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"Voglio che stian tutti zitti” (Sono stanco, Bruno Martino)  “Sopra le nuvole c’è il sereno… ma noi siamo qui tra le cose di tutti giorni” (Aria di neve, Sergio Endrigo)

 

“Dio è nel silenzio” ha detto di recente Papa Bergoglio contraddicendosi in re ipsa. Ma “noi siamo qui fra le cose di tutti i giorni” sommersi da un fracasso infernale (è il caso di dirlo). Non siamo più, capaci di sopportare il silenzio. Quando esce una bara dalla chiesa applaudiamo, applaudiamo che cosa? Che quello è morto? Quando negli stadi si chiede un minuto di silenzio è molto difficile che sia rispettato, si vede benissimo che gli spettatori fremono, non aspettano altro che finisca e l’arbitro, prudentemente, accorcia.

La società industriale vive sul fracasso e del fracasso, un fracasso continuo, costante, insopprimibile: il rumore incessante, continuo delle auto, delle moto, della televisione, della radio, dei talk, dove individui senza qualità si accapigliano sul nulla, della musica sparata a palla nei bar, nei locali, nei ristoranti, sui taxi.

Probabilmente il silenzio c’era nella società agricola, il contadino durante la sua dura fatica, in genere solitaria, non aveva anche la forza per parlare, ma il tempo per riflettere sì. Forse oggi solo gli eremiti, gli anacoreti, i seguaci di certe religioni orientali (alla base del pensiero cinese c’è il libro della norma di Lao Tse che postula la “in azione”, la non azione, e per i taoisti “ il Tao detto non è il vero Tao”) conoscono il silenzio. Sono gli Illuminati che si difendono dal rumore di fondo del mondo . C’è una divertente barzellettina. Tre Illuminati non sopportando nemmeno i rumori di fondo salgono su tre cime altissime del Tibet, lontani gli uni dagli altri. Dopo sette anni il primo dice “che pace c’è qui, passano altri sette anni e il secondo afferma “hai ragione”, Dopo ulteriori sette anni il terzo dice “me ne vado, state facendo troppo casino”. Ma forse senza dover ricorrere all’esoterico basterebbe andare in Lapponia dove 80mila sami vivono su una superficie di 320mila mila chilometri quadrati circa, densità 25 abitanti per chilometro quadrato.

 Ma oltre questo silenzio positivo che invita alla riflessione ce ne è anche uno sinistro. Che è proprio quello di Dio. Costui non parla, è dubbio che ascolti, si esprime attraverso suoi intermediari, il più importante  è quell’affascinante borderline che è il Cristo, un uomo che sulla Croce dubita, umanamente dubita “Padre, padre perché mi hai abbandonato?”. Mica che abbia ricevuto una risposta. Poi ci sono intermediari minori, Vescovi, Arcivescovi, preti, fra questi ultimi spicca il classico “prete di campagna”, una conversazione con questo tipo di prete non è mai inutile perché attraverso la confessione conosce la vita.

Insomma Dio è muto. “Se c’è si è nascosto molto bene” dice Rimbaud e Baudelaire rincara la dose: “l’unica scusante di Dio è  di non esistere”. È l’eterno, irrisolto, problema del Bene e del Male. Com’è possibile che Dio “l’immenso, onnipotente" (Maddalena, Alessandro  Mannarino) tolleri il Male sulla terra, anzi, nell’eterna lotta con Lucifero, in qualche modo, per una dolorosa eterogenesi dei fini, lo favorisca?

La sola alternativa è che Dio sia morto. E in effetti lo è nella razionalità illuminista che ha sostituito a Dio la dea Ragione. Ed effettivamente per la nostra se pur limitata ragione è incomprensibile pensare che un bambino di due anni colpito da un tumore possa avere una qualsiasi colpa. Quando Nietzsche afferma che Dio è morto non pensa, prometeicamente, di averlo ucciso lui, ma constata, con un secolo e mezzo di anticipo, perché  è un genio, che Dio è morto nella coscienza dell’uomo occidentale.

Non resta che lo scatto della Fede. C’è chi lo fa, probabilmente per lenire la propria angoscia di morte, questo precipitare nel Nulla dove tutto ciò che hai vissuto, amato, letto non esiste più. Poi ci sono molti a cui questo triplice tuffo carpiato non riesce. Io mi annovero fra costoro e seguo la lezione di Lorenzo il Magnifico:” quant’è bella giovinezza che si fugge tuttavia/chi vuol esser lieto sia/ di diman non c’è certezza”.

Il Fatto Quotidiano 19/01/2023

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“La cattura di Matteo Messina Denaro, il più importante boss della Mafia, è una grande e storica vittoria dello Stato sulla criminalità organizzata”. Questo è l’unanime commento all’arresto di Matteo Messina Denaro. Ed è certamente importante che un criminale così efferato sia stato, come suol dirsi, assicurato alla Giustizia. Una vittoria, per la verità, un po’ tardiva, quasi fuori tempo massimo, diciamo ai supplementari, perché il sessantenne Messina Denaro era malato di cancro al colon e se per curarsi era costretto a sfidare tutte le norme di prudenza, vuol dire che, presumibilmente,  non aveva più molto da vivere. Inoltre se i Ros sapevano, come pare, di questa malattia, non doveva poi essere così difficile sorvegliare gli ospedali oncologici siciliani, non di tutto il Paese, perché si sa che i mafiosi d’alto bordo preferiscono restare in loco dove si sentono più protetti.

