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"Felicità, parola proibita che non dovrebbe essere mai pronunciata" (Cyrano, se vi pare…).

Anche i campioni sbagliano. Nell’inguardabile partita Polonia-Argentina Lionel Messi ha sprecato un rigore facendoselo neutralizzare da Szczęsny. E, dice la profonda sapienza calcistica, un rigore parato è sempre un rigore sbagliato. Così nell’articolo “La felicità è anche sociale” (Il Fatto 30/11) Maria Rita Gismondo, la virologa che durante la pandemia è stata un preciso punto di riferimento nel casino generale, si avventura nello scivolosissimo tema della felicità. Ma fa un grosso errore, indegno di lei, come indegno di Lionel Messi era il rigore sbagliato, scrivendo che nella Dichiarazione d’indipendenza americana del 4 luglio 1776 è garantito il “diritto alla felicità”. Non è così. La Dichiarazione parla di un diritto alla ricerca della felicità, che è cosa ben diversa. Diritti alla felicità, così come i diritti alla salute (non diritti alla sanità, come nel 1958 fu opportunamente chiamato il relativo Ministero) non esistono. Perché nessuno, foss’anche Domineddio, può garantirli. Esiste la salute, quando c’è, non un suo diritto. In quanto alla felicità nella mia opera teatrale Cyrano, se vi pare… dico: “Esiste, in rari momenti della vita di un uomo, un rapido lampo, un attimo fuggente sempre rimpianto, che chiamiamo felicità. Non il suo diritto”. Purtroppo il “diritto alla ricerca della felicità” è stato introiettato dall’edonismo straccione contemporaneo come un vero e proprio “diritto alla felicità”. Pensare che l’uomo abbia un diritto alla felicità significa renderlo ipso facto, e per ciò stesso, infelice. La sapienza antica era invece consapevole che la vita è innanzitutto fatica e dolore, per cui tutto ciò che viene in più è un frutto insperato e ce lo si può godere. Del resto Eraclito, VI secolo avanti Cristo, lo aveva già anticipato: “La malattia rende dolce la salute e di essa fa un bene, la fame rende piacevole la sazietà, la fatica il risposo”. Eraclito usa la parola non lo scritto, cosa che intrigava ma anche inquietava Platone, e questo apre il suo discorso a infiniti sviluppi, cosa per cui la scrittura, statica, è di per sé meno adatta.

Sono stati cercati un’infinità di parametri per individuare da che cosa derivi la felicità o quella che supponiamo essere tale. Ai primi posti c’è in genere il benessere economico, e questo è un assurdo. Perché la felicità, nei rari momenti in cui la si raggiunge, è un fatto puramente individuale che non può far parte delle statistiche, tanto che Albert Camus, che ha vissuto la sua adolescenza e giovinezza a Orano, può scrivere: “col sole e con il mare anche un ragazzo povero può crescere felice”.

Il Fatto Quotidiano, 3 dicembre 2022

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La Fda, Food and Drug Administration, ha autorizzato la produzione e distribuzione di carne sintetica, cioè di carne prodotta in laboratorio estraendo cellule da animali vivi. L’uomo è un animale onnivoro, con buona pace di vegetariani e vegani, e potrebbe anche accettare di ingurgitare bistecche sintetiche. In fondo è anche, dopo il topo, l’animale più adattabile, anche perché pauroso, e a questo dobbiamo, finora, la nostra sopravvivenza. Poco importa che non si ha nessuna certezza sugli effetti per la salute. La Scienza assicura che non ce ne saranno, ma la Scienza ha perso molta della sua credibilità negli ultimi anni, vedasi il casino creato da stimatissimi esperti sul Covid, sul long-Covid, sui vaccini, sugli effetti collaterali durante la recente pandemia. Ma poco importa, la bistecca avvelenata è un business che vale 1.000 miliardi di dollari. Il progresso vale pur qualche rischio. In questa corsa vertiginosa verso il “sol dell’avvenire” abbiamo eleminato decine di migliaia di specie animali, cioè inciso profondamente sull’ecosistema. Ma poco importa se, putacaso, erano anche specie commestibili, adesso abbiamo la bistecca avvelenata. Il nostro modello di sviluppo sul quale nessuno, o pochissimi, osa fare una qualche riflessione è riuscito a disgustare anche i topi. Il che è tutto dire.

