Adesso l’arroganza di Zelensky ha superato ogni limite: non si accontenta più di dettare l’agenda politica dell’Ue ma vuole cancellare la cultura russa dall’Europa, la stessa pretesa di Putin con l’Ucraina. Come racconta Marco Travaglio sul Fatto di venerdì: “Il console ucraino Andrii Kartysh ha intimato a Sala, a Fontana e al sovrintendente Meyer di cancellare la prima della Scala col Boris Gurdonov di Musorgskij e ‘rivedere’ il cartellone per ripulirlo da altri ‘elementi propagandistici’, cioè da opere di musicisti russi”. Dà ordini perentori ai sindaci, ai presidenti di Regione, ai direttori artistici, vuole decidere lui, attraverso i suoi scagnozzi, quale deve essere il cartellone della Scala. La Scala, il più grande teatro al mondo di musica classica, di balletto, di operistica, dove sono stati messi in scena i maggiori compositori russi, da Tchaikovsky a Rimsy-Korsakov a Prokofiev a Khachaturian a Stravinsky, dove hanno ballato le più grandi étoile russe, da Rudy Nureyev a Baryshnikov, e, per restare a casa nostra, sempre che rimanga tale, dove sono stati dati tutti i nostri grandi dell’opera, da Puccini a Rossini, da Verdi a Vivaldi, da Monteverdi a Bellini, dove hanno cantato Maria Callas e la Tebaldi. Che cosa ci hanno dato gli ucraini in cambio? Zero, zero.
Volodymyr Zelensky è un filo-nazista, non perché lo ha bollato così Putin, ma perché una parte del popolo, sia pur carsicamente, lo è, non solo i miliziani del battaglione Azov che lo sono apertamente, sono inglobati nell’esercito regolare ucraino e vengono continuamente esibiti e magnificati dal loro Presidente. Infatti due settimane fa, come già l’anno scorso, il suo governo ha votato contro l’annuale risoluzione Onu che condanna l’esaltazione del nazismo: l’aveva già fatto l’anno scorso, insieme agli Usa, mentre stavolta Kiev si è tirata dietro i principali Paesi europei, Italia inclusa.
Quando in Ucraina c’erano la Wehrmacht e la Gestapo, con cui non si scherzava, gli ucraini sono stati attori, in proporzione, di uno dei più grandi pogrom antiebraici.
Volodymyr Zelensky gonfia il petto per la resistenza all’“operazione speciale” di Putin. Ma con le armi che gli hanno dato gli americani e disgraziatamente anche l’Unione europea, che continua a non capire dove sono i suoi veri interessi, pure il Lussemburgo avrebbe resistito al tentativo di occupazione russa. Senza contare che in corso d’opera si è scoperto che l’Ucraina era già zeppa di armamenti sofisticati.
Lo so, lo so che è obbligatorio premettere che qui c’è un aggressore, la Russia, e un aggredito, l’Ucraina. Tutto vero, però queste sottili distinzioni non si sono fatte quando gli aggressori eravamo noi, Germania in parte esclusa, in Serbia 1999, in Afghanistan 2001, in Iraq 2003, in Somalia, per interposta Etiopia, 2006-2007, col bel risultato di favorire gli Shabab che hanno giurato fedeltà allo Stato Islamico, e infine in Libia, 2011, in una delle più sciagurate operazioni di alcuni Paesi Nato, Stati Uniti, Francia e Italia a governo Berlusconi. Però solo Putin continua a essere massacrato dalla cosiddetta “comunità internazionale” che altro non è che il coacervo di Stati stesi come sogliole ai piedi degli States e che è sì internazionale, ma non è mondiale perché a questa condanna sono estranei non solo la Cina e l’India, circa tre miliardi di persone, ma anche quasi tutti i Paesi sudamericani, tanto più che ora Lula ha cacciato a pedate il ‘cocco’ dell’Occidente, Bolsonaro. Inoltre in questa damnatio memoriae qualche ragione ce l’ha anche la Russia di Putin. Non è rassicurante essere circondati da Paesi Nato e filo-Nato cioè, attraverso gli Stati Uniti, da Stati potenzialmente nucleari, oltre che dai nazisti ucraini.
Pistola alla tempia io scelgo la Russia, anche l’attuale Russia, non l’Ucraina. E forse faccio anche a meno della pistola.
Il Fatto Quotidiano, 17 novembre 2022
Ogni volta che viene pubblicato un articolo di Massimo Fini sul Fatto Quotidiano corro a leggerlo. Perché quasi sempre scrive cose che avrei voluto scrivere io e le scrive meglio di me. Perché Massimo Fini, lo sanno tutti, è bravissimo e non è mai scontato. Ma ieri ho letto il suo intervento sul Ponte sullo Stretto di Messina e mi sono detto: eccheccavolo, come si possono scrivere cose così generiche, errate e piene di luoghi comuni?
Sul Ponte sullo Stretto di Messina, caro Massimo, mi hai deluso.
