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Walter Veltroni, sul Corriere della Sera (ma cos’ha fatto di male il giornale di via Solferino per averci un simile editorialista?) si esalta perché grazie ai vaccini contro il cancro e le malattie vascolari, vaccini peraltro ancora di là da venire, l’uomo potrà raddoppiare la durata della propria esistenza.

In termini assoluti la vita umana non è aumentata di un solo cent come testimonia Pierre Chaunu, uno dei più autorevoli storici della scuola degli Annales. Anche se il raffronto fra la vita media, o per meglio dire l’aspettativa di vita che, come vedremo, sono due cose ben diverse, non può essere fatta sugli assoluti, non posso risparmiare a Veltroni il bel racconto di John Locke (1632-1704) a proposito di una candida vecchia signora del suo tempo: “oggi ho incontrato una certa Alice George, una donna che dice di aver compiuto 108 anni a Ognissanti dello scorso anno. Ella vive nella parrocchia di St. Giles a Oxford ... è nata a Saltwiyche nel Worcestershire e da ragazza si chiamava Alice Guise. Suo padre morì a 83 anni, sua madre a 96 e la nonna materna a 111. Si è sposata a trent’anni e ha avuto quindici bambini, dieci maschi e cinque femmine, tutti battezzati, e ha avuto anche tre aborti. Tre dei suoi figli sono ancora in vita... cammina dritta appoggiandosi ad un bastone, e tuttavia l’ho vista chinarsi due volte senza cercare alcun appoggio, prendendo una volta una tazza e un’altra per raccogliere un guanto da terra. Ci sente benissimo. Dice che aveva sedici anni nel 1588 quando andò a Worcester per vedere la regina Elisabetta, arrivando però tardi di un’ora: e questo corrisponde con l’età che dichiara”.

I confronti fra l’epoca preindustriale e la nostra non vanno fatti sulla vita media ma sull’aspettativa di vita dell’adulto. In epoca preindustriale la vita media sconta l’alta mortalità natale e perinatale che lasciava in vita i più robusti. Ma è ugualmente inesatto dire che uomini e donne vivessero, quando andava bene, una trentina d’anni. Basta confrontare questo dato demonizzante con l’età in cui quella gente si sposava, a 28/29 gli uomini, a 24/25 le donne, cioè non avrebbero avuto nemmeno il tempo per allevare i primi figli (parliamo ovviamente della gente del popolo, i nobili si sposavano spesso giovanissimi, Giulietta e Romeo docent).

Diciamo che in termini di aspettativa di vita abbiamo guadagnato una dozzina d’anni (80,5 anni gli uomini, 84,8 le donne, dati Istat 2022) rispetto ai circa settanta dell’era preindustriale. Padre Dante fissa il “mezzo del cammin di nostra vita” a trentacinque anni il che significa che gli uomini del suo tempo pensavano fosse ragionevole morire a settant’anni, in accordo con il biblista “settanta sono gli anni della vita dell’uomo”. Ma bisogna vedere come si vivono questi anni che abbiamo sgraffignato alla Natura. Lasciamo anche qui perdere punte d’eccellenza, sappiamo benissimo che ci sono novantenni e addirittura centenari, come per fare un solo esempio il mio amico Gino Barile dell’omonima grappa, arzilli e alle volte persino gaudenti. Parliamo della gente normale che viaggia fra i settanta e gli ottanta e più. Che senso ha vivere con tre o quattro gravi patologie in una RSA (Berlusconi fa storia a sé non solo perché non vive in una RSA ma perché è dotato, bisogna pure ammetterlo, di una energia fisica e mentale eccezionale)?.

Ma torniamo allo speranzoso Veltroni, vivremo 160 anni: un incubo. Ha detto lo psicanalista Cesare Musatti, a novant’anni e quindi al di sopra di ogni sospetto: “un mondo prevalentemente abitato da vecchi mi farebbe orrore”.

