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In un bel pezzo su Repubblica (29.07) intitolato “la chiesa sbiadita non guida più gli italiani” Ilvo Diamanti nota come il magistero spirituale della Chiesa sia sempre più debole nel nostro Paese. In realtà il processo è in atto da molto tempo e non riguarda certamente solo l’Italia ma l’intero mondo occidentale. Il pregio dell’articolo di Diamanti è di darci alcuni dati Istat e di Demos & Pi basati quindi non su un’impressione, peraltro assai diffusa, ma su dati statistici: meno del 20 per cento fra gli italiani va a messa regolarmente ogni settimana, l’insegnamento della chiesa è ritenuto molto importante solo dal 15 per cento e fra gli under 30 il dato scende al 5 per cento.

Quando alla fine dell’Ottocento Friedrich Nietzsche proclama la “morte di Dio” constata in realtà, sia pure con un certo anticipo, che il senso religioso e del sacro sta morendo nel mondo occidentale, come diventerà evidente nel Novecento. La religione verrà sostituita dalle ideologie, ma oggi anche le ideologie sono in crisi perché, si tratti di Occidente o di Cina, nonostante i feroci scontri geopolitici in atto, il modello di sviluppo che si è affermato è quello capitalista come del resto anche tutto il filone che deriva dal pensiero di Marx.

Un mondo totalmente materialista genera, per forza di cose, dei contraccolpi di segno contrario. E poco importa che in molti paesi la religione Cattolica sia ufficialmente la più diffusa. Prendiamo la Francia. La Francia è laica per definizione poiché la sua cultura deriva direttamente dalla Rivoluzione che fece piazza pulita della convinzione che i Re fossero tali per “diritto divino” (la decapitazione di Luigi XVI è emblematica in questo senso) ma, a parte questo il francese è troppo influenzato dal pensiero di Cartesio per poter credere in qualcosa di irrazionale come la religione. Tanto che la Francia ha fatto del laicismo una specie di religione di Stato, cioè una religione di segno contrario, e del resto basta aver seguito una messa in qualche chiesa d’oltralpe per capire che il francese è una lingua inadatta alla religione.

 Il problema della chiesa Cattolica di oggi (per quella ortodossa il discorso è, sia pur leggermente, un po’ diverso) è che non è riuscita ad intercettare questi contraccolpi. La Chiesa, nel tentativo di non perdere il contatto con i fedeli, ha cavalcato la Modernità invece che prenderne le distanze. Tipico è il caso del pontificato di Wojtyla, che è stato percepito come un Pontefice politico, perché a lui si attribuisce il merito di aver dato la spallata decisiva al comunismo e aver favorito, insieme alla Germania, l’indipendenza della cattolica Croazia, indipendenza che darà poi origine a tutte le guerre slave a svantaggio della Serbia sì comunista ma ortodossa. Ma il peggio è che Papa Wojtyla ha utilizzato tutti i mezzi pubblicitari del mondo moderno, TV (la presenza, sia pure a distanza, nel salotto di Vespa), jet, viaggi spettacolari, creazioni di eventi, concerti, papamobile, papaboys fino alla sua troppo esibita agonia. Se è vero quello che dice McLuhan e cioè che “il mezzo è il messaggio” Wojtyla ha finito per immedesimarsi nella Modernità. Sulla stessa linea mi pare si sia messo Papa Bergoglio coi sui modi da “piacione” e il desiderio di essere accettato da tutti (un intermezzo in questa deriva è stato il pontificato di Ratzinger, una figura più spirituale, il quale, quando era ancora cardinale, aveva affermato che “il Progresso non ha migliorato l’uomo nè la società e si prospetta come un pericolo per la stessa sopravvivenza del genere umano”). Insomma Wojtyla raggiunse l’apogeo della popolarità mondana a scapito del messaggio spirituale (in fondo la ragione in ditta della Chiesa è la cura delle anime, non la politica).

Ma poiché le esigenze spirituali sono consustanziali all’essere umano le persone si sono rivolte altrove, al buddismo, all’islamismo, all’esoterismo, all’occultismo, al satanismo e perfino all’astrologia.

Di particolare importanza, visto il periodo che stiamo vivendo, è il raffronto con l’Islam. Ho assistito a Teheran, quando c’era ancora Khomeyni, alla “preghiera del Venerdì”. Io non appartengo a nessuna religione, ma quel giorno mi sono emozionato per la forza della loro emozione che non trovi in nessuna chiesa europea dove, a parte il rito stanco e vagamente scaramantico della messa della domenica, in chiesa ci sono solo una decina di vecchie strapenate terrorizzate dalla vicinanza della morte.

