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Il tennista serbo, serbissimo (“il Kosovo è terra serba”) Novak Djokovic ridiventato numero uno del mondo dopo aver vinto nei giorni scorsi la  finale dell’Australian Open contro il greco Tsitsipas in tre set (6-3 7-6 7-6) ha sentito il bisogno di difendere suo padre Srdjan. Quali sono le colpe del padre di Djokovic? Essere stato filmato insieme ad altri tifosi serbi che avevano foto pro Putin e la classica Z. L’ambasciatore ucraino in Australia aveva chiesto che fosse negato l’accredito al padre di Djokovic per assistere alle partite del figlio. Subito accontentato. Ora, l’Australia non è un paese Nato e quindi non ha nessun obbligo di comminare sanzioni alla Russia, né economiche né di qualsiasi altro tipo. In secondo luogo fra russi e serbi c’è un legame storico, sono entrambi popoli slavi (Jugoslavia, come ho già scritto, vuol dire “slavi del sud”) e quindi è del tutto normale che parteggino per la Russia e non per l’Ucraina, difesa a spada tratta dagli Stati Uniti e dalle Nazioni europee anche se in qualche caso, vedi Germania, obtorto collo. In particolare i serbi non possono avere alcuna simpatia per la coalizione occidentale a guida Usa da quando gli americani nel 1999 bombardarono per 72 giorni la loro capitale, Belgrado(5500 morti civili) in favore del Kosovo.

Mi chiedo se esista una norma di diritto internazionale cui si possa ricorrere per pretendere che tutti i Paesi siano a favore dell’Ucraina e contro i russi. Naturalmente c’è il mantra: qui c’è un aggressore, la Russia, e un aggredito, l’Ucraina. Vero. Ma questa distinzione non è mai stata fatta quando ad aggredire, contro la volontà dell’Onu, erano gli occidentali, in Serbia appunto, in Iraq, in Somalia, in Libia. In quanto all’Afghanistan (400mila morti civili) la copertura Onu cessò quando fu accertato che la dirigenza talebana dell’epoca che governava l’Afghanistan era completamente all’oscuro dell’attacco alle torri gemelle. Del resto non c’era un solo afghano, tanto meno talebano, nel commando che colpì le torri gemelle, ne un solo afghano, tanto meno talebano, fu trovato nelle cellule, vere o presunte, di Al Qaeda scoperte dopo l’attentato, c’erano arabi sauditi, egiziani, marocchini, tunisini, cioè arabi, ma nessun afghano, tanto meno talebano. L’11 settembre mentre le folle arabe scendevano in piazza in segno di giubilo, il governo talebano guidato dal Mullah Omar mandava agli Stati Uniti un messaggio di cordoglio. L’invasione americana dell’Afghanistan fu ribattezzata “Enduring freedom” non avendo più la copertura dell’Onu e quindi era illegittima come tutte le altre.

Questa pretesa di Zelensky di dettar legge in tutto l’universo mondo, si tratti della UE o della lontanissima Australia, finirà per ritorcersi contro la stessa Ucraina.

Non è possibile che in tutto ciò che dice Putin, magari in favore di una  tregua, ci sia sempre un arriere pensee, mentre tutto ciò che dice Zelensky è il Verbo.

Lo stesso discorso lo si può fare per l’Iran accusato di fornire droni alla Russia. Ma come, l’Ucraina può essere riempita di armi da quasi tutti i paesi europei, oltre che dagli Stati Uniti, e alla Russia questo aiuto è negato? Da qui si entra in un discorso solo apparentemente ‘altro’ perché riguarda il doppiopesismo occidentale. L’Iran ha firmato il Trattato di non proliferazione nucleare, ha accettato gli ispettori dell’AIEA, l’agenzia Onu per il controllo del nucleare, che hanno sempre accertato che l’arricchimento dell’uranio iraniano non è mai andato oltre il 3 o il 6 per cento (per fare la Bomba l’arricchimento deve arrivare al 90 per cento). Israele non ha firmato il Trattato ma l’atomica ce l’ha e nessuno si è mai sognato di sanzionarlo. L’Iran è stato invece ricoperto di sanzioni. Nel 2015 Barak Obama aveva raggiunto un ragionevole compromesso con il paese degli Ayatollah: l’Iran accettava di fermare qualsiasi escalation in campo nucleare in cambio di una diminuzione delle sanzioni che lo stavano strangolando. E’ stato Donald Trump a stracciare questo accordo. Forse le sanzioni all’Iran non avrebbero dovuto essere date allora, per il nucleare, ma comminate oggi che il regime degli Ayatollah fa strage delle giovani e dei giovani che stanno scendendo in piazza dopo la morte di Masha Amini (allo stato 585 vittime civili) ed esegue impiccagioni in serie.