La cattura di Matteo Messina Denaro che nella latitanza aveva preso il nome, curiosa ed esoterica coincidenza, di Andrea Bonafede, cognome dell’ex e contestatissimo (dai criminali) ministro della Giustizia, è un’arma a doppio taglio. Perché Magistratura, Ros e polizie varie perdono un punto di riferimento. Per la verità è da tempo che la Mafia ha cambiato tattica e rinuncia ad avere un capo unico, come furono  Toto Riina e Bernardo Provenzano ,si è fatta “liquida”, è dappertutto e da nessuna parte. Questo vale soprattutto per la piu pericolosa delle quattro mafie che abbiamo, un vero record, Mafia propriamente detta , ‘ndrangheta, Camorra, Sacra corona unita, la ‘ndrangehta che ha esteso i suoi tentacoli al Nord Italia e anche oltre (in realtà quando ndranghetosi di medio calibro varcano i confini, come è avvenuto in Germania, vengono subito acchiappati dalla polizia e dalla magistratura tedesca che, come quelle belghe, non hanno tutti i lacci e lacciuoli che ci sono in Italia) dove, da Mani Pulite in poi, si conduce una guerra continua e feroce contro quella Magistratura che oggi si esalta. E’ trent’anni che la Magistratura viene combattuta in nome del peloso “garantismo” di matrice berlusconiana.

Oggi si dice apertamente che la Mafia siciliana ha goduto di ampi favori anche da parte imprenditoriale. Ebbene Silvio Berlusconi ha avuto vari contatti con la Mafia, dallo stalliere mafioso Mangano chiamato ad Arcore per difenderlo proprio dalla Mafia, come se in tutto lo Stivale non ci fossero stallieri un po’ meno compromessi, ai rapporti con Delll’Utri, cofondatore di Forza Italia, condannato a sette anni via definitiva per “concorso esterno in associazione mafiosa”. Nella sentenza definitiva su Dell’Utri, si legge che Berlusconi finanziò regolarmente Cosa Nostra almeno fino al 1992. L’anno delle stragi di Capaci e via D’Amelio.

Ora vorremmo suggerire a Giorgia Meloni, che più o meno lecitamente si fa bella di questa cattura, di guardare all’interno della propria coalizione dove c’è un soggetto come Silvio Berlusconi che oltre a se stesso, il che già basterebbe, ha nel suo gruppo e anche fra i parlamentari soggetti compromessi, o addirittura condannati, per rapporti con le tre maggiori mafie italiane, Mafia, ‘ndrangheta, Camorra ( la Sacra corona unita pugliese fa caso a sé, perché la Puglia e soprattutto il Salento hanno una faccia un po’ più pulita). Fino a quando Silvio Berlusconi sarà il perno, per il momento insostituibile, della politica italiana non ci sarà modo per la Magistratura, per la Direzione investigativa antimafia, per i Ros, per la polizia, per i carabinieri, per quanta competenza e buona volontà ci mettano, di sconfiggere la mafia.

 

Il Fatto Quotidiano, 17 01 2023

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Secondo calcoli probabilistici, molto attendibili, quelli che sono giovani oggi riceveranno la pensione a 72 anni. Ma che bella festa, non fai tempo a raggiungere l’agognata pensione che sei già dre’ a murì. Che poi la pensione sia agognabile è molto discutibile, solo la Modernità poteva inventare un istituto così atroce: da un giorno all’altro tu perdi di colpo il ruolo, per quanto modesto, che hai avuto nella società, “e adesso vai a curare le gardenie povero, vecchio e inutile stronzo” oppure a interessarti di cose di cui non ti è mai fregato nulla, vedi le tragicomiche figure di Bouvard e Pécuchet in Flaubert.

È vero che l’aspettativa di vita media si è allungata, 79,4 anni per gli uomini e 84,5 per le donne (non si vedono in giro che vedove), rispetto all’era preindustriale in cui l’aspettativa di vita era intorno ai settant’anni: quando padre Dante nella Commedia scrive “Nel mezzo del cammin di nostra vita” ha 35 anni, il che vuol dire che a quei tempi si considerava ragionevole raggiungere i settant’anni, del resto il biblista dice “Settanta sono gli anni della vita dell’uomo”. Abbiamo quindi sgraffignato alla Natura una dozzina di anni, ma c’è da vedere come si vivono questi anni. Innanzitutto nessuno può togliere a una persona di quell’età l’angoscia di sapere che la Nobile Signora ha già alzato la sua falce ed è pronta ad agguantarti con un infarto devastante o si è accoccolata in te sotto forma di un tumore non ancora diagnosticato. È la storia degli ultimi anni di vita di Gianluca Vialli, forse sarebbe stato meglio per lui se la morte l’avesse colto quando giocava ancora, nello splendore della giovinezza (“Caro agli dei è chi muore giovane”, Menandro).