La forza degli islamici, e non è necessario essere Isis o dei radicali, è che credono in qualcosa. Noi non crediamo più a nulla, crediamo al dentifricio che “sbianca più bianco”, cioè alla pubblicità, al marketing, ai prodotti materiali, in definitiva al modello di sviluppo che promettendo la felicità universale ci ha resi, per ciò stesso, infelici (e lasciamo perdere qui, per pietas, l’enorme crescita dell’uso e abuso di stupefacenti che vuol dire semplicemente che le persone, ricche o povere che siano, non stanno bene nella propria pelle, insomma questo modello è riuscito nell’impresa di far star male anche chi sta bene). In questo contesto è facile capire che sarà l’Occidente, nonostante il suo strapotere militare, economico, tecnologico e politico, a perdere la partita.

15 Agosto 2024, Il Fatto Quotidiano

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Ci furono tempi felici in cui facevo il cronista. All’epoca il curriculum del nostro mestiere aveva step piuttosto precisi. All’inizio ai praticanti si davano da redigere le “brevi”, i TACCUINI, cioè notizie di poca importanza che riguardavano piccoli eventi cittadini. Se passavi questo step diventavi “inviato di città”. E in una metropoli come Milano non mancavano, soprattutto negli “anni di piombo”, eventi di portata nazionale. Come la misteriosa morte dell’editore Giangiacomo Feltrinelli che mal maneggiando un ordigno morì sotto un traliccio dell’alta tensione a Segrate (Indro Montanelli scrisse crudamente che Feltrinelli era “un povero ragazzo malato di guevarismo”). O la morte di Pino Pinelli, un anarchico del tutto teorico, mite, che dopo un interrogatorio pesante fu fatto “volare” dal quarto piano della Questura di Milano. O Il vile omicidio sotto casa del commissario Calabresi. Dopo infinite inchieste della Magistratura i mandanti vennero individuati in Adriano Sofri e Giorgio Pietrostefani, gli esecutori in Ovidio Bompressi e Leonardo Marino. Sofri ottenne, caso quasi unico nella storia giudiziaria italiana, la Revisione del processo ma anche la Revisione lo ritenne colpevole. Ciò non gli ha impedito, scontati sette anni dei ventidue che gli erano stati comminati, di diventare editorialista del più importante quotidiano di sinistra, La Repubblica, e del più diffuso settimanale di destra, Panorama: promosso evidentemente per meriti penali. C’è una fotografia, che conservo gelosamente, di noi della cronaca dell’Avanti, a cena dopo la morte di Feltrinelli (allora i giornali chiudevano molto tardi, verso le 3 del mattino) Ugo Intini, Liano Fanti, Attilio Schemmari, Arturo Viola ed io, felici per aver tenuto botta allo strapotere del Corriere. Insomma anche nelle piccole redazioni, come era quella dell’Avanti, ci si poteva togliere qualche soddisfazione.

In seguito diventavi inviato “regionale” e poi “nazionale”. Se avevi dimostrato attenzione e interesse per i fatti internazionali diventavi inviato tout court. E qui c’era un altro step. Non è detto che un inviato, anche un grande inviato, abbia la weltanschauung, cioè la visione del mondo, necessaria per commentare fatti di geopolitica.

Le soddisfazioni di un inviato di esteri erano sostanzialmente due. La prima, più importante, era di conoscere culture diverse dalla nostra di cui avevamo solo letto o sentito parlare. Fu in un viaggio in Kenya e Tanzania nel 1970, quando non facevo ancora il giornalista, che cominciai ad elaborare i miei sospetti sulla “cultura superiore” che daranno poi origine, anni dopo, a La ragione aveva Torto?.  La seconda è che se stavi un mese, poniamo, nel Sudafrica dell’apartheid, come è capitato a me, dovevi occuparti solo di quello che accadeva in quel Paese, cioè non dovevi seguire quotidianamente le miserie della politica politicante italiana, le catacombali polemiche su fascismo e antifascismo, su Vannacci o sulle dichiarazioni di Mollicone.

Attualmente gli inviati di esteri, soprattutto su terreni di guerra, si dividono in due categorie. C’è chi invece di dar conto di ciò che succede sul campo si inventa come analista dando interpretazioni che si potrebbero fare tranquillamente anche da Milano, da Parigi, da Berlino. C’è invece chi scrive di ciò che succede sul campo, non limitandosi a intervistare questo o quel comandante militare, o un sociologo o un politologo, ma parlando anche col salumiere o il prestinaio. E ti rende quindi l’humus in cui vivono quelle popolazioni. E’ il cosiddetto giornalismo “in presa diretta” che ha caratterizzato la mia generazione e un paio di quelle successive. A questa categoria appartiene Lorenzo Cremonesi, inviato di lungo corso del Corriere, probabilmente il migliore dopo la morte dell’inarrivabile Ettore Mo, persona, parlo di Mo ma anche di Cremonesi, dai modi assai modesti e riservati come sono tutti quelli che, sicuri del proprio mestiere, non hanno bisogno di dimostrare nulla, da Montanelli a Giorgio Bocca.