Nei giorni scorsi l’esercito israeliano ha attaccato in Cisgiordania un presunto gruppo di terroristi palestinesi: 13 morti, due sicuramente civili. Sui media la notizia è passata in secondo piano. Per rappresaglia i palestinesi e la Jihad islamica (perché Isis si è infiltrata anche qui) hanno attaccato un gruppo di israeliani nei pressi di una sinagoga facendo sette morti e una decina di feriti. La notizia è stata data, giustamente, con grande risalto. Il fatto che l’attentatore, ventun anni, sia un “lupo solitario”, almeno per ora, fa pensare che sia stata la Jihad che agisce spesso in questo modo ‘radicalizzando’ rapidamente dei giovani fino ad allora pacifici. Non per nulla la Jihad ha definito “eroica” questa operazione.

Come la costante ingerenza di Zelensky per ogni dove finirà per ritorcersi contro la stessa Ucraina (l’opposizione della maggioranza degli italiani alla presenza del presidente ucraino al Festival di San Remo ne è un segnale) così il costante doppiopesismo occidentale finirà per ritorcersi contro lo stesso occidente. Le aggressioni americane degli ultimi vent’anni ci hanno creato molti nemici che non sono solo la Russia o la Cina, ma stanno in India, in Medio Oriente e anche altrove. In Brasile il presidente Lula ha posto il veto alla fornitura di armi e munizioni all’Ucraina.

Il Fatto Quotidiano, 3 febbraio 2023

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Fornendo i propri carri armati Leopard all’Ucraina e autorizzando alcuni paesi, Polonia, Finlandia, Danimarca, a fare uso di questi mezzi, per cui c’è bisogno del nulla osta tedesco, Scholz ha ceduto più che alle invocazioni di Zelensky al diktat Usa. Nella giornata in cui è stata presa questa decisione che coinvolge anche l’Italia, che dall’inizio della guerra ha fornito all’Ucraina circa un miliardo di dollari in armamenti, nessuno dei principali media ha ricordato a chi stiamo fornendo queste armi e questi soldi. Zelensky, quasi fuori tempo massimo, ha fatto una purga di sapore staliniano, dove cojo cojo, liquidando quindici alti dirigenti ucraini, vice ministri, governatori, membri della magistratura, accusati a vario titolo di corruzione e di aver speculato sulla guerra ai danni di chi stava combattendo sul campo (la cosa non è nuova, almeno alle orecchie di noi italiani: durante la prima guerra mondiale mentre i soldati contadini - vedi i Malavoglia di Verga - si battevano e morivano al fronte la borghesia faceva affari d’oro ai loro danni). Ma la corruzione dell’Ucraina non è cosa di oggi, secondi i dati dell’International Transparency l’Ucraina è al 122 esimo posto in questa poco commendevole classifica che vede al primo la virtuosa Danimarca (secondo lo stesso istituto l’Italia è al 42 esimo).

Secondo il presidente americano Joe Biden questo ulteriore innalzamento dello scontro “non è una minaccia offensiva nei confronti di Mosca”. E’ come mettere sul tavolo una pistola e dire a chi sta davanti: guarda che io non ce l’ho con te. Un metodo mafioso, alla Matteo Messina Denaro.

Ma i diktat di Washington nei confronti di quei Paesi europei che sono più riluttanti a partecipare a quest’orgia di armamenti e minacce non si fermano qui. Gli appetiti americani sull’Europa vanno ben oltre. Washington ha proposto di fare del G7 che comprende, oltre agli USA, Canada, Francia, Germania, Giappone, Regno Unito e Italia un organismo permanente. La presenza del Giappone in questo organismo significa che gli americani vogliono coinvolgere alcuni dei principali Paesi europei nella loro politica aggressiva nei confronti del sud est asiatico, Cina, India, Vietnam, Indonesia, Malesia, Laos, Cambogia. Ma noi europei non abbiamo nessun contenzioso con la Cina o col Vietnam o col Laos. Al contrario abbiamo tutto l’interesse a mantenere buoni rapporti con la Cina che si presenta come un grande mercato, così come la Cina ha lo stesso interesse nel mercato europeo. Non per nulla Luigi Di Maio quando era ministro degli Esteri aveva aperto alla “via della seta”. Cosa che è risultata disastrosa per lo stesso Di Maio perché gli americani della “via della seta” non volevano neanche sentir parlare.

