Durante la visita del cancelliere Scholz a Pechino il presidente cinese Xi Jinping ha detto: “Spero che i rapporti tra Europa e Cina non siano presi di mira o controllati da terzi”. I “terzi” sono evidentemente gli americani. Xi ha perfettamente ragione non solo riguardo agli interessi del suo Paese, ma anche a quelli dell’Europa. È l’ora di farla finita con il cosiddetto “atlantismo” che altro non vuol dire che la subordinazione degli interessi europei, e anche italiani, allo zio Sam, com’è stato per 75 anni.
Il Novecento è stato il “secolo americano”, il Duemila sarà di altri, probabilmente la Cina, ma non solo la Cina. Gli Stati Uniti debbono rassegnarsi a non essere più gli incontrastati primi. L’Europa, e con essa l’Italia, ha il diritto di cercare, almeno cercare, di difendere i propri interessi, cosa evidente ma che non appare del tutto chiara a molti leader dei Paesi europei. Scholz è stato aspramente criticato innanzitutto per essere andato in Cina, orrore, e per soprammercato di essersi portato dietro molti imprenditori tedeschi. Che cosa doveva fare visto che la Cina è un enorme mercato in espansione? Doveva rinunciare perché gli Stati Uniti sono in conflitto economico con la Cina? La più esplicita nella critica a Scholz è stata la ministra degli Esteri tedesca Annalena Baerbock che ha affermato: “La Germania non può più dipendere da un Paese che non condivide i nostri valori”. O bella, l’Europa intera ha stretti legami con l’Arabia Saudita o l’Egitto o la Turchia, Paesi che certamente “non condividono i nostri valori”.
Il più modesto Di Maio quando era ministro degli Esteri fu massacrato per aver aperto alla “via della seta”. Fu una delle poche buone iniziative di Di Maio. Naturalmente se noi abbiamo vantaggi nel commerciare con la Cina, anche la Cina li ha nei nostri confronti. Una normale, normalissima, dialettica commerciale sempre che noi si abbia la forza e il coraggio di non passare da un padrone all’altro. Altrimenti siamo punto e a capo.
Restando in Italia un esempio palmare di come i nostri interessi non solo non coincidano, ma divergano da quelli americani, è la vicenda della raffineria Lukoil a Priolo. Per l’embargo economico alla Russia decretato dagli americani la raffineria non dovrebbe più ricevere e trattare gas russo a partire dal prossimo 5 dicembre. Per noi sarebbe un disastro: all’azienda Lukoil lavorano 1000 persone che diventano 3000 con l’indotto “ma è a rischio l’intera area industriale compresa tra Priolo, Augusta e Mellili e i suoi 10.000 posti di lavoro” come scrive sul Corriere della Sera (02/11) Giuliana Ferraino. Per buona sorte il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, mio antico sodale a L’Italia settimanale, ha promesso di metterci una pezza. Del resto non è proprio la leader del suo partito, Giorgia Meloni, a dichiarare a ogni piè sospinto che in primo piano ci devono essere gli “interessi nazionali”? E gli “interessi nazionali” non possono essere difesi se continuiamo ad essere “atlantisti”, cioè al servizio degli interessi economici e geopolitici degli Stati Uniti.
Il Fatto Quotidiano, 10 novembre 2022
“Sono un italiano, un italiano vero. Lasciatemi cantare con la chitarra in mano perché ne sono fiero” (L’italiano, Totò Cutugno)
Nel 2002, poco prima di morire, Giorgio Gaber cantava “Io non mi sento italiano, ma per fortuna o purtroppo lo sono”, il disco sarà poi pubblicato postumo. Credo che oggi Gaber, che era di origine polacca, di cognome fa Gaberščik, direbbe “Io mi vergogno di essere italiano, ma purtroppo lo sono”.