Cremonesi ha seguito tutte le più importanti guerre dell’ultimo quarto di secolo, dall’Afghanistan all’Iraq alla Siria, al conflitto israelo-palestinese, alla guerra russo-ucraina. L’ultima volta che l’ho sentito, per telefono, si trovava a Charkiv, sotto le bombe russe. Uno dei pregi di Cremonesi è quello di cercare di entrare nella mentalità anche dei gruppi combattenti la cui ideologia gli è più estranea. La prima volta che incrociai Cremonesi, naturalmente sulle pagine del Corriere, fu in occasione dell’invasione occidentale/Nato dell’Afghanistan del 2001. Raccontava questo episodio. I giornalisti occidentali entravano in Afghanistan dal Pakistan e naturalmente i giovani afghani, cioè i talebani, erano ostili ai giornalisti che appartenevano a paesi che stavano invadendo la loro terra. Un gruppo di giovani talebani si mise a prenderli a sassate. Ma intervenne un vecchio, in quelle culture l’anziano ha un grande prestigio e non importa che sia un capo clan o una persona qualsiasi, che disse “no ragazzi questo non si fa”. Eravamo a Kandahar l’ultima roccaforte talebana dove gli americani scaricavano bombe su tutto, compresi i campi da gioco dei ragazzini. Annota Cremonesi “pare incredibile ma a Kandahar regna l’ordine, l’ordine del Mullah Omar”. Perché per il Mullah gli stranieri, a meno che non appartenessero a forze combattenti ostili, erano degli “ospiti”. E ci sono infinite circostanze che dimostrano che tutti coloro che sono stati prigionieri dei Talebani vennero trattati con correttezza, soprattutto le donne, stando molto attenti alle loro particolari esigenze femminili. C’è da tener presente che allora i Talebani, accusati a torto di essere alle spalle degli attentati dell’11 Settembre, erano per l’Occidente “l’orrore puro”. Ci voleva del coraggio per raccontare un episodio a loro favorevole.

Il bello delle vacanze estive è che, sottratti all’impegno di seguire la politica politicante, ci si può dedicare alla lettura di libri interessanti. Uno di questi è “Guerra infinita. Quarant’anni di conflitti rimossi dal Medio Oriente all’Ucraina” di Lorenzo Cremonesi dove l’autore mescola gli eventi di guerra di cui è stato testimone, comportandosi con grande coraggio ma anche con la necessaria prudenza, che gli deriva proprio dalla sua esperienza di inviato, alla sua vita personale. Ma vedo che il suo libro ha avuto poche e riottose recensioni, in genere su media di basso livello. E se Cremonesi ha sentito il bisogno di telefonarmi, perché l’avevo citato favorevolmente in un’intervista a Michele Brambilla de Il Giornale, vuol dire che si sente un isolato. Invece, a parer mio, meriterebbe il Pulitzer.

11 Agosto 2024, Il Fatto Quotidiano

 

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La serie che ogni estate Il Fatto Quotidiano organizza nel mese di Agosto, per vincere la noia, è dedicata quest’anno ai personaggi “maledetti”. In genere i “maledetti” sono personaggi che, ad un certo momento della loro vita si sono schierati dalla parte sbagliata della storia come racconta un bel libro di Andrea Colombo intitolato appunto ‘Maledetti. Dalla parte sbagliata della storia’ (edizione Lindau). Nel libro di Colombo sono raccolti personaggi illustri che aderirono a nazismo o non ne presero sufficientemente le distanze, da Conrad Lorenz a Martin Heidegger a Emil Cioran a Micea Eliade. Sui “maledetti” io sto in una botte di ferro avendo scritto un libro dedicato a Lucio Domizio Enobardo, in arte Nerone un personaggio che ha sempre goduto di cattivissima stampa, superato forse, in questa sinistra classifica, solo da Adolf Hitler.