Insomma avendo le mani in pasta in quasi tutto il mondo gli americani vogliono che gli europei diano loro una mano anche in scacchieri che ci sono o indifferenti, o, peggio ancora, favorevoli. Questo è un segno di debolezza perché vuol dire che gli americani non sono così sicuri di avere ancora la leadership globale che detengono dalla fine della seconda guerra mondiale che hanno vinto con l’appoggio determinante degli inglesi e, anche se oggi è quasi proibito ricordarlo, dei russi, mentre l’Ucraina, quando in campo c’era la Gestapo, è stata protagonista di uno dei più gravi pogrom, proporzionalmente s’intende, antiebraico. Di qui l’iniziale freddezza di Israele nell’unirsi all’assalto alla Russia. Ma adesso Gerusalemme ha compiuto un rapido dietrofront bombardando, in appoggio all’Ucraina, una fabbrica iraniana per la produzione di missili e droni. Questa almeno la versione del Wall Street Journal perché è ovvio che Israele non ammetterà mai di essere alle spalle di questo attacco a un paese con cui, almeno formalmente, non è in guerra. Sarebbe la violazione di ogni norma di diritto internazionale anche se il Mossad è abituato ad operazioni molto disinvolte: a maggio dell’anno scorso ha assassinato in terra iraniana un alto ufficiale dei pasdaran. Che sarebbe successo a parti invertite, se cioè l’Iran avesse colpito in territorio israeliano? Ma, si sa, allo Stato ebraico è concesso tutto ciò che è vietato agli altri.

Il Novecento è stato “il secolo americano”, d’una America peraltro più umana di quella che è in campo oggi. Fu il presidente Usa Woodrow Wilson a proporre la Società delle Nazioni che, memori degli sfracelli della prima guerra mondiale, avrebbe dovuto impedire altri conflitti di questo genere e, per rimandare a un dettaglio, alla Liberazione fu il comandante americano della piazza a inorridire di fronte allo scempio di Piazzale Loreto con i corpi di Mussolini, della Petacci e di alcuni gerarchi appesi per i piedi alla famosa pensilina del distributore di benzina Esso e a ordinare al capo del CLN presente, mi pare fosse Pertini ma vado a memoria, di togliere immediatamente quei corpi. Disse: “Noi per queste cose abbiamo un posto che si chiama morgue, da voi, mi pare, obitorio”.

Abbiamo detto che il Novecento è stato il “secolo americano” ,gli anni Duemila saranno di altri, probabilmente della Cina o forse dell’India o forse del mondo islamico. Gli americani non si rassegnano e negli ultimi anni hanno disseminato di guerre o di tentativi di colpi di stato (Maduro) mezzo mondo, ma prima o poi dovranno cedere lo scettro.

 

Il Fatto Quotidiano, 1 febbraio 2023

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“In un mondo dove il male è di casa e ha vinto sempre/
dove regna il capitale, oggi più spietatamente ”, Sancho Panza in Don Chisciotte, Francesco Guccini.

 

Ricevendo in Vaticano il capo di Confindustria Carlo Bonomi Papa Francesco ha ricordato che il predecessore dell’imprenditore è il mercante. Ma si è dimenticato, diplomaticamente, che al Tempio Cristo arronzò duramente i mercanti e concluse l’happening prendendoli a frustate: “voi fate della Casa di Dio un luogo di ladri e di bari”.

E’ più o meno fra il Trecento e il Quattrocento che con i mercanti, divenuti una forte classe sociale, ha inizio la” lunga marcia” che porterà all’odierno capitalismo. Prima i mercanti, in tutte le culture, erano considerati l’ultimo gradino della società, solo poco al di sopra degli schiavi. In Giappone il samurai non solo non può maneggiare denaro, cosa disprezzatissima, ma nemmeno pensare in termini di denaro.

