“Potevo barattare la mia chitarra e il suo elmo con una scatola di legno che dicesse: perderemo” (Amico Fragile, Fabrizio De André).
Il 23 febbraio del 2002 si svolse al Palavobis di Milano il primo grande “girotondo”, organizzato da Paolo Flores d’Arcais, contro le sistematiche violazioni dei principi, delle Istituzioni, del codice penale perpetrate da Silvio Berlusconi allora Presidente del Consiglio.
Intervennero, oltre a Flores, Dario Fo, Antonio Di Pietro, l’economista Paolo Sylos Labini, i giovanissimi fratelli Guzzanti, l’altrettanto giovane Marco Travaglio, Pancho Pardi, Carlo Freccero, Fernanda Pivano, la scrittrice con la “voce rauca” di cui si innamorò Cesare Pavese. Furono tutti interventi appassionati, ognuno a seconda del temperamento di chi parlava. Al Palavobis c’erano all’inizio 8 mila persone, almeno a detta degli organizzatori, ma divennero ben presto 12 mila più 30 mila fuori perché continuava ad affluire gente. I “girotondi” erano appena agli inizi e l’organizzazione anche. Io arrivai al Palavobis quasi per caso, solo perché mi trovavo da quelle parti. Feci quindi un intervento a braccio, che qui in parte riproduco, senza essermi preparato nulla: “Per la verità io ai miei tempi ero socialista prima di Craxi e lo rimango, semplicemente non ho attraversato il periodo socialista con Craxi e i suoi.
C’è un grave limite della sinistra ed è quello di essere egoriferita, la sinistra crede che un problema di Berlusconi riguardi solo lei. No, riguarda tutti i cittadini italiani siano essi di destra o di sinistra. E se volete che il movimento cresca veramente dovete avere quest’occhio, non essere continuamente autoriferiti, farvi autocoscienza e tutte queste altre belle cose.
A Milano l’Onorevole Berlusconi si sottrae al suo giudice, rifiuta di essere giudicato dai Tribunali e dalle leggi dello Stato italiano pur essendone un rappresentante al più alto livello. In terra di Spagna, lo ricordava Furio Colombo, dichiara che sentenze passate in giudicato della Magistratura sono una guerra civile. Bene, se questo è il rispetto che il Presidente del Consiglio ha delle leggi e delle Istituzioni, noi siamo autorizzati a metterci alla sua altezza, o bassezza se preferite, di avere lo stesso rispetto, o meglio mancanza di rispetto, delle leggi dello Stato, del Presidente del Consiglio e del suo governo. Tanto più, tanto più, tanto più che quando il capo del Governo controlla direttamente o indirettamente tutto il sistema televisivo, quando succede questo in un Paese questo non è più un Paese democratico, con tutta evidenza è un regime. Bisogna prenderne atto e trarne le conseguenze. Il Procuratore generale di Milano, lo sapete, Borrelli ha detto: “Resistere”. No, bisogna fare qualcosa di più, bisogna reagire. Perciò basta con la buona educazione, con le buone maniere, col buon e civile argomentare, con la logica, perché questi non rispettano né la logica né i principi. Non si può continuare a battersi con una mano dietro la schiena con chi non solo usa tutte e due, ma usa anche un randello e, come ha minacciato il ministro degli Interni, Novello Bava Beccaris, anche eventualmente i fucili e le armi contro i manifestanti.
Mi spiace dirlo perché io ho 57 anni e ho sempre rispettato le leggi di questo Paese perché considero che le leggi sono ciò che ci tiene assieme, fino all’ultima virgola, ma con i furfanti bisogna comportarsi da furfanti. Lo diceva, mi appoggio a questa autorevole personalità, lo diceva anche il compagno Pertini che diceva ‘a brigante, brigante e mezzo!’.”
Quella sera stessa, partecipando al talk del sempiterno Vespa, il ministro della Giustizia, Roberto Castelli, diceva che avrei dovuto essere arrestato. E il concetto, cosa più inquietante, venne ripreso dal ministro degli Interni, Claudio Scajola. Non avevano tutti i torti perché sottotraccia, e neanche troppo, il mio era un invito a usare la violenza (“basta con le buone maniere”). Ripetei le stesse cose a piazza San Giovanni e questa volta c’erano 100 mila persone.
I “girotondi” non godevano di buona stampa presso la sinistra, quante volte ho sentito in tv o alla radio un esponente di quel pateracchio che metteva insieme La Margherita e i Democratici di Sinistra rispondere scandalizzato a chi lo intervistava: “non mi prenderà mica per un girotondino”.