C’è poi il modo indecoroso in cui oggi quasi sempre si muore ( si veda l’ampia antologia The Dying Patient, americana, 1980): il morente, intubato, irto d’aghi, monitorizzato, computerizzato, è un oggetto, una povera cosa umiliata la cui agonia può essere prolungata oltre ogni limite di decenza, per mesi a volte per anni. Insomma siamo in balia dei medici, che possono essere anche dei bravi guaglioni, ma soprattutto della medicina tecnologica che è la vera padrona della nostra morte.  In passato non era così. Scrive Ariés (Storia della morte in Occidente, 1978): “L’uomo è stato per millenni il padrone assoluto della sua morte e delle circostanze della sua morte. Oggi non lo è più. Prima di tutto era inteso, come cosa normale, che l’uomo sapeva di star per morire, sia che se ne accorgesse da solo, sia che bisognasse avvertirlo. Per i nostri vecchi autori era naturale che l’uomo sentisse la morte vicina. Di rado la morte era improvvisa e … molto temuta (oggi la morte improvvisa per eccellenza è l’infarto, malattia tipica della modernità quasi sconosciuta in passato), non solo perché non dava il tempo di pentirsi, ma perché privava l’uomo della sua morte. La morte, dunque, era quasi sempre preannunciata”. Non solo il morente non doveva essere privato della sua morte, la presiedeva: “La parte principale toccava al morente stesso. Egli presiedeva , senza mai incespicare, perché sapeva come comportarsi, tante volte era stato testimone di simili scene. Chiamava ad uno ad uno i suoi parenti, i suoi familiari, i suoi domestici fino ai più umili. Diceva loro addio, chiedeva perdono, dava loro la benedizione. Investito di autorità sovrana, soprattutto nel diciottesimo e diciannovesimo secolo, all’avvicinarsi della morte impartiva ordini, faceva raccomandazioni (oggi in virtù della legittima non puoi nemmeno diseredare il figlio stronzo). L’uomo del Medioevo e del Rinascimento teneva a partecipare alla propria morte, perché vedeva in essa un momento eccezionale in cui la sua individualità riceveva la forma definitiva. Non era padrone della propria vita che nella misura in cui era padrone della propria morte. La sua morte apparteneva a lui ed a lui solo”. Insomma la morte, o meglio il modo del morire, dava il senso di un’intera vita. I Romani lo avevano ben presente, la morte supremamente degna era quella in battaglia o per suicidio. Una morte violenta dunque. Perché i calciatori del Torino periti a Superga o Ayrton Senna ci restano così impressi? Perché la morte violenta, soprattutto se giovane, li ha resi immortali. Non nel senso però che piace a Veltroni che vaneggia di una vita “senza data di scadenza”. Veltroni non si accorge che una vita immortale sarebbe, alla fine, la morte dell’umanità, perché riempiti tutti i buchi della terra e anche del sottoterra come nella mitica Agarthi non ci sarebbe più lo spazio fisico per fare nuovi figli, ammesso che con qualche altra diavoleria tecnologica una donna possa concepire a 160 anni.

Infine consiglieremmo a Walter Veltroni di leggere, prima di avventurarsi in argomenti tanto complessi che non sono alla sua portata, Ariés, Chaunu, Russel, Cipolla, Laslett, Reinhard, gli Annales e, perché no, La ragione aveva torto?.

 

Il Fatto Quotidiano, 19 Aprile 2023

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Le prepotenze di Zelensky e dei suoi hanno superato ogni limite. Per la recente Via Crucis l’ambasciatore Ucraino in Vaticano, Andrii Yurash, ha protestato perché vi hanno partecipato oltre ad un ucraino anche un russo: “dimentica di dire che i suoi parenti sono andati in Ucraina per uccidere, e non viceversa”.  Papa Francesco questa volta non ha chinato la testa, lo aveva fatto l’anno scorso quando la protesta ucraina aveva ottenuto che il discorso del Papa, che comprendeva nella Via Crucis due ragazze, una ucraina e una russa, non fosse letto. Di recente il Corriere pubblicava un articolo dal titolo “schiaffo all’Ucraina” perché il Cio si era opposto alla pretesa ucraina che gli atleti russi non fossero presenti alle prossime Olimpiadi. Presa di posizione peraltro a metà perché il presidente del Cio Thomas Bach, da non confondersi con il musicista, tedesco e quindi chiaramente nazista, aveva dichiarato che gli atleti russi e bielorussi sarebbero stati accettati se “non hanno mai partecipato a una manifestazione pro guerra, hanno avuto rapporti con agenzie di sicurezza nazionale o si siano fatti tatuare la famigerata Z”. La fondista russa Stepanova ha risposto a muso duro a Thomas Bach, che è tedesco come il musicista e quindi in pectore nazista: “io non permetterò a nessuno di analizzare le mie opinioni per decidere se parteciperò ai Mondiali”. Dichiarazione ineccepibile, cui va aggiunto che, moraleggiando allo stesso modo, si potrebbe chiedere agli ucraini che ci facciano, nel loro esercito, i nazisti della Azov.

