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Il Carnevale oggi non ha più alcun senso. Perché a parte il periodo Covid cui dovremmo alzare altari e onorare con fescennini perché avrebbe potuto indurci a riflettere, cosa che non abbiamo fatto, ai nostri tempi è Carnevale tutto l’anno con un immenso spreco di risorse avvolto in un frastuono incessante. 

I pur affascinanti carri del Carnevale di Viareggio e la sfilata delle barche fra i canali di Venezia non esaudiscono il vero scopo del Carnevale che non deriva da una fascinazione estetica, è uno sfogo liberatorio, un liberare l’aggressività anche fisica che è in ciascuno di noi e che oggi è monopolio dello Stato. Si tratta di incanalare questa aggressività e mantenerla entro limiti tollerabili. L’aggressività troppo compressa esplode inevitabilmente in maniera mostruosa nei “delitti delle villette a schiera”, come li chiamava Ceronetti. Esemplare è il massacro avvenuto a Novi Ligure il 21 febbraio 2001, città tranquillissima, quasi addormentata, compiuto dalla sedicenne Erika e dal suo fidanzatino Omar. Erika uccise con  97  coltellate  la madre e i due poi si accanirono anche sul fratellino di lei, di undici anni. Eppure in quella casa tutto all’apparenza era tranquillo, non c’erano problemi economici, tutto era inquadrato nel consueto ordine piccolo borghese, con i comodini, i centrini, i fiori d’ordinanza.

Tutte le società premoderne, compresa la nostra, hanno elaborato istituti per controllare l’aggressività, senza avere la pretesa di eliminarla del tutto, limitandola ad un certo periodo dell’anno (il Carnevale appunto). Fra gli Ashanti, tribù particolarmente bellicosa del Ghana, era consuetudine che per una settimana tutti potessero insultare a sangue chiunque, in particolare i vicini, e persino il re, senza conseguenze. Del resto i neri africani sono stati di insegnamento in questo campo con la festa orgiastica in cui ci poteva scappare anche il morto (oggi solo il Carnevale di Rio fa onore al suo nome), con la guerra finta detta rotana fra i Bambara per evitare la guerra autentica, la diembi, levando le alette alle frecce in modo da rendere il tiro impreciso e innocuo.

La compressione degli istinti in nome della Dea Ragione, della razionalizzazione dell’universo mondo, ha provocato guasti seri all’essere umano. Noi ci siamo allontanati troppo dalla Natura che non va idealizzata perché può essere anche matrigna (vedi il recente, terrificante terremoto in Kurdistan fra Turchia e Siria o, su un piano più simbolico, Un tranquillo weekend di paura di John Boorman) ma le sue leggi vanno rispettate e in questo rispetto ci sono anche i nostri istinti primordiali (“l’uomo è il ministro della natura, alla natura si comanda solo obbedendo ad essa” afferma Francesco Bacone che pur è uno dei padri della Rivoluzione scientifica).

Rifarò qui l’esempio degli indigeni delle Isole Andamane che ho già raccontato su questo giornale ma una decina di anni fa. Le Andamane sono divise in due parti, quelle “civilizzate” e quelle che non ne hanno mai voluto saperne della nostra civiltà. Nel famoso maremoto del 2004 le Andamane erano fra le terre più vicine all’epicentro. Bene: nelle Andamane “civilizzate” ci sono stati morti e feriti come nel resto dell’area, nelle Andamane non civilizzate né un morto né un ferito. Nelle Andamane “civilizzate” non solo i turisti ma anche gli indigeni, tanto li abbiamo ibridati, stavano a guardare con grande curiosità i granchi e gli altri animaletti del fondo marino senza rendersi conto che se il mare si ritira non per una marea conosciuta c’è un’inevitabile onda di ritorno. Gli indigeni delle Andamane non civilizzate intanto, per misura prudenziale, non costruiscono sul mare, ma poi gli è bastato osservare gli animali: molte ore prima che il mare si ritirasse gli uccelli hanno smesso improvvisamente di cinguettare e tutti gli altri animali sono corsi all’impazzata verso le colline (quando l’elicottero di soccorso indiano si è avvicinato, perché formalmente le Andamane appartengono all’India, gli indigeni lo hanno accolto a frecciate e poi si sono rimessi a cantare e ballare in riva al mare perché è gente allegra con una predisposizione per gli scherzi osceni - le loro donne hanno dei bellissimi culi – che è quasi sempre un segno di serenità mentale). Del resto è noto a chiunque sia stato sul luogo di un terremoto, a me è capitato in Friuli, che i cani si mettono ad abbaiare qualche minuto prima delle successive scosse di assestamento. Noi umani siamo animali, come tutti gli altri, ma nel tempo ne abbiamo perso gli istinti.