Primo argomento di Fini: non si costruisce un ponte in un territorio ad alto rischio sismico, dove un secolo fa ci fu un terremoto che causò 120 mila morti. Dice Fini che non bisogna dare retta a coloro che assicurano che saranno usate tecniche antisismiche raffinatissime. Dice che un ponte così grande non può reggere un terremoto di una qualche intensità.
Non è vero. In Giappone dove convivono con terremoti molto più intensi e frequenti dei nostri ci sono tantissimi ponti che collegano le varie isole e che sono molto più lunghi del Ponte sullo Stretto di Messina. Il Ponte Akasshi Kaikyo è lungo quattro chilometri. Collega la città di Kobe all’isola di Awaji.
Iniziato a costruire nel 1988, le sue due torri resistettero al terremoto di Kobe che colpì la zona con una intensità di 6,8 gradi Richter e fece 6 mila vittime. I lavori ripresero dopo un mese. Fu inaugurato nel 1998. Allora era il ponte sospeso più lungo del mondo.
Dice Fini: “Poi ci sono gli imprevedibili che sempre assediano l’umano”. Ma gli imprevedibili per definizione non possono essere previsti. Per esempio non si può prevedere che un meteorite possa distruggere lo Stadio Olimpico durante un derby Roma-Lazio. Che facciamo, vietiamo il calcio?
Dice Fini, inesorabile: il Ponte Morandi fu costruito con tecniche avanzatissime. Ma la corrosione della salsedine lo ha fatto precipitare all’improvviso. Non è vero, non diamo la colpa alla salsedine altrimenti tutti i ponti costruiti sul mare sarebbero crollati da tempo. La colpa è di chi doveva occuparsi della manutenzione e dei controlli e non l’ha fatto.
E poi c’è la questione ambientale. Dice Fini che il Ponte potrebbe distruggere le coste come succede quando si costruisce un porto. E’ vero. Che facciamo? Blocchiamo tutto? O magari cerchiamo di usare tecniche più oculate, attente e meno invasive? E meno male che Fini non usa il vecchio argomento degli ambientalisti secondo il quale il ponte e i piloni disturberebbero i viaggi degli uccelli migratori.
Però usa un argomento che è anche peggio. “Il Ponte non serve né ai siciliani né ai calabresi perché per arrivare alla sua altezza ci vuole più tempo che per imbarcarsi sul traghetto”. Massimo, questo non è vero. Sembra che tu non sia mai andato in Sicilia oppure non ti sia accorto di quanto tempo ci vuole per fare attraversare lo Stretto ai treni. E quanto tempo le auto passano in fila in attesa dell’imbarco.
Infine, o quasi. Dice Fini: “Ci sono anche delle resistenze psicologiche: noi siamo abituati ad avere di fronte un’isola dicono i calabresi, noi un continente replicano i siciliani” E qui un gigantesco chissenefrega si innalza dell’aire. E comunque una sciocchezza del genere io non l’ho mai ascoltata. E io abito in Sicilia.
Per concludere l’argomento principe: la mafia. Il Ponte farà arricchire la mafia. La mafia arricchisce anche adesso che il Ponte non c’è. Arricchisce con le costruzioni, per esempio. Ma nessuno si sogna di proporre il divieto di palazzina. Arricchisce sfruttando gli operai. Vietiamo alla gente di lavorare? Cerchiamo di combattere la mafia ma senza affossare ciò che può essere di aiuto all’uomo.
Massimo, io ti ho sempre seguito nei tuoi ragionamenti contro lo sviluppo sfrenato. Ma i ponti non me li devi toccare. I ponti sono un simbolo di comunicazione, di popoli che si incontrano, di civiltà che si contaminano. I ponti sono come la lingua, come la musica, come la scrittura. I ponti sono il passato, il presente e il futuro dell’uomo. Ti prego, Massimo, non ti opporre al Ponte sullo Stretto.
Caro Claudio,
non posso dimenticare la tua mirabile intervista, puntuale, precisa o quasi, ironica e con qualche giusta punzecchiatura, che mi hai fatto per il tuo libro Voltagabbana da cui risulta che nella mia vita io sono stato tutto (sex drugs and rock n roll) fuorché un "voltagabbana". Né posso dimenticare le benevoli recensioni che hai fatto ad alcuni miei libri, né la rubrica su Cuore, da te diretto, che suscitò una mezza rivoluzione fra i tuoi redattori che mi consideravano "fascista" e alla quale tu tenesti botta. Sono sempre stato coerente, coerente con me stesso. Una volta Paolo Liguori in non so più quale circostanza disse che la mia era "una coerenza cretina". Probabilmente ha ragione, ma trovo curioso che si volti la gabbana sempre a favore dei vincitori di giornata. Il "quasi" si riferisce a Claudio Martelli. Io gli sono stato amico solo nella disgrazia, mai nella fortuna. In questo seguo Fabrizio De André quando in Amico fragile canta: "Potevo barattare la mia chitarra e il suo elmo con una scatola di legno che dicesse: perderemo".