Non si tratta del fatto che attualmente l’Italia è governata da una destra-destra-destra (perché non c’è nessun ‘centro’, Berlusconi, al di là delle apparenze, con il suo turbocapitalismo è il più a destra di tutti). La destra ha pari legittimità di governare della sinistra, ammesso che ci sia ancora una sinistra in questo Paese. A questo avanzo di sinistra mi permetterei di consigliare di smetterla col suo insopportabile ‘superiority complex’ che aveva forse un senso quando i leader si chiamavano Amendola, Ingrao, Longo, Secchia. Lascio fuori da questa lista Palmiro Togliatti, “il migliore”. Perché oltre che cinico fu uomo vilissimo. Si oppose in tutti i modi, naturalmente trasversali così da non apparire, a uno scambio di prigionieri fra l’Italia e l’Urss, scambio che comprendeva Antonio Gramsci, prigioniero nelle carceri fasciste dal 1926. Perché? Perché se Gramsci fosse tornato in libertà avrebbe ripreso il suo posto di segretario del Partito che nel frattempo era stato assunto da Togliatti. In un’altra occasione Vincenzo Bianco chiese a Togliatti di intervenire presso Stalin per rendere un po’ più umane le condizioni dei prigionieri dell’ARMIR rinchiusi nei lager sovietici (La spedizione dell’ARMIR fu una delle più sciagurate operazioni di Mussolini, perché i nostri soldati erano male equipaggiati per l’inverno russo, per il congelamento gli cadevano le mani e i genitali). Togliatti non osò affrontare Stalin. Allora lo fece lo stesso Bianco senza subire alcuna conseguenza, tanto che lo ritroviamo qualche anno dopo sul fronte jugoslavo. Dai “migliori” c’è sempre da aspettarsi il peggio.
Torniamo all’oggi. Ciò di cui intendo occuparmi qui non è la politica politicante, ma il livello cui si è ridotto il popolo italiano e che dà ragione alle parole di Gaber. L’Italia è un gigantesco “mondo di mezzo” che da Roma si è esteso all’intero Paese, dove è molto difficile distinguere se chi ti sta davanti è un corruttore, un corrotto o una persona per bene. Sono saltati alcuni valori che io chiamo “prepolitici, preideologici, prereligiosi”. Cominciamo con un settore decisivo che è quello dell’educazione. Quella dei docenti universitari è una corporazione che utilizza metodi tipicamente mafiosi: io metto il tuo protetto lì e tu metti il mio protetto là. C’è voluto un docente inglese, Philip Laroma Jezzi, per smascherare questo marciume. È significativo ciò che in una telefonata un docente corrotto dice a Laroma: “Non fare l’inglese”, cioè non comportarti da persona onesta. A Firenze 22 docenti furono abbottegati per questo, ma altrove tutto continua come prima. E sono questi soggetti che dovrebbero educare i nostri ragazzi? Al massimo, oltre a dare il loro apporto culturale, in cui possono essere anche bravissimi, insegnano l’omertà.
Ma usciamo dall’ambiente universitario e prendiamo l’onestà. Negli anni del dopoguerra quando, tranne una sottile striscia di ricchissimi che però avevano il buonsenso e la prudenza di non ostentare il proprio benessere, eravamo tutti più o meno poveri, molto più poveri di quanto lo si sia oggi, gli anni insomma della mia adolescenza e della mia giovinezza, l’onestà era un valore per tutti. Per la borghesia, se non altro perché dava credito (oggi è il contrario, una persona onesta, in qualsiasi ambiente, è un intralcio perché non è ricattabile, Meloni docet), per il mondo contadino per il quale violare la stretta di mano voleva dire essere emarginati dalla comunità, per il mondo proletario, in genere comunista o socialista, che aveva dei valori forti che rispettava.
In Italia abbiamo quattro mafie sempre più forti e presenti sul territorio: la Mafia propriamente detta, la ‘Ndrangheta in fortissima ascesa e che si è espansa dalla Calabria al Nord, la Camorra napoletana e la Sacra Corona Unita nelle Puglie. Ma questo sarebbe, paradossalmente, il male minore. Perché invece di essere ‘liquide’ come il “mondo di mezzo” sono strutture organizzate che volendo potrebbero essere combattute (ci provano i magistrati ma sono impigliati in una serie di leggi fintogarantiste che assicurano l’impunità al colpevole e penalizzano l’innocente). Purtroppo la democrazia trasformatasi in partitocrazia, cioè in un sistema che usa a sua volta metodi mafiosi, è troppo debole e compromessa per combattere le varie mafie. Solo un potere forte può farlo. L’unico a combattere seriamente la Mafia fu Benito Mussolini perché un potere forte non può accettare che nel suo territorio ci sia un potere altrettanto forte (è il caso di Saddam Hussein che cacciò dall’Iraq Bin Laden che si rifugiò nel Sud Sudan per poi essere chiamato in Afghanistan dal nobile Massud e dare inizio a una tragedia che il nostro lettore, credo, conosce piuttosto bene).