Ma per tonare all’aggressività e al suo controllo, maestri come sempre sono stati i Greci con l’istituto del “capro espiatorio”. Chi era il “capro espiatorio”? Era un meteco, uno straniero che la polis manteneva e nutriva. Quando nella città si creavano tensioni insopportabili si sacrificava il “capro espiatorio” e tutto tornava alla normalità. Come si chiamava il “capro espiatorio”? Si chiamava pharmakos: medicina. A noi danno gli psicofarmaci e gli ansiolitici.     

Il Fatto Quotidiano, 10 febbraio 2023

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Gli italiani hanno perso ogni vitalità. Sono stati superati non solo dai francesi ma addirittura dai parigini che, catafratti nella loro boria, sono simili a quegli aristocratici con una perenne scopa nel culo che per non perdere la loro dignitas e sgualcirsi la giacca, come nella canzone di Max Pezzali “Sei Uno Sfigato”, si immobilizzano e sembrano incapaci di qualsiasi slancio.

Nel 2018 in Francia c’è stato il movimento spontaneo dei Gilets jaunes che protestavano per l’aumento del costo della vita e il rincaro dei prezzi del carburante, in Italia, nonostante questi problemi siano gli stessi, non abbiamo mosso orecchia. L’allora Ministro del Lavoro, Luigi Di Maio, fu duramente cazziato per essere andato in Francia ed aver aderito, almeno simbolicamente, a quel movimento. Adesso i francesi sono scesi in piazza, un milione e 200 mila in tutto il paese, e 500 mila solo a Parigi, per protestare contro il progetto di Macron di aumentare l’età pensionabile da 62 a 64 anni, al grido di “la pensione prima dell’artrite”. Insomma la pensione quando sei già dre’ a murì. In Italia l’età della pensione è arrivata a 66 anni e sette mesi per gli uomini, meno per le donne le odierne vere privilegiate che pur morendo dopo vanno in pensione prima. E la protesta dei sindacati si è limitata a qualche flautus voci.

Ma in Francia, come del resto anche in Italia, c’è un movimento carsico di giovani che reclama il “diritto all’ozio”. Cioè questi ragazzi si sono resi conto che è assurdo entrare nel tritacarne “produci, consuma, crepa” (CCCP) per finire a fare gli “schiavi salariati” (“Una società che postula l’uguaglianza e ha bisogno di ‘schiavi salariati’, è una società che ha perso la testa”, Nietzsche).

Un “diritto all’ozio”, o almeno a qualcosa che gli somigli, va dritto in senso contrario all’odierna società dello sviluppo e della crescita. Dice la Treccani, moderna Bibbia insieme a wikipedia: “astensione dall’attività, dalle occupazioni utili, per un periodo più o meno lungo o anche abitualmente, per indole pigra o indolente: stare in ozio, non far niente, trascorrere le ore nell’ozio, poltrire, languire nell’ozio, consumare la vita nell’ozio”. Insomma è il vecchio “ozio, il padre di tutti i vizi” (magari averne).

Per i Latini l’ozium vuol dire vita contemplativa, dedicata alla riflessione in contrasto col negotium  che è l’esistenza rivolta agli affari. Nel Medioevo europeo l’attività rivolta agli affari è spregevole tanto che il nobile perde questa qualifica se si dedica al negotium. E lo stesso vale nella cultura orientale cinese e giapponese, prima che fosse stravolta dal modello di sviluppo occidentale. Nell’antico Giappone il samurai non solo non può avere denaro ma nemmeno pensare in termini di denaro, il pensiero di Lao Tse (Il libro della norma) è per la “non azione”.

