Non userò per Berlusconi il detto che anche un orologio rotto segna l’ora giusta almeno due volte al giorno. Perché Berlusconi è rotto fisicamente, nonostante i miracoli di Zangrillo, ma non mentalmente e le sue uscite, anche le più clamorose, anzi soprattutto le più clamorose, hanno sempre un senso. Con le sue dichiarazioni di domenica, nella giornata del silenzio elettorale, ma l’ex Cav se ne fotte di queste convenzioni come si è sempre fottuto di tutto, Berlusconi ha avuto il coraggio di affermare, da una posizione comunque apicale e quindi particolarmente esposta alle accuse dei sepolcri imbiancati della sinistra, ciò che la maggioranza degli italiani pensa (il 68 percento stando ai sondaggi) ma non osa dire. Rivediamo allora interamente queste dichiarazioni riferite a Zelensky ma non solo: “Bastava che cessasse di attaccare le due repubbliche autonome del Donbass e questo non sarebbe accaduto. Quindi giudico, molto, molto negativamente il comportamento di questo signore… Io a parlare con Zelensky, se fossi stato il Presidente del Consiglio, non ci sarei mai andato, perché stiamo assistendo alla devastazione del suo paese e alla strage dei suoi soldati e dei suoi civili.” Rivolto poi a Joe Biden ha detto: “Per arrivare alla pace, il signor Presidente americano dovrebbe prendersi Zelensky e dirgli: è a tua disposizione dopo la fine della guerra un piano Marshall per ricostruire l'Ucraina…bisogna che tu domani ordini il cessate il fuoco anche perché noi da domani non vi daremo più dollari e non ti daremo più armi. Solo questo potrebbe convincerlo ad arrivare a un cessate il fuoco.”
Che la guerra Russia-Ucraina non sia iniziata il 24 febbraio del 2022 ma nel 2014 con l’annessione della Crimea e in seguito con la violenta repressione da parte dell’Ucraina della popolazione russofona del Donbass, (circa il 38 percento) dettaglio quest’ultimo su cui i nostri “giornaloni”, per dirla alla Travaglio, hanno agilmente sorvolato, è vero.
È curioso e interessante che Berlusconi si sia messo in rotta di collisione con gli americani che sono da sempre il suo punto di riferimento culturale e politico. Berlusconi è sempre stato un ‘atlantista’ doc.
Perché queste dichiarazioni così rischiose? Per dare una mano al candidato del centro destra, Attilio Fontana, alle regionali lombarde? È poco probabile, il rischio non valeva la candela. Lo ha fatto per mettere in difficoltà Meloni? È possibile. Lo ha fatto per far cadere il governo? Impossibile, perché se si facessero nuove elezioni Forza Italia, già ridotta al 7 o all’8 percento, sparirebbe dalle mappe geografiche della politica italiana.
Non privo di interesse è l’appellativo “questo signore” appioppato a Zelensky. È probabile che Berlusconi, abituato nella sua vita ad avere una posizione dominante e ora messo un po’ da parte, provi rabbia e sia roso dall’invidia (l’invidia è un suo tema dominante, l’ex Cav pensa che tutti lo invidino, cioè in termini psicanalitici “proietta la sua ombra”) nel vedere quest’uomo senza qualità spadroneggiare in mezzo mondo. Del resto oltre a una questione ucraina dove è giusto stare oggi dalla parte degli ucraini, gli aggrediti, c’è una questione Zelensky molto personale e di tutt’altra natura. Quest’uomo, che scula dappertutto, che è presente ovunque, è venuto ad uggia anche a chi sta dalla parte dell’Ucraina. Per quanto riguarda il nostro paese sono intollerabili le continue intromissioni nella vita culturale italiana. Si è cominciato con il ‘caso’ Boris Godunov dove si voleva impedire agli artisti russi di partecipare a quest’opera, in pratica eliminandola dal cartellone della Scala. Importante in quell’occasione è stata la presenza alla prima del nostro Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che non era scontata, come a dire che la Scala, il massimo teatro operistico del mondo, è italiana e non ucraina. E si è andati avanti con altre intrusioni questa volta vincenti. In una lettera al Fatto esponenti del Donbass hanno ricordato che l’ambasciatore Melnyk ha ordinato ai sindaci di Bergamo e Brescia la cancellazione del concerto del pianista russo Denis Matsuev, ottenendola. In precedenza era stato annullato il concerto di Valentina Lisitsa e il balletto di Sergei Polunin. Rivolta a Giorgia Meloni la lettera concludeva così: ci chiediamo chi comanda in Italia? Lei o l’ambasciatore ucraino che rappresenta Zelensky?