Ma ritornando alle invasioni di campo di Zelensky nelle attività del Papa sarebbe bene ricordare allo stesso Zelensky che la missione del Papa di Roma è di tutelare tutti, senza distinzioni religiose e tantomeno politiche. Se c’è un’Entità dove “uno vale uno” è quella della Chiesa cattolica dove vige il concetto cristianissimo che il perdono (“porgi l’altra guancia”, Cristo, i Vangeli) vale per tutti anche per il peggiore degli uomini. Un concetto diversissimo da quello dell’ebraismo militante che privilegia la vendetta e a proposito del genocidio di Gerico nel Deuteronomio, 33-34, afferma: “votammo allo sterminio ogni città, uomini, donne, bambini; non vi lasciammo anima viva”, nemmeno le bestie ad ascoltare altri passi della Bibbia il libro più noir stando ad alcuni interpreti contemporanei.

Ma a parte tutto questo perché noi europei dovremmo difendere a spada tratta uno Stato, l’Ucraina, che Stato non è mai stato davvero, ma solo un regalo di Krusciov che ne volle fare una provincia autonoma all’interno dell’Unione Sovietica?. Uno Stato dove sono state cancellate tutte le opposizioni e non esiste, di fatto, libertà di espressione. Perché gli ucraini sono “eroici nella difesa del loro territorio”? A parte il fatto che “eroici“ non tutti sono visto che fra gli otto e i dieci milioni se la sono filata e non tutti possono essere donne e bambini (quando gli occidentali invasero l’Afghanistan talebano nessun afgano, talebano o meno,  lasciò il paese, questo per dire che cos’è il vero sentimento di identità nazionale). In ogni caso con l’appoggio degli Stati Uniti, della Germania, della Polonia e di altri addentellati USA sarebbe stato “eroico” anche il Lussemburgo.

E poi che cosa ha dato, culturalmente e artisticamente, l’Ucraina all’Europa a differenza della Russia? I “balletti russi” si chiamano così perché furono inventati e creati a Parigi dal Russo Diaghilev. I più grandi ballerini di tutti i tempi sono stati Nižinskij (“la grazia innaturale di Nižinskij”, Prospettiva Nevski di Battiato) e Rudi Nurejev a meno di non ricorrere all’antica Roma, a Paride “un danzatore che alla straordinaria bellezza univa grazia, agilità, intensità espressiva” (Nerone, Duemila anni di calunnie).

E che dire dei musicisti: Ciaikovski, Mussorgski, Prokofiev, Rimskij-Korsakov, Stravinskij e ci potremmo fermare qui perché l’elenco occuperebbe un paio di pagine del Fatto. Sugli scrittori russi si sono educate generazione di europei: Puskin, Dostoevskij, Tolstoj, Turgenev, Lermontov. C’è Gogol, le anime morte, che è ucraino ma non sarebbe mai esistito se non all’interno della grande letteratura russa.

A me pare che non sia la Russia di Putin a voler cancellare l’Ucraina dalla mappa del mondo, ma che sia l’Ucraina a voler cancellare la Russia con tutta la sua storia. E comunque io dovrei stare con l’Ucraina che ora, ricattando, tiene per le palle mezzo mondo? Io mezzo russo, ebreo per soprammercato, sto con “la grande madre Russia”, di cui Putin è solo un tragico esemplare che non può far dimenticare tutto ciò che questo grande Paese ci ha dato.