In Europa, ma in seguito nell’universo mondo, il lavoro diventa un valore qualche decennio dopo l’arrivo del take off cioè della Rivoluzione industriale. E in Italia il Primo maggio è la Festa del Lavoro, cioè della nostra schiavitù.

Il dilemma lavoro/ozio si lega al Tempo, il padrone inesorabile delle nostre vite. Ci sono tre Tempi. C’è il Tempo cosmico legato allo spazio sul quale si sono affaticati filosofi e fisici, a cominciare da Einstein, senza cavare un ragno dal buco. Il fisico Carlo Rovelli ha dedicato tutta la sua vita al concetto di Tempo ma in uno dei suoi libri più recenti, L’ordine del Tempo, nell’ultimo capitolo ammette che non si può arrivare ad una definizione esatta del Tempo. Ma a noi viandanti della Terra in fondo questa concezione quasi metafisica del Tempo interessa poco, vale solo come curiosità intellettuale. C’è il Tempo fisico quello che gradualmente degrada, smonta il nostro fisico, delude le nostre fuggevoli illusioni  portando il tutto alla sua inevitabile conclusione. Infine c’è il Tempo psicologico che ha una natura diversa da quello fisico. Quanto tempo, quanti secoli, ci abbiamo messo per uscire dall’infanzia? La giovinezza che pur è statisticamente più lunga, diciamo dai venti ai sessanta anni, è andata via molto più velocemente. Nella vecchiaia è il disastro: gli anni volano (“ma come è già Natale, non era ieri?”), i giorni sono invece interminabili perché siamo meno impegnati. Prendiamo un mese di vacanza: la prima settimana si dipana lentamente, la seconda va un po’ più veloce, la terza aumenta ancora la sua velocità, la quarta è appena cominciata che è già finita. Questo è il Tempo della vita dell’uomo. Un Tempo estremamente risicato, un fuggevole attimo di un attimo nei confronti dell’infinito Tempo cosmico. Bisogna suggerlo nel modo più intenso possibile. Non si deve dilapidarlo come se fosse infinito, perché infinito non è. Una volta un intervistatore mi ha chiesto: “Qual è secondo lei il peccato capitale?” ho risposto: “Sprecare il proprio tempo”. Proprio quello che state facendo voi che mi leggete.

il Fatto quotidiano, 7 febbraio 2023

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Il tennista serbo, serbissimo (“il Kosovo è terra serba”) Novak Djokovic ridiventato numero uno del mondo dopo aver vinto nei giorni scorsi la  finale dell’Australian Open contro il greco Tsitsipas in tre set (6-3 7-6 7-6) ha sentito il bisogno di difendere suo padre Srdjan. Quali sono le colpe del padre di Djokovic? Essere stato filmato insieme ad altri tifosi serbi che avevano foto pro Putin e la classica Z. L’ambasciatore ucraino in Australia aveva chiesto che fosse negato l’accredito al padre di Djokovic per assistere alle partite del figlio. Subito accontentato. Ora, l’Australia non è un paese Nato e quindi non ha nessun obbligo di comminare sanzioni alla Russia, né economiche né di qualsiasi altro tipo. In secondo luogo fra russi e serbi c’è un legame storico, sono entrambi popoli slavi (Jugoslavia, come ho già scritto, vuol dire “slavi del sud”) e quindi è del tutto normale che parteggino per la Russia e non per l’Ucraina, difesa a spada tratta dagli Stati Uniti e dalle Nazioni europee anche se in qualche caso, vedi Germania, obtorto collo. In particolare i serbi non possono avere alcuna simpatia per la coalizione occidentale a guida Usa da quando gli americani nel 1999 bombardarono per 72 giorni la loro capitale, Belgrado(5500 morti civili) in favore del Kosovo.