Molto sgradevole, fino allo sgarbo, è stato il comportamento di Zelensky nei confronti di Giorgia Meloni. È vero che la settimana scorsa Macron e Scholz non avevano invitato a una cena con Zelensky la nostra Presidente del Consiglio, ma Zelensky avrebbe dovuto avere la buona grazia di pretendere la presenza anche di Giorgia Meloni. In fondo all’Ucraina abbiamo dato un miliardo di euro che servirebbero molto alla nostra economia disastrata.
In quanto alla sinistra, o cosiddetta tale, ha dimostrato ancora una volta la propria inconsistenza. Si potrebbe dire che Berlusconi l’ha battuta sul tempo, captando la sensibilità e gli umori della maggioranza della nostra popolazione. Ma non sarebbe esatto. È dal quel dì che la sinistra non capisce più l’elettorato, probabilmente nemmeno il proprio.
Il Fatto Quotidiano, 14 febbraio 2023
Il Carnevale oggi non ha più alcun senso. Perché a parte il periodo Covid cui dovremmo alzare altari e onorare con fescennini perché avrebbe potuto indurci a riflettere, cosa che non abbiamo fatto, ai nostri tempi è Carnevale tutto l’anno con un immenso spreco di risorse avvolto in un frastuono incessante.
I pur affascinanti carri del Carnevale di Viareggio e la sfilata delle barche fra i canali di Venezia non esaudiscono il vero scopo del Carnevale che non deriva da una fascinazione estetica, è uno sfogo liberatorio, un liberare l’aggressività anche fisica che è in ciascuno di noi e che oggi è monopolio dello Stato. Si tratta di incanalare questa aggressività e mantenerla entro limiti tollerabili. L’aggressività troppo compressa esplode inevitabilmente in maniera mostruosa nei “delitti delle villette a schiera”, come li chiamava Ceronetti. Esemplare è il massacro avvenuto a Novi Ligure il 21 febbraio 2001, città tranquillissima, quasi addormentata, compiuto dalla sedicenne Erika e dal suo fidanzatino Omar. Erika uccise con 97 coltellate la madre e i due poi si accanirono anche sul fratellino di lei, di undici anni. Eppure in quella casa tutto all’apparenza era tranquillo, non c’erano problemi economici, tutto era inquadrato nel consueto ordine piccolo borghese, con i comodini, i centrini, i fiori d’ordinanza.
Tutte le società premoderne, compresa la nostra, hanno elaborato istituti per controllare l’aggressività, senza avere la pretesa di eliminarla del tutto, limitandola ad un certo periodo dell’anno (il Carnevale appunto). Fra gli Ashanti, tribù particolarmente bellicosa del Ghana, era consuetudine che per una settimana tutti potessero insultare a sangue chiunque, in particolare i vicini, e persino il re, senza conseguenze. Del resto i neri africani sono stati di insegnamento in questo campo con la festa orgiastica in cui ci poteva scappare anche il morto (oggi solo il Carnevale di Rio fa onore al suo nome), con la guerra finta detta rotana fra i Bambara per evitare la guerra autentica, la diembi, levando le alette alle frecce in modo da rendere il tiro impreciso e innocuo.