Paolo Flores d’Arcais al Palavobis aveva detto: “questa è una svolta storica nella storia di questo Paese”. Si sbagliava. Il movimento dei “girotondi” si è volatilizzato abbastanza rapidamente. Qualcuno è morto, i più se ne sono disamorati vedendo che nulla cambiava e Silvio Berlusconi continuava imperterrito ad emanare “leggi ad personam”. Certo Berlusconi oggi conta di meno, ma non per merito nostro, ma perché Fratelli d’Italia e la Lega di Salvini gli hanno sottratto la palla. Noi quella partita l’abbiamo, credo irrimediabilmente, perduta.
A difendere la legalità in questo Paese sono rimasti solo Marco Travaglio, il nostro giornale e i 5 Stelle. Sono, siamo, solo dei patetici Don Chisciotte. Senza nemmeno avere il conforto di Sancho Panza.
Il Fatto Quotidiano, 26 novembre 2022
“Ero rigido e freddo, ero un ponte, stavo sopra a un abisso” (Il ponte, dai racconti di Franz Kafka).
Riprendo la vexata quaestio del Ponte di Messina perché la mia replica alle osservazioni di Sabelli Fioretti riguardava più il mio e il suo essere, due diverse concezioni del mondo, mentre il Ponte restava sullo sfondo.
È un vizio antico del nostro Paese quello di mettere il carro davanti ai buoi o, fuor di metafora, di fare prima le cose straordinarie e poi, o mai, le altre. Il Ponte sullo Stretto dovrebbe essere preceduto da una completa riorganizzazione del territorio e della sua viabilità, sia stradale che ferroviaria, che attualmente, anche senza pensare al Ponte, sono in uno stato disastroso. Prendiamo come esempio di quello che ho chiamato “mettere il carro davanti ai buoi” le autostrade. Paesi ricchi come la Francia e la Svizzera le hanno costruite molto tardi, perché hanno dato la precedenza a un completo riordino della viabilità ordinaria e alla modernizzazione della rete ferroviaria. Noi abbiamo fatto esattamente l’opposto e ci siamo ritrovati sì migliaia di chilometri di autostrade, ma anche strade statali e provinciali in condizioni pietose, nonché ferrovie sulle quali i treni hanno tempi di percorrenza ottocenteschi e il traffico merci è quasi inesistente. Queste considerazioni erano state già sviluppate nel 1994, durante l’ennesima querelle sul Ponte, dal docente di storia contemporanea Giovanni Assereto. Come si vede sono attualissime, nulla è cambiato. Era stato Il Giornale a chiedere un pezzo sul Ponte al professor Assereto ma poi lo aveva rimandato al mittente. Evidentemente la manina di Berlusconi, che oggi è uno dei più assatanati sostenitori del Ponte, era presente già allora. E se non proprio Berlusconi direttamente alcuni dei suoi collaboratori più importanti, a cominciare da Marcello Dell’Utri, sono stati condannati per “concorso esterno in associazione mafiosa”. È quindi una malignità gratuita pensare che il Ponte di Messina interessi particolarmente la Mafia?
Ci si dimentica poi, con molta disinvoltura, che in Sicilia c’è un vulcano chiamato Etna. “Il Krakatoa (basato su un’isola indonesiana, ndr) non pareva particolarmente pericoloso … alle ore 10 del 27 agosto 1883 avvenne una tremenda esplosione che distrusse virtualmente l’isola. 21 km³ di materia vennero scagliati in aria … Ceneri caddero su di un’area di 800.000 km² e oscurarono la regione circostante per più di due giorni. La polvere raggiunse la stratosfera e si sparse sulla Terra intera … la forza della detonazione fu circa ventisei volte quella della più potente bomba H mai fatta esplodere dall’uomo. L’esplosione scatenò uno tsunami che spazzò via le isole vicine e si fece sentire meno catastroficamente su tutto l’oceano. Ogni genere di vita su Krakatoa fu distrutto, e lo tsunami, incanalandosi nei porti dove raggiunse altezze fino a 36 m, distrusse 163 villaggi e uccise quasi 4.000 persone … Nel 1815 il Tambora (siamo sempre in Indonesia, ndr) era alto 4000 m. il 7 aprile di quell’anno, però, la lava compressa si aprì la strada e fece saltare il chilometro superiore del vulcano. 150 km³ di materia vennero scagliati fuori in quell’eruzione, il che costituisce la maggior massa di materia scagliata nell’atmosfera in tempi moderni. La pioggia diretta di rocce e ceneri uccise 12.000 persone e la distruzione di terreno arabile e animali domestici portò alla morte per fame di 80.000 persone su Sumbawa e sulla vicina isola di Lombok. Nell’emisfero occidentale, la più orrenda eruzione in tempi storici avvenne l’8 maggio 1902. Il monte Pelée, all’estremità nord-occidentale dell’isola caraibica della Martinica, era noto per emettere qualche singhiozzo di tanto in tanto, ma quel giorno eruppe in un’esplosione gigantesca. Un fiume di lava e una nube di gas caldo scesero a grande velocità lungo i fianchi del vulcano, spazzando la città di St. Pierre e distruggendo totalmente la sua popolazione costituita da 38.000 persone” Isaac Asimov, Catastrofi a scelta.