Mi chiedo se esista una norma di diritto internazionale cui si possa ricorrere per pretendere che tutti i Paesi siano a favore dell’Ucraina e contro i russi. Naturalmente c’è il mantra: qui c’è un aggressore, la Russia, e un aggredito, l’Ucraina. Vero. Ma questa distinzione non è mai stata fatta quando ad aggredire, contro la volontà dell’Onu, erano gli occidentali, in Serbia appunto, in Iraq, in Somalia, in Libia. In quanto all’Afghanistan (400mila morti civili) la copertura Onu cessò quando fu accertato che la dirigenza talebana dell’epoca che governava l’Afghanistan era completamente all’oscuro dell’attacco alle torri gemelle. Del resto non c’era un solo afghano, tanto meno talebano, nel commando che colpì le torri gemelle, ne un solo afghano, tanto meno talebano, fu trovato nelle cellule, vere o presunte, di Al Qaeda scoperte dopo l’attentato, c’erano arabi sauditi, egiziani, marocchini, tunisini, cioè arabi, ma nessun afghano, tanto meno talebano. L’11 settembre mentre le folle arabe scendevano in piazza in segno di giubilo, il governo talebano guidato dal Mullah Omar mandava agli Stati Uniti un messaggio di cordoglio. L’invasione americana dell’Afghanistan fu ribattezzata “Enduring freedom” non avendo più la copertura dell’Onu e quindi era illegittima come tutte le altre.

Questa pretesa di Zelensky di dettar legge in tutto l’universo mondo, si tratti della UE o della lontanissima Australia, finirà per ritorcersi contro la stessa Ucraina.

Non è possibile che in tutto ciò che dice Putin, magari in favore di una  tregua, ci sia sempre un arriere pensee, mentre tutto ciò che dice Zelensky è il Verbo.

Lo stesso discorso lo si può fare per l’Iran accusato di fornire droni alla Russia. Ma come, l’Ucraina può essere riempita di armi da quasi tutti i paesi europei, oltre che dagli Stati Uniti, e alla Russia questo aiuto è negato? Da qui si entra in un discorso solo apparentemente ‘altro’ perché riguarda il doppiopesismo occidentale. L’Iran ha firmato il Trattato di non proliferazione nucleare, ha accettato gli ispettori dell’AIEA, l’agenzia Onu per il controllo del nucleare, che hanno sempre accertato che l’arricchimento dell’uranio iraniano non è mai andato oltre il 3 o il 6 per cento (per fare la Bomba l’arricchimento deve arrivare al 90 per cento). Israele non ha firmato il Trattato ma l’atomica ce l’ha e nessuno si è mai sognato di sanzionarlo. L’Iran è stato invece ricoperto di sanzioni. Nel 2015 Barak Obama aveva raggiunto un ragionevole compromesso con il paese degli Ayatollah: l’Iran accettava di fermare qualsiasi escalation in campo nucleare in cambio di una diminuzione delle sanzioni che lo stavano strangolando. E’ stato Donald Trump a stracciare questo accordo. Forse le sanzioni all’Iran non avrebbero dovuto essere date allora, per il nucleare, ma comminate oggi che il regime degli Ayatollah fa strage delle giovani e dei giovani che stanno scendendo in piazza dopo la morte di Masha Amini (allo stato 585 vittime civili) ed esegue impiccagioni in serie.

Nei giorni scorsi l’esercito israeliano ha attaccato in Cisgiordania un presunto gruppo di terroristi palestinesi: 13 morti, due sicuramente civili. Sui media la notizia è passata in secondo piano. Per rappresaglia i palestinesi e la Jihad islamica (perché Isis si è infiltrata anche qui) hanno attaccato un gruppo di israeliani nei pressi di una sinagoga facendo sette morti e una decina di feriti. La notizia è stata data, giustamente, con grande risalto. Il fatto che l’attentatore, ventun anni, sia un “lupo solitario”, almeno per ora, fa pensare che sia stata la Jihad che agisce spesso in questo modo ‘radicalizzando’ rapidamente dei giovani fino ad allora pacifici. Non per nulla la Jihad ha definito “eroica” questa operazione.

Come la costante ingerenza di Zelensky per ogni dove finirà per ritorcersi contro la stessa Ucraina (l’opposizione della maggioranza degli italiani alla presenza del presidente ucraino al Festival di San Remo ne è un segnale) così il costante doppiopesismo occidentale finirà per ritorcersi contro lo stesso occidente. Le aggressioni americane degli ultimi vent’anni ci hanno creato molti nemici che non sono solo la Russia o la Cina, ma stanno in India, in Medio Oriente e anche altrove. In Brasile il presidente Lula ha posto il veto alla fornitura di armi e munizioni all’Ucraina.

Il Fatto Quotidiano, 3 febbraio 2023