La compressione degli istinti in nome della Dea Ragione, della razionalizzazione dell’universo mondo, ha provocato guasti seri all’essere umano. Noi ci siamo allontanati troppo dalla Natura che non va idealizzata perché può essere anche matrigna (vedi il recente, terrificante terremoto in Kurdistan fra Turchia e Siria o, su un piano più simbolico, Un tranquillo weekend di paura di John Boorman) ma le sue leggi vanno rispettate e in questo rispetto ci sono anche i nostri istinti primordiali (“l’uomo è il ministro della natura, alla natura si comanda solo obbedendo ad essa” afferma Francesco Bacone che pur è uno dei padri della Rivoluzione scientifica).
Rifarò qui l’esempio degli indigeni delle Isole Andamane che ho già raccontato su questo giornale ma una decina di anni fa. Le Andamane sono divise in due parti, quelle “civilizzate” e quelle che non ne hanno mai voluto saperne della nostra civiltà. Nel famoso maremoto del 2004 le Andamane erano fra le terre più vicine all’epicentro. Bene: nelle Andamane “civilizzate” ci sono stati morti e feriti come nel resto dell’area, nelle Andamane non civilizzate né un morto né un ferito. Nelle Andamane “civilizzate” non solo i turisti ma anche gli indigeni, tanto li abbiamo ibridati, stavano a guardare con grande curiosità i granchi e gli altri animaletti del fondo marino senza rendersi conto che se il mare si ritira non per una marea conosciuta c’è un’inevitabile onda di ritorno. Gli indigeni delle Andamane non civilizzate intanto, per misura prudenziale, non costruiscono sul mare, ma poi gli è bastato osservare gli animali: molte ore prima che il mare si ritirasse gli uccelli hanno smesso improvvisamente di cinguettare e tutti gli altri animali sono corsi all’impazzata verso le colline (quando l’elicottero di soccorso indiano si è avvicinato, perché formalmente le Andamane appartengono all’India, gli indigeni lo hanno accolto a frecciate e poi si sono rimessi a cantare e ballare in riva al mare perché è gente allegra con una predisposizione per gli scherzi osceni - le loro donne hanno dei bellissimi culi – che è quasi sempre un segno di serenità mentale). Del resto è noto a chiunque sia stato sul luogo di un terremoto, a me è capitato in Friuli, che i cani si mettono ad abbaiare qualche minuto prima delle successive scosse di assestamento. Noi umani siamo animali, come tutti gli altri, ma nel tempo ne abbiamo perso gli istinti.
Ma per tonare all’aggressività e al suo controllo, maestri come sempre sono stati i Greci con l’istituto del “capro espiatorio”. Chi era il “capro espiatorio”? Era un meteco, uno straniero che la polis manteneva e nutriva. Quando nella città si creavano tensioni insopportabili si sacrificava il “capro espiatorio” e tutto tornava alla normalità. Come si chiamava il “capro espiatorio”? Si chiamava pharmakos: medicina. A noi danno gli psicofarmaci e gli ansiolitici.
Il Fatto Quotidiano, 10 febbraio 2023
Gli italiani hanno perso ogni vitalità. Sono stati superati non solo dai francesi ma addirittura dai parigini che, catafratti nella loro boria, sono simili a quegli aristocratici con una perenne scopa nel culo che per non perdere la loro dignitas e sgualcirsi la giacca, come nella canzone di Max Pezzali “Sei Uno Sfigato”, si immobilizzano e sembrano incapaci di qualsiasi slancio.
Nel 2018 in Francia c’è stato il movimento spontaneo dei Gilets jaunes che protestavano per l’aumento del costo della vita e il rincaro dei prezzi del carburante, in Italia, nonostante questi problemi siano gli stessi, non abbiamo mosso orecchia. L’allora Ministro del Lavoro, Luigi Di Maio, fu duramente cazziato per essere andato in Francia ed aver aderito, almeno simbolicamente, a quel movimento. Adesso i francesi sono scesi in piazza, un milione e 200 mila in tutto il paese, e 500 mila solo a Parigi, per protestare contro il progetto di Macron di aumentare l’età pensionabile da 62 a 64 anni, al grido di “la pensione prima dell’artrite”. Insomma la pensione quando sei già dre’ a murì. In Italia l’età della pensione è arrivata a 66 anni e sette mesi per gli uomini, meno per le donne le odierne vere privilegiate che pur morendo dopo vanno in pensione prima. E la protesta dei sindacati si è limitata a qualche flautus voci.