 

Il Fatto Quotidiano, 14 Aprile 2023

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“La domenica delle salme

Non si udirono fucilate

Il gas esilarante

Presidiava le strade

La domenica delle salme

Si portò via tutti i pensieri

E le regine della tua culpa

Affollarono i parrucchieri”

(La Domenica delle Salme, De André)

 

Stiamo riuscendo a fare una figura di palta, cosa che peraltro non c’è mai stata difficile, in Europa e davanti all’intera Europa. A Luglio del 2020 l’Italia era riuscita ad ottenere per il Recovery Found, grazie al dileggiatissimo governo Conte (due) con l’aiuto determinante di Angela Merkel, che aveva messo a sedere i cosiddetti Paesi “frugali” che, non senza qualche buona ragione, diffidavano,  209 miliardi di cui 69 a fondo perduto e il resto in prestiti agevolati, più di qualsiasi altro Paese europeo.

Le cose si sono messe male fin dall’inizio. Probabilmente Draghi non aveva fatto bene i conti che dovrebbe essere il suo mestiere, non conoscendo che ne abbia mai fatto un altro. Siamo stati quasi subito costretti a chiedere a Bruxelles delle dilazioni per i progetti che avevamo presentato e che dovevano essere eseguiti entro il 2026 e anche una maggiore flessibilità perché risultava che alcuni progetti erano del tutto inattuabili  e dovevano essere quindi riconvertiti. La Commissione europea si era messa sul chi va là quando aveva visto che parte dei quattrini del Recovery erano destinati alla riqualificazione degli stadi di calcio di Firenze e Venezia. Sulla necessità di questi lavori una domanda avremmo dovuto forse porcela noi prima degli altri, ma in Italia c’è un certo fanatismo, soprattutto da parte delle cosiddette destre, per le “grandi opere”, vedi il ponte sullo stretto di Messina che non è compreso nel Recovery ma che Salvini ritiene inderogabile (ma che cosa abbiamo fatto di male per averci costui?) nonostante le decine di miliardi spesi per progetti sul ponte che si sono già rivelati impossibili, e urgentissimo come se in Calabria e soprattutto in Sicilia non ci sia la necessità di adeguare il sistema ferroviario e stradale prima di tutto il resto. Ma questi sono lavori minori meno appetibili dalle mafie locali, in stretto legame con l’intero sistema mafioso nazionale (la Mafia propriamente detta e gli imprenditori ‘collusi’), mentre sulle “grandi opere” il ricavo può essere molto succulento.

In Europa non ci caga più nessuno, pur essendo l’Italia, insieme alla Germania e alla Francia, uno dei paesi fondatori della stessa idea di Unione europea. Nella considerazione collettiva siamo stati superati anche dalla Spagna che con il governo socialista di Sanchez ha introdotto una seppur limitata patrimoniale e ha preso importanti provvedimenti per limitare l’utero in affitto che, secondo la ministra dell’Uguaglianza Irene Montero, è un cinico sfruttamento del corpo della donna (“una violenza contro la donna” per usare le sue parole).

Nel febbraio scorso Macron e Scholtz si sono incontrati a Parigi, per una cena, con Zelensky per convincerlo ad arrivare ad un accordo con la Russia. L’Italia non pervenuta. Recentemente in Cina c’è andato Macron, con una cinquantina di imprenditori al seguito, per concludere ottimi affari, attraverso il governo di Xi in quella enorme area geografica che è diventata attraente anche per gli occidentali perché pur in Cina è arrivato il capitalismo, sia pure un capitalismo di stato. E questa è un’occasione che abbiamo perso perché era stato proprio il governo Conte attraverso il bistrattatissimo ministro degli Esteri Luigi Di Maio ad aprire alla “via della seta”. Naturalmente poi non se ne è fatto nulla per il niet degli Stati Uniti cui Draghi è stato sempre appecoronato (questo è il suo vero lavoro). Però lo sforzo di Giggino non è stato del tutto infruttuoso visto che i giornali cinesi affermano che tra i paesi occidentali l’Italia è quello che va meno criticato.

 

Il Fatto Quotidiano, 11 aprile 2023