Ma la storia di Nerone è, anche da questo particolare punto di vista, del tutto singolare. Nerone non solo non è stato “dalla parte sbagliata della storia” ma ha avuto un ruolo propulsivo non solo per le vicende dell’Impero romano ma, se si fosse dato retta ad alcune sue intuizioni per la stessa storia dell’Occidente. In realtà Nerone fu un grandissimo uomo di stato che pensava, per dirla con Nietzsche, “in grande stile”, fu un visionario che cercò di modellare il mondo secondo le sue intuizioni ed immaginazioni. Fu Nerone a creare, sulla spinta di Claudio, ma con molta maggiore energia, quella burocrazia che fu la spina dorsale dell’Impero e gli consentì di resistere al proprio disfacimento. Fu Nerone a intuire che un potere che si estendeva dall’Europa al Medio Oriente all’Africa non poteva più essere governato con la mentalità quirita, ristretta, dei tempi del consolato quando Roma era ancora, nella sostanza, una società contadina. E’ stato Nerone a progettare di dividere l’Impero fra due capitali, Roma e Alessandria d’Egitto che era allora la città più importante e colta del mondo ellenistico da cui Nerone attinse i formidabili tecnici che gli consentirono di tentare le più ardite operazioni, come quella di tagliare l’istmo di Corinto per evitare che i mercantili romani naufragassero nelle turbolente acque al largo di Capo Matapan. E quel tracciato, sospeso per la morte dell’imperatore, fu ripreso paro paro nel 1881, cioè quasi duemila anni dopo.

Se i Romani avessero accettato all’epoca la divisione dell’Impero avrebbero poi potuto governarla, invece di subirla, quando nacque l’Impero Romano d’Occidente.

Fu Nerone a progettare un’arditissima manovra in campo tributario – stoppata poi dai senatori – diminuendo le tasse dirette che più colpiscono il cittadino a favore di quelle indirette. E, in estrema sintesi Nerone cercò di portare avanti una politica che oggi chiameremmo keynesiana con la costruzione di grandi opere pubbliche, aiutato in ciò dal famoso incendio, per reagire ad un periodo di stagnazione economica.

Ora non è possibile riassumere qui in poche righe una vita così ricca e complessa come quella di questo imperatore romano. Chi voglia saperne di più può leggere il libro che gli ho dedicato intitolato significativamente “Nerone. Duemila anni di calunnie”. Però, per fare un tragitto più breve, si può andare a visitare la Domus Aurea, recentemente restaurata almeno in parte e il ritratto che ne viene fuori è quello di un uomo solare totalmente in contrasto con la sua leggenda nera.

Questa leggenda è alimentata e continua ad esserlo dagli ambienti cristiani che lo ritengono il primo persecutore della loro fede. Niente di vero. In realtà Nerone, sostanzialmente un laico, ma curioso di tutto era attratto dalle religioni orientali, in particolare dall’Ebraismo e dal Cristianesimo spinto in ciò dalla sua seconda moglie, Puppea, legata agli ambienti ebraici. Una persecuzione sistematica dei cristiani fu iniziata da Domiziano una ventina di anni dopo. Il fatto è che i cristiani, per vocazione al martirio o perché consideravano la Roma di Nerone sodoma e gomorra, si accusarono dell’incendio che naturalmente fu del tutto casuale in una città costruita in legno con grattacieli alti come i nostri e fu proprio Nerone, in conseguenza dell’incendio, a costruire i palazzi in materiale ignifugo. Lo stesso prevenutissimo Tacito è costretto ad ammettere che l’opera di Nerone per tamponare l’incendio e per porre riparo al disastro è degna di una moderna Protezione civile. Del resto come poteva Nerone celebrare con la sua lira l’incendio  dall’alto del palatino, come sostiene Svetonio, se proprio il palatino stava andando a fuoco? E’ che se l’incendio era doloso, come l’autorità romana, viste le confessioni dei cristiani, aveva ragione di credere, era un attentato difronte al quale l’11 Settembre è una bazzecola. Dei cristiani residenti a Roma ne furono processati 300, 200 vennero assolti, gli altri crocefissi secondo le crudeli usanze dell’epoca. Ma Paolo, il leader dei cristiani, poté continuare a divulgare liberamente la sua fede con la sola limitazione di non lasciare le mura della città. In termini moderni: una sorta di “custodia cautelaris”.

Ma non c’è niente da fare. Nonostante gli storici moderni diano un’immagine molto più equilibrata dell’imperatore maledetto, nell’immaginario collettivo la fantasia di un imperatore che dà fuoco alla sua capitale è troppo potente. In una bella pubblicità del Crodino di qualche anno fa si vede un Nerone tutto arruffato e colante di sudore. Il barman gli chiede: “che cosa hai Lucio? Ti vedo tutto affannato e sudato”. “Amo appena bbruciato mezza Roma”.

8 Agosto 2024, Il Fatto Quotidiano