Lì per lì chi potrebbe essere contrario ad un allungamento della vita, non solo della sua ma del genere umano? In realtà l’allungamento della vita si è rivelato un boomerang. Ci stiamo confezionando un mondo di vecchi e Cesare Musatti, che era al di là di ogni sospetto perché aveva 90 anni, ha detto: “Un mondo popolato in maggioranza da vecchi mi farebbe orrore”. Inoltre questa gerontocrazia plebea incide sul tasso di fertilità, che è basso in tutto il mondo che chiamiamo occidentale, ma in particolare in Italia che negli ultimi tempi ha superato persino il Giappone e si pone come prima in questa sinistra classifica (1,24 nascite per donna nel 2020, il Giappone è a 1,34).

I vecchi sono per definizione “fragili”, tanto è vero che adesso gli si vuole imporre la quarta e la quinta dose del vaccino che a parer mio, insieme soprattutto al lockdown, è stato più devastante del Covid. Il lockdown ha imposto agli anziani un’immobilità pressoché assoluta e per un vecchio l’alternativa è: muoversi o perire. Ci ha imposto la solitudine ed è statistico che la solitudine uccide più del fumo (sia detto di passata, io sono abbastanza convinto che a furia di immunizzarci su tutto il nostro sistema immunitario ha perso, coperto com’è su tutto, la sua naturale capacità di risposta, per cui basta un niente come il Covid per metterci nell’angolo).

Ci sono poi delle fragilità che per quanto ci si berlusconizzi non possono essere evitate. Lo vediamo anche in molti governanti anziani. Il presidente del Sud Sudan, Salva Kiir, 71 anni,  durante una cerimonia si è pisciato addosso, Joe Biden sembra stare in piedi per miracolo.

Certo la mente può rimanere lucida, ma questo è il peggio del peggio perché assiste impotente all’inesorabile degrado del corpo, siano alzate lodi all’arteriosclerosi e all’Alzheimer (il dramma passa a chi deve accudirli).

Un mondo di vecchi presuppone che ci sia un manipolo di giovani che sostengono legioni di anziani. Il giovane di oggi e anche quello un po’ meno giovane, poniamo dei sessantenni, si trova in questa fourchette: da una parte c’è l’affetto che lo lega ai suoi vecchi genitori, che hanno avuto l’imperdonabile cattivo gusto di rimanere in vita, dall’altra se si dedica a questi non vive più lui oppure li manda, con grave senso di colpa, in una Rsa (attenzione: spostare un vecchio dalla sua casa e dalle sue abitudini, anche senza pensare alle Rsa, è quasi sempre mortale).

Abbiamo detto che l’allungamento della vita o il suo mantenimento a tutti i costi si è rivelato un boomerang. Sono le “trappole della ragione” come le chiamavano i filosofi quando esistevano ancora. E qui si innesta il discorso sulla Tecnica, affrontato di recente anche da Papa Bergoglio nel suo libro La dittatura dell’economia: “Di fatto la tecnica ha una tendenza a far sì che nulla rimanga fuori dalla sua ferrea logica”. Ma prima di lui ci era arrivato Max Weber nel 1918 con le sue lezioni poi raccolte in un volume titolato Il lavoro intellettuale come professione: “Prendete una tecnologia pratica così sviluppata scientificamente come la medicina moderna. Il ‘presupposto’ generale di questa attività è – in parole povere – che sia considerato positivo, unicamente come tale, il compito della conservazione della vita e della riduzione al minimo del dolore. E ciò è problematico. Il medico cerca con tutti i mezzi di conservare la vita al moribondo, anche se questi implora di esser liberato dalla vita, anche se la sua morte è e dev’essere desiderata – più o meno consapevolmente – dai suoi congiunti, per i quali la sua vita non ha più valore mentre insopportabili sono gli oneri per conservarla, ed essi gli augurano la liberazione dai dolori. Ma i presupposti della medicina (sia stramaledetto Ippocrate, ndr) impediscono al medico di desistere. La scienza medica non si pone la domanda se e quando la vita valga la pena di esser vissuta. Tutte le scienze naturali danno una risposta a questa domanda: che cosa dobbiamo fare se vogliamo dominare tecnicamente la vita? Ma se vogliamo e dobbiamo dominarla tecnicamente, e se ciò, in definitiva, abbia veramente un significato, esse lo lasciano del tutto in sospeso oppure lo presuppongono per i loro fini”.

Il problema di fondo è che ci siamo allontanati troppo dalla Natura e non siamo più in grado di governare ciò con cui l’abbiamo sostituita. Un Nobel, ma anche Steve Jobs, Bill Gates, Zuckerberg, può avere un’intuizione geniale ma non è in grado di prevedere le varianti che mette in circolazione. Per restare al tema di questo articolo abbiamo la necessità di sfoltire, siamo troppi e troppo vecchi. Il Covid avrebbe potuto essere un’ottima occasione, ma i suoi risultati sono stati deludenti.

Il Fatto Quotidiano 15 01 2023