Francesco di Marco Datini, il famoso mercante di Prato, per salvarsi l’anima metteva in cima ai suoi precisissimi rendiconti la formula “ in nome di Dio e del denaro”.

Partita da Firenze la lunga marcia del denaro arriverà nel bobbiese, poi nelle Fiandre. Di pari passo con l’espansione della classe dei mercanti va quella delle banche. In origine, con l’eccezione dei due secoli del cosiddetto “capitalismo antico” in Grecia e in Roma che peraltro era molto lontano da quello moderno, le banche erano semplici istituti di deposito, cioè si faceva custodir loro i soldi per premunirsi dai furti. In seguito, con gli inizi del capitalismo moderno, le banche cominciano a investire i quattrini dei depositanti facendo ricadere una buona parte dei rischi d’impresa sui correntisti, cioè sui risparmiatori, i fessi istituzionali del gran gioco del denaro che non hanno capito che il denaro va mobilitato il più possibile e non tenuto fermo per essere impallinato. Poiché a ogni credito corrisponde un debito e come scrive Vittorio Mathieu in Filosofia del denaro : “ i debiti alla lunga non vengono onorati”. Non per nulla i ricchi che di queste cose se ne intendono hanno più debiti che crediti mentre l’uomo comune è obbligato a tenersi stretto il suo risparmio in previsione di qualche accidente, insomma per non vedersi messo sul lastrico da un giorno all’altro.

Le banche sono usuraie. Lo ha detto a chiare lettere la scuola di Tommaso D’Aquino e dei suoi seguaci, Alberto Magno, Nicola Oresme, Giovanni Buridano, Gabriel Biel, Molina, De Lugo. Il tomismo ha condotto una lunga, generosa e a volte vincente (perché la Chiesa aveva presa sulle istituzioni pubbliche) battaglia non solo contro l’usura ma contro l’interesse, col sottile argomento che “il tempo è di Dio e non può essere oggetto di mercato”. Inoltre il tomismo si è affannato a cercare il “giusto prezzo”, ma il “giusto prezzo” non poteva che essere determinato dall’incontro della domanda e dell’offerta. Nell’Africa Nera si è cercato di sfuggire a questo meccanismo attraverso il baratto. Ma con l’avvento del colonialismo questo sistema fu sfondato. I colonizzatori misero una tassa su ogni capanna per cui l’agricoltore doveva necessariamente cercare un surplus per onorare questa tassa. Canta un poeta africano: “com’erano belli i tempi in cui se io avevo pepe e tu sale, io ti davo il mio pepe e tu il tuo sale” senza stare a guardare se uno valesse più dell’altro. E’ in questo modo che abbiamo assassinato l’economia e insieme ad essa la cultura africana. I risultati si vedono proprio oggi. Ai primi del Novecento l’Africa Nera era alimentarmente autosufficiente, lo era in buona sostanza, al novantotto% nel 1968. Cosa è successo nel frattempo? Poiché il modello di sviluppo che chiamiamo occidentale, basato sulle crescite esponenziali che esistono in matematica (tu puoi sempre aggiungere un numero) ma non in natura questo modello è alla perenne ricerca di mercati . E quindi anche l’Africa, per quanto povera ma ricca di abitanti diventava un mercato appetibile e necessario. Da qui il passaggio alla fame nuda e cruda è stato breve quanto inevitabile. Di qui anche le migrazioni, soprattutto verso l’Europa ,che tanto ci spaventano. Le navi esistevano anche negli anni Sessanta del secolo scorso, ma non si erano mai visti neri africani affrontare il pericolosissimo deserto della Libia, divenuto tale dopo il brutale assassinio del colonnello Muhammar Gheddafi, pagare taglie agli scafisti che a loro volta le pagano all’Isis, per poter lasciare quelle coste e affrontare su barconi periclitanti, destinati spesso al naufragio, il mar Mediterraneo.

La globalizzazione ha esasperato tutti i tratti negativi del neocapitalismo.

Nei decenni si assiste a una sempre maggior finanziarizzazione del sistema, oggi la maggiore potenza non è nelle mani degli Usa o della Cina ma del mercato, questo mostro anonimo senza identità. In fondo un dittatore si può sempre sperare di abbatterlo con i nostri fucilini a tappo, mentre non si può colpire il cuore del mercato semplicemente perché non c’è.

 

Il Fatto Quotidiano, 26 01 2023