Qualche anno fa, novello Jean Valjean, scesi con un tecnico nelle fogne di Milano, un affascinante manufatto ottocentesco in mattoni rossi (stavo facendo un’inchiesta sui rifiuti per Pagina). Dopo aver perlustrato i vicoli di quella città sotterranea e bordeggiato fiumi mi resi conto che, dopo mezz’ora, non avevamo avvistato nemmeno un topo. Ne chiesi la ragione al mio accompagnatore: “Ah, disse, sono alcuni anni che non se ne vedono più. Non sopportano gli scarichi chimici che arrivano qui dall’industria, dai laboratori, dalle case e quindi sono andati a vivere all’aria aperta”. Hanno scelto la libertà. Insomma, in quella città sotterranea non si sentiva un onesto odor di merda ma l’imperio della chimica. Questo imperio è stato causa di alcuni effetti, diciamo così, “collaterali”. Nelle vecchie fogne l’acqua che ne fuoriusciva creava le marcite, cioè terreni su cui si depositava il liquame, e di marcita in marcita l’acqua arrivava al Ticino così limpida che la si poteva anche bere. Da anni il comune di Milano ha dovuto dotarsi di tre impianti di depurazione, ciò che prima avveniva in modo naturale oggi avviene in modo innaturale, demandato alla tecnologia. Ed è tutto così nel nostro mondo. Bistecca sintetica docet.

Certo non tutto è negativo nel progresso. Chi oggi mangerebbe una bistecca cruda invece di una ben rosolata? C’è un bel libro di Roy Lewis, Il più grande uomo scimmia del Pleistocene (una sorta di intelligente antiFini). La storia è questa. Edward ha scoperto il fuoco ed è lì in una radura che insieme ai suoi familiari si sta mangiando una bella bistecca non più cruda ma cotta. Ad un certo punto si sente un gran trambusto fra le cime degli alberi. È lo zio Vania che si è sempre rifiutato di scendere a terra considerandolo pericoloso. Dice Vania: “Questa volta l’hai combinata grossa, veramente grossa Edward” (era la rivelazione prometeica dell’utilizzo del fuoco). Però riescono a convincere zio Vania a scendere a terra e lo invitano a mangiare con loro la carne. E anche l’iper conservatore Vania deve ammettere che fra una bistecca cruda e una cotta c’è una bella differenza. Cosa insegna questa favoletta? Che dire no sistematicamente al Progresso è stupido, com’è altrettanto stupido dirgli sistematicamente di sì. Si comincia con la bistecca cotta e si finisce con quella sintetica.

Il Fatto Quotidiano, 1 dicembre 2022

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“Potevo barattare la mia chitarra e il suo elmo con una scatola di legno che dicesse: perderemo” (Amico Fragile, Fabrizio De André).

Il 23 febbraio del 2002 si svolse al Palavobis di Milano il primo grande “girotondo”, organizzato da Paolo Flores d’Arcais, contro le sistematiche violazioni dei principi, delle Istituzioni, del codice penale perpetrate da Silvio Berlusconi allora Presidente del Consiglio.

Intervennero, oltre a Flores, Dario Fo, Antonio Di Pietro, l’economista Paolo Sylos Labini, i giovanissimi fratelli Guzzanti, l’altrettanto giovane Marco Travaglio, Pancho Pardi, Carlo Freccero, Fernanda Pivano, la scrittrice con la “voce rauca” di cui si innamorò Cesare Pavese. Furono tutti interventi appassionati, ognuno a seconda del temperamento di chi parlava. Al Palavobis c’erano all’inizio 8 mila persone, almeno a detta degli organizzatori, ma divennero ben presto 12 mila più 30 mila fuori perché continuava ad affluire gente. I “girotondi” erano appena agli inizi e l’organizzazione anche. Io arrivai al Palavobis quasi per caso, solo perché mi trovavo da quelle parti. Feci quindi un intervento a braccio, che qui in parte riproduco, senza essermi preparato nulla: “Per la verità io ai miei tempi ero socialista prima di Craxi e lo rimango, semplicemente non ho attraversato il periodo socialista con Craxi e i suoi.