Come si vede siamo sospesi su un abisso come il ponte di Kafka, solo che quello kafkiano è kafkiano, immaginario, il nostro è molto concreto.
Il Fatto Quotidiano, 24 novembre 2022
Fra due giorni cominceranno i Campionati mondiali di calcio, l’avvenimento sportivo più importante insieme alle Olimpiadi. Si svolgeranno in Qatar, paese mediorientale di 2 milioni di abitanti con una superficie di poco più di 11 mila chilometri quadrati.
Il calcio è nato in Europa e si è poi esteso in Sud America che ha dato alcuni dei più grandi giocatori del mondo, da Pelé agli argentini Maradona e Messi. Ma poiché è popolarissimo (“Il più bel gioco del mondo”, secondo alcuni) è arrivato negli anni anche in Africa e nel mondo arabo. Siccome sono un patito seguo, oltre al nostro, molti campionati europei, la Liga, la Premier inglese, la Bundesliga (e anche il campionato scozzese che è molto divertente perché i giocatori si danno botte da orbi, ma in modo leale, e nessuno fa lo svenuto se ha subito un intervento un po’ brusco, diciamo che assomiglia un po’ al rugby). Bene, in tutti i campionati che seguo ho visto giocatori originari del Camerun, dello Zimbabwe, del Senegal, della Costa d’Avorio, del Ghana, nigeriani, algerini, tunisini, egiziani, dell’Oman e persino del Mali, ma non ho mai visto un calciatore qatariota (sia detto di passata: i neri sono diventati fortissimi – Nigeria docet – da quando, ingenui come sono, hanno smesso di essere ipnotizzati dalla palla e hanno capito il gioco).
Quanti europei andranno in Qatar: 6.000 chilometri di volo con grande spreco di energia? E quanti qatarioti andranno a vedere le partite visto che da loro il pallone da football è un oggetto misterioso? Si rischiano stadi semideserti.
In Qatar, nonostante sia autunno, si gioca a 32 gradi, tanto che hanno dovuto mettere l’aria condizionata negli stadi, altro spreco di energia. E queste temperature falsano il gioco, come avvenne nei Campionati del mondo in Messico dove si pretese di far giocare gli atleti a 2.500 metri di altezza, penalizzando le squadre più dinamiche come la Danimarca Dynamite (in Messico giganteggiò anche Socrates, nomen omen, che pensava molto ma non si spostava di un metro, mentre nel Campionato italiano si rivelò una ciofeca).
Scegliendo il Qatar si sono falsati contemporaneamente i Campionati nazionali e la Champions, perché dopo la sosta di un mese (che prima di questa follia si faceva in estate) le squadre non saranno più nella stessa forma che hanno adesso e dovranno ricominciare da capo, saranno due diversi Campionati e due diverse Champions.
Perché questa follia? Elementare Watson: la FIFA ha ricevuto dal Qatar 880 milioni di dollari. Lo stesso Blatter, presidente della FIFA, ha fatto mea culpa: “il Qatar fu una scelta sbagliata e io ne sono il responsabile”.
Business is business, as usual. Ma ormai nel calcio tutto è diventato economico, tutto è diventato denaro, emarginando i contenuti rituali, mitici, simbolici, sentimentali, emotivi e anche sociali che hanno fatto la fortuna di questo gioco per più di un secolo, sacrificandolo all’unico dio oggi universalmente riconosciuto: il Dio Quattrino. E il denaro, come un grande incendio, finisce per bruciare proprio il materiale di cui si alimenta.
Trent’anni fa avevo previsto che il calcio andava a morire per il prevalere che vi aveva preso l’economia (Il denaro “Sterco del demonio”, 1998). Questa fosca profezia, al di là di alcune apparenze trionfali, si sta avverando e così gli apprendisti stregoni, gli idolatri del Denaro, avranno realizzato, è il caso di dirlo, l’ennesimo autogol.
Il Fatto Quotidiano, 19 novembre 2022