Le tue considerazioni sul Ponte di Messina appaiono argomentate in modo solido, però in chiusura di questa breve risposta ti devo ficcare, da buon scorpione qual sono, un pungiglione nel didietro. Tanti anni fa portando in macchina tuo padre, non mi ricordo dove, lui mi disse: "Claudio è troppo interessato al denaro". E il Ponte di Messina è solo e soltanto denaro.
Affettuosamente. Massimo Fini
Il Fatto Quotidiano, 16 novembre 2022
Con l’avvento della destra-destra-destra e in particolare sulla spinta di Forza Italia torna incredibilmente all’onor del mondo il Ponte sullo Stretto di Messina che dovrebbe unire Calabria e Sicilia, progetto che sembrava definitivamente affossato quando i 5 Stelle erano egemoni. Ma già a giugno Forza Italia aveva proposto un emendamento per convogliare fondi del Pnrr sul Ponte, opera, come ognun capisce, di strettissima attualità con tutti i problemi che abbiamo.
Quello del Ponte sullo Stretto è un progetto delirante e criminale per molti motivi, partiamo dal primo. I territori su cui dovrebbe essere appoggiato il Ponte sono sismici. Il più grande disastro naturale avvenuto nel nostro Paese in tempi moderni è stato il terremoto di Messina che provocò in Sicilia e in Calabria 120 mila morti. L’alluvione del Polesine, come ricorda sul Corriere della Sera di mercoledì Gian Antonio Stella, che fu un vero shock per l’intero Paese (io avevo undici anni e me ne ricordo benissimo) causò 108 morti, che è una cifra ragguardevole, ma siamo in ordini di grandezza a distanza spaziale.
Coloro che hanno lavorato e che ancora lavorano per il progetto del Ponte (perché questa storia parte da lontano) hanno assicurato che il Ponte sarebbe costruito con tecniche raffinatissime tali da poter reggere un terremoto. Vedremo cosa diranno quando sul terreno ci saranno altri centomila morti. Perché una struttura così pesante come un ponte a tre campate (adesso pare che siano state prudentemente ridotte a due) non può reggere un terremoto di una qualche intensità. Può farlo forse una casetta di campagna in legno, non un gigante di cemento o di qualsiasi altro materiale con cui dovrebbe essere fatto il Ponte. Poi ci sono gli imprevedibili che sempre assediano l’umano. Il ponte di Riccardo Morandi, che era un apprezzatissimo ingegnere, quasi una gloria del Made in Italy, fu costruito con tecniche avanzatissime per l’epoca ma la corrosione della salsedine lo ha fatto precipitare all’improvviso. E anche il Ponte di Messina, se non mi sbaglio, è costruito sul mare.
In seconda battuta c’è la questione ambientale. Anni fa andavo spesso a Reggio Calabria per delle conferenze o per incontrare degli amici che avevo lì o sull’Aspromonte. In genere, sbrigate le faccende, chiedevo ai miei amici, fosse estate o inverno, di portarmi a fare un bagno sullo Ionio, cioè ad est di Reggio. Ci bastavano pochi chilometri per raggiungere un litorale splendido. L’ultima volta però mi accorsi che era più di mezzora che stavamo viaggiando a coté di un litorale sassoso (non roccia, sassi) inutilizzabile per fare il bagno o per qualsiasi altra cosa. Chiesi il perché ai miei amici. “Mah, mi dissero, da un po’ di tempo ad est di Reggio hanno costruito un porto turistico”. “Bene, andiamo a vederlo”. Era delle dimensioni che può avere, appunto, un porto turistico. Molto ridotte. Ma era bastato quello sputacchio per distruggere trenta chilometri di costa. Cosa può fare un Ponte progettato per essere lungo almeno due chilometri?
Il Ponte non serve né ai siciliani né ai calabresi perché per arrivare alla sua altezza ci vuole più tempo che per imbarcarsi sul traghetto. Ci sono anche delle resistenze psicologiche: noi siamo abituati ad avere di fronte un’isola dicono i calabresi, noi un continente replicano i siciliani.
È quasi inutile aggiungere che il Ponte sullo Stretto di Messina sarebbe un colossale regalo a Mafia e ’ndrangheta. Lo ammette, indirettamente, anche Nello Musumeci, Fratelli d’Italia, ministro per il Sud: “Nel Sud come ovunque, ormai, quando c’è un flusso di denaro le mafie alzano la testa”. E se questo avviene per flussi di denaro molto minori, non è difficile immaginare che la mafia si getterà sul Ponte dello Stretto di Messina con la voracità sanguinaria e parassita degli animali da preda.
La pelle della gente? E chi se ne frega. L’ambiente? E chi se ne strafrega. E la mafia? Oh che sfinimento di cazzo con questa storia, e poi noi con la mafia abbiamo ottimi rapporti e non ci saranno problemi.
Business is business. E poi non si dice sempre che bisogna modernizzare? Ma verrà un giorno, non poi così tanto lontano vista la velocità cui stiamo andando, in cui il termine “modernizzazione” sarà considerato una parolaccia.
Il Fatto Quotidiano, 13 novembre 2022