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“Là dove c'era l'erba ora c'è
Una città…

Ma come fai a non capire
È una fortuna, per voi che restate
A piedi nudi a giocare nei prati
Mentre là in centro io respiro il cemento…

Torna e non trova gli amici che aveva
Solo case su case
Catrame e cemento

Là dove c'era l'erba ora c'è
Una città…

Perché continuano
A costruire, le case
E non lasciano l'erba

Eh no
Se andiamo avanti così, chissà
Come si farà
Chissà
Chissà
Come si farà”

(Adriano Celentano Il ragazzo della via Gluck)

Questa famosa canzone di Celentano è del 1966 e non è interessante per il tema ambientale, che fra gli intellettuali più avvertiti era all’ordine del giorno già negli anni Trenta, ma che negli anni Ottanta si estenderà al sentire anche del la ‘gente comune’ con la formazione di gruppi ecologisti (Alexander Langer). Del resto nel 1972 il Club di Roma diretto dall'italiano Aurelio Peccei, ma i cui componenti erano scienziati del prestigioso MIT, pubblicherà un libro fondamentale “I limiti dello sviluppo”  in cui prevedevano che alcune essenziali fonti di energia, come il petrolio ma non solo, si sarebbero esaurite intorno al Duemila. Purtroppo si sbagliavano perché queste fonti resistono ancora adesso. Comunque quelli del club di Roma si rendevano conto che non può esistere uno Sviluppo illimitato, senza fine. Se ci avessero azzeccato saremmo stati costretti a limitare i nostri consumi e con essi la produzione. Un occasione si è presentata ai nostri giorni con il Covid e il lockdown. Costretti per mesi in casa, ridotti a una vita da trappisti, avremmo dovuto capire che di molti beni potevamo fare a meno.

Celentano aveva intuito, perché questa era stata la sua storia, che l’urbanizzazione distrugge la vita di una comunità.

E con l’urbanizzazione si torna al tema ambientale ed ecologico e quindi anche al recente disastro idrogeologico delle Marche. Scrive Fabio Canessa, uno di quegli intellettuali di provincia che sono l’autentico nerbo della cultura del nostro paese:” È significativo che il nubifragio marchigiano non abbia fatto danni nei vecchi borghi storici costruiti secoli fa e abbia invece distrutto, uccidendo 13 persone, i paesi più nuovi e cementificati, nei quali l’acqua non poteva essere assorbita dal terreno.” (Università di Aristan)

Senza una campagna attorno, “l’erba” come la chiama Celentano nella sua canzone, l’acqua scivolava con grande facilità come su un tappeto da biliardo.

Quelli del MIT, degli scienziati, non degli umanisti, concludevano così I limiti dello Sviluppo: “Un’ultima osservazione: è necessario che l’uomo analizzi dentro di sé gli scopi della propria attività e i valori che la ispirano, oltre che pensare al mondo che si accinge a modificare, incessantemente, giacché il problema non è solo stabilire se la specie umana potrà sopravvivere, ma anche, e soprattutto, se potrà farlo senza ridursi a un’esistenza indegna di essere vissuta”.

“Se andiamo avanti così chissà come si farà, chissà come si fara.”

Il Fatto Quotidiano, 29 settembre 2022

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Alcuni lettori del Fatto e anche qualche mio fan, per così dire, personale mi chiedono come mai nel mezzo di una battaglia elettorale e di elezioni che si pretendono decisive per la democrazia e il suo stesso futuro io mi occupi invece di Afghanistan. Potrei rispondere, per dirla con Battiato, che “mi butta giù” dovermi occupare di personaggi come Carlo Calenda, Matteo Renzi, Matteo Salvini e persino di Silvio Berlusconi, un “delinquente naturale” come l’ha definito la nostra Magistratura condannandolo per una colossale evasione fiscale, una carriera malavitosa cui va aggiunta una ripugnante truffa ai danni di un’orfana minorenne di entrambi i genitori e altre imprese di questo tipo da cui s’è salvato godendo di nove prescrizioni. E che continua ad essere ancora oggi, a 85 anni, un perno della politica italiana.  Un fenomeno che non avrebbe diritto di cittadinanza in nessun altro Paese europeo. Ma sarebbe ingiusto perché in questa mischia furibonda sono coinvolte anche delle persone perbene e con tutti i titoli per governare il nostro Paese. 

Il motivo è un altro: non credo alla democrazia rappresentativa (Sudditi. Manifesto contro la Democrazia). Credo solo alla democrazia diretta, quella immaginata del ginevrino Rousseau.

La democrazia esisteva quando non sapeva di essere democrazia. Nell’ancien régime l’assemblea del villaggio, formata da tutti i capifamiglia, in genere uomini ma anche donne se il marito era morto, decideva su tutto ciò che riguardava il villaggio. Scrive Albert  Soboul, uno dei maggiori storici degli anni che precedono e seguono la Rivoluzione Francese: “l’assemblea votava le spese e procedeva alle nomine; decideva della vendita, scambio e locazione dei boschi comuni, della riparazione della chiesa, del presbiterio, delle strade e dei ponti. Riscuoteva ‘au pied de la taille’ (cioè proporzionalmente) i canoni che alimentavano il bilancio comunale; poteva contrarre debiti ed iniziare processi; nominava, oltre i sindaci, il maestro di scuola, il pastore comunale, i guardiani di messi, gli assessori e i riscossori di taglia”(La società francese nella seconda metà del Settecento). Un’altra importante attribuzione l’assemblea l’aveva in materia di tasse reali, era infatti l’assemblea che ne fissava la ripartizione all’interno della comunità e la riscossione. Rigorose  e puntigliose erano anche le forme di partecipazione.  L’assemblea era convocata, almeno alla vigilia del giorno stabilito, dal sergente di giustizia o dal guardiano delle messi. Andava di porta in porta, di uscio in uscio. L’assemblea era anche annunciata alla predica della messa parrocchiale. In tutti i casi il tamburo e la campana chiamavano gli abitanti all’assemblea, che un sergente bandiva ancora, ad alta