Nel 1943 la Mafia siciliana era strettamente legata a quella americana cui aveva dato origine, l’avevamo esportata negli States. Se notate quasi tutti i cognomi dei maggiori caporioni mafiosi americani sono italiani, da Al Capone a John Gotti a Lucky Luciano ai fratelli Angiulo. E fu questa mafia italo-americana ad aprire le porte della Sicilia agli Alleati (facendo così diventare ridicola, come tante sue frasi ad effetto, l’affermazione di Mussolini: “Fermeremo gli americani sul bagnasciuga”). Naturalmente l’Italia dovette pagare un prezzo e tutti i nostri politici, non solo il troppo bistrattato Giulio Andreotti ma anche l’integerrimo Ugo La Malfa, che aveva come suo uomo in Sicilia Aristide Gunnella, dovettero avere rapporti collusori con la Mafia. Non è stato un buon modo di cominciare.
Poi ci sono stati altri fattori, sociali e culturali, soprattutto nell’ambito della comunicazione. Non parlo qui della prima tv del democristiano Ettore Bernabei che fu un’ottima tv, dirigista certamente ma che forniva nell’ambito culturale e dell’intrattenimento degli ottimi programmi. Poi venne il pluralismo e la spartizione cencelliana dei posti in Rai. Infine il berlusconismo ha fatto piazza pulita della cultura, dei valori e soprattutto dell’etica. La gazzarra cui assistiamo oggi in Rai ne è un ultimo esempio. Ecco la Rai potrebbe essere presa a paradigma dell’Italia e dell’italiano di oggi, insieme ai social dove dominano gli haters e la stupidità più becera.
Mi vergogno di essere italiano.
Il Fatto Quotidiano, 6 novembre 2022
L’avvenimento internazionale più importante di questi giorni, più importante di quanto sta avvenendo nella pallida, slombata e impotente Europa dove si fa il ponte isterico per il conflitto russo-ucraino spacciandolo per la prima guerra nel Vecchio continente dopo il Secondo conflitto mondiale come se la guerra alla Serbia del 1999 fosse stata una passeggiata turistica, è la vittoria in Brasile, sia pur di misura, di Luiz Ignácio Lula da Silva, il “presidente operaio”, contro Jair Bolsonaro. Perché dico che la vittoria di Lula supera per importanza tutti gli altri avvenimenti in corsa? Perché ha una valenza globale che interroga tutti i Paesi del pianeta. Infatti l’Amazzonia che copre il Brasile, ma non solo il Brasile, è il grande polmone del mondo da cui dipende la vita di tutto il resto. Bolsonaro aveva distrutto più di un terzo della Foresta amazzonica a favore dei garimpeiros, i cercatori d’oro, e soprattutto delle grandi fazendas, eliminando la biodiversità, vegetale, animale ma anche umana perché aveva costretto gli indigeni in aree sempre più ristrette fino a minacciarne l’esistenza.
Il programma di Lula è, se così si può dire, ecosocialista: deforestazione zero, lotta in favore, appunto, della biodiversità, lotta contro la fame, che coinvolge 33 milioni di brasiliani, e la povertà assoluta che riguarda 10 milioni di persone. Lula, grazie alla sollecitazione di una sua ex ministra, Marina Silva, ha in programma anche di dare un ministero ai “Popoli originari”.
Il programma di Lula si inserisce nel cosiddetto “socialismo bolivariano”, che è la forma che prende il socialismo in Sud America e che ebbe una grande spinta dall’elezione di Hugo Chávez in Venezuela nel 1999, e il “chavismo” coinvolse molti Paesi sudamericani, dalla Bolivia di Morales all’Uruguay di José Mujica all’Ecuador di Rafael Correa e allo stesso Brasile di Dilma Rousseff.
Il “socialismo bolivariano” è sempre stato visto come fumo negli occhi dall’“amico americano”, che lo osteggia anche oggi là dove resiste ancora come nel Venezuela di Nicolás Maduro, definito invariabilmente dai media internazionali, italiani compresi, un “dittatore” mentre dittatore non è mai stato.
È curioso che i leader politici europei siano rimasti praticamente silenti davanti alla vittoria di Lula, solo l’ex premier spagnolo, il socialista José Zapatero, che ebbe il coraggio di ritirare le proprie forze militari dall’avventura americana in Iraq mentre il cattolicissimo Aznar ce le aveva mandate nonostante Karol Wojtyla avesse espresso la sua ferma condanna, ha dichiarato il suo entusiasmo per la vittoria di Lula.
Il socialismo, che non va confuso con il comunismo, quante volte bisognerà ricordare ancora questi elementari, coniuga una ragionevole uguaglianza sociale con il rispetto dei diritti civili, il comunismo li soffoca.
E noi che, nel nostro piccolo, siamo stati sempre dei socialisti libertari ci uniamo all’entusiasmo di Zapatero per la vittoria di Luiz Ignácio Lula da Silva.
Il Fatto Quotidiano, 2 novembre 2022