nostre strutture nervose e per l’economia, facesse il suo corso e la propria opera, che Madre Natura gli detta, di sfoltire la popolazione.

Dicevo: tutti i Paesi europei. In realtà non proprio tutti. Il Governo svedese si è limitato a dare “raccomandazioni” contando sul notorio senso civico dei suoi cittadini. Nel momento in cui scrivo in Svezia i morti per Covid sono circa 6.000, noi ne abbiamo circa 39.000. E’ vero che gli svedesi sono 10 milioni e noi 60, quindi, in questa macabra conta, bisogna moltiplicare per sei i deceduti scandinavi. E’ anche vero che fra Italia e Svezia c’è una densità territoriale molto diversa, 200 abitanti per chilometro quadrato in Italia, 23 in Svezia. In Svezia ci sono poche grandi città, Stoccolma, Göteborg, Malmö, da noi a causa di un movimento di urbanizzazione e desertificazione delle campagne che è mondiale (e anche questo è un dito d’accusa puntato sul modello di sviluppo della cosiddetta Modernità) ci sono molte grandi città, Milano, Torino, Genova, Firenze, Roma, Napoli, Palermo che sono ormai sfuggite o stanno per sfuggire al nostro controllo.

Quanti saranno alla fine della pandemia, ammesso che con questo comportamento stop and go ci sia una fine, i morti svedesi e i morti italiani? Non lo possiamo sapere, i conti si faranno alla fine. Nel frattempo però, due anni, tre anni, gli svedesi avranno continuato a vivere, sia pur con qualche limite autoimposto, come hanno sempre vissuto senza subire lo stress dei coprifuoco salvando contemporaneamente la loro economia. Inoltre, se qualche istituto di statistica sarà in grado di fornirci i dati, bisognerà mettere in conto gli “effetti collaterali” dei vari lockdown: depressione, che abbassa le difese immunitarie, infarti, ictus e tutti coloro che, gravati da altre e ben più pericolose patologie, non hanno potuto avere le cure adeguate e a causa di ciò son morti.

Finalino incoraggiante. Donald Trump ha già immesso nel sistema economico americano tre trilioni di dollari, Biden si appresta a infilarcene altri due. Da dove la vanno a prendere quest’enorme quantità di denaro? Se ce l’avessero avuta l’avrebbero già usata. Non ce l’avevano e non ce l’hanno. In realtà questo denaro è fatto di un credito verso un futuro ipotecato fino a regioni temporali così  sideralmente lontane da essere inesistente e, prima o poi, più prima che poi, ci ricadrà addosso, a tutti e non solo agli americani, come drammatico presente, sulla scia di quanto è avvenuto, usando lo stesso paranoico meccanismo, con la Lehman Brothers e la crisi del 2008. E’ questo che, Covid o non Covid, ci aspetta al varco. Auguri.

Pezzo inedito. 5 novembre 2020

Massimo Fini