C’è un grave limite della sinistra ed è quello di essere egoriferita, la sinistra crede che un problema di Berlusconi riguardi solo lei. No, riguarda tutti i cittadini italiani siano essi di destra o di sinistra. E se volete che il movimento cresca veramente dovete avere quest’occhio, non essere continuamente autoriferiti, farvi autocoscienza e tutte queste altre belle cose.

A Milano l’Onorevole Berlusconi si sottrae al suo giudice, rifiuta di essere giudicato dai Tribunali e dalle leggi dello Stato italiano pur essendone un rappresentante al più alto livello. In terra di Spagna, lo ricordava Furio Colombo, dichiara che sentenze passate in giudicato della Magistratura sono una guerra civile. Bene, se questo è il rispetto che il Presidente del Consiglio ha delle leggi e delle Istituzioni, noi siamo autorizzati a metterci alla sua altezza, o bassezza se preferite, di avere lo stesso rispetto, o meglio mancanza di rispetto, delle leggi dello Stato, del Presidente del Consiglio e del suo governo. Tanto più, tanto più, tanto più che quando il capo del Governo controlla direttamente o indirettamente tutto il sistema televisivo, quando succede questo in un Paese questo non è più un Paese democratico, con tutta evidenza è un regime. Bisogna prenderne atto e trarne le conseguenze. Il Procuratore generale di Milano, lo sapete, Borrelli ha detto: “Resistere”. No, bisogna fare qualcosa di più, bisogna reagire. Perciò basta con la buona educazione, con le buone maniere, col buon e civile argomentare, con la logica, perché questi non rispettano né la logica né i principi. Non si può continuare a battersi con una mano dietro la schiena con chi non solo usa tutte e due, ma usa anche un randello e, come ha minacciato il ministro degli Interni, Novello Bava Beccaris, anche eventualmente i fucili e le armi contro i manifestanti.

Mi spiace dirlo perché io ho 57 anni e ho sempre rispettato le leggi di questo Paese perché considero che le leggi sono ciò che ci tiene assieme, fino all’ultima virgola, ma con i furfanti bisogna comportarsi da furfanti. Lo diceva, mi appoggio a questa autorevole personalità, lo diceva anche il compagno Pertini che diceva ‘a brigante, brigante e mezzo!’.”

Quella sera stessa, partecipando al talk del sempiterno Vespa, il ministro della Giustizia, Roberto Castelli, diceva che avrei dovuto essere arrestato. E il concetto, cosa più inquietante, venne ripreso dal ministro degli Interni, Claudio Scajola. Non avevano tutti i torti perché sottotraccia, e neanche troppo, il mio era un invito a usare la violenza (“basta con le buone maniere”). Ripetei le stesse cose a piazza San Giovanni e questa volta c’erano 100 mila persone.

I “girotondi” non godevano di buona stampa presso la sinistra, quante volte ho sentito in tv o alla radio un esponente di quel pateracchio che metteva insieme La Margherita e i Democratici di Sinistra rispondere scandalizzato a chi lo intervistava: “non mi prenderà mica per un girotondino”.

Paolo Flores d’Arcais al Palavobis aveva detto: “questa è una svolta storica nella storia di questo Paese”. Si sbagliava. Il movimento dei “girotondi” si è volatilizzato abbastanza rapidamente. Qualcuno è morto, i più se ne sono disamorati vedendo che nulla cambiava e Silvio Berlusconi continuava imperterrito ad emanare “leggi ad personam”. Certo Berlusconi oggi conta di meno, ma non per merito nostro, ma perché Fratelli d’Italia e la Lega di Salvini gli hanno sottratto la palla. Noi quella partita l’abbiamo, credo irrimediabilmente, perduta.

A difendere la legalità in questo Paese sono rimasti solo Marco Travaglio, il nostro giornale e i 5 Stelle. Sono, siamo, solo dei patetici Don Chisciotte. Senza nemmeno avere il conforto di Sancho Panza.

 Il Fatto Quotidiano, 26 novembre 2022