Ma in Francia, come del resto anche in Italia, c’è un movimento carsico di giovani che reclama il “diritto all’ozio”. Cioè questi ragazzi si sono resi conto che è assurdo entrare nel tritacarne “produci, consuma, crepa” (CCCP) per finire a fare gli “schiavi salariati” (“Una società che postula l’uguaglianza e ha bisogno di ‘schiavi salariati’, è una società che ha perso la testa”, Nietzsche).
Un “diritto all’ozio”, o almeno a qualcosa che gli somigli, va dritto in senso contrario all’odierna società dello sviluppo e della crescita. Dice la Treccani, moderna Bibbia insieme a wikipedia: “astensione dall’attività, dalle occupazioni utili, per un periodo più o meno lungo o anche abitualmente, per indole pigra o indolente: stare in ozio, non far niente, trascorrere le ore nell’ozio, poltrire, languire nell’ozio, consumare la vita nell’ozio”. Insomma è il vecchio “ozio, il padre di tutti i vizi” (magari averne).
Per i Latini l’ozium vuol dire vita contemplativa, dedicata alla riflessione in contrasto col negotium che è l’esistenza rivolta agli affari. Nel Medioevo europeo l’attività rivolta agli affari è spregevole tanto che il nobile perde questa qualifica se si dedica al negotium. E lo stesso vale nella cultura orientale cinese e giapponese, prima che fosse stravolta dal modello di sviluppo occidentale. Nell’antico Giappone il samurai non solo non può avere denaro ma nemmeno pensare in termini di denaro, il pensiero di Lao Tse (Il libro della norma) è per la “non azione”.
In Europa, ma in seguito nell’universo mondo, il lavoro diventa un valore qualche decennio dopo l’arrivo del take off cioè della Rivoluzione industriale. E in Italia il Primo maggio è la Festa del Lavoro, cioè della nostra schiavitù.
Il dilemma lavoro/ozio si lega al Tempo, il padrone inesorabile delle nostre vite. Ci sono tre Tempi. C’è il Tempo cosmico legato allo spazio sul quale si sono affaticati filosofi e fisici, a cominciare da Einstein, senza cavare un ragno dal buco. Il fisico Carlo Rovelli ha dedicato tutta la sua vita al concetto di Tempo ma in uno dei suoi libri più recenti, L’ordine del Tempo, nell’ultimo capitolo ammette che non si può arrivare ad una definizione esatta del Tempo. Ma a noi viandanti della Terra in fondo questa concezione quasi metafisica del Tempo interessa poco, vale solo come curiosità intellettuale. C’è il Tempo fisico quello che gradualmente degrada, smonta il nostro fisico, delude le nostre fuggevoli illusioni portando il tutto alla sua inevitabile conclusione. Infine c’è il Tempo psicologico che ha una natura diversa da quello fisico. Quanto tempo, quanti secoli, ci abbiamo messo per uscire dall’infanzia? La giovinezza che pur è statisticamente più lunga, diciamo dai venti ai sessanta anni, è andata via molto più velocemente. Nella vecchiaia è il disastro: gli anni volano (“ma come è già Natale, non era ieri?”), i giorni sono invece interminabili perché siamo meno impegnati. Prendiamo un mese di vacanza: la prima settimana si dipana lentamente, la seconda va un po’ più veloce, la terza aumenta ancora la sua velocità, la quarta è appena cominciata che è già finita. Questo è il Tempo della vita dell’uomo. Un Tempo estremamente risicato, un fuggevole attimo di un attimo nei confronti dell’infinito Tempo cosmico. Bisogna suggerlo nel modo più intenso possibile. Non si deve dilapidarlo come se fosse infinito, perché infinito non è. Una volta un intervistatore mi ha chiesto: “Qual è secondo lei il peccato capitale?” ho risposto: “Sprecare il proprio tempo”. Proprio quello che state facendo voi che mi leggete.
il Fatto quotidiano, 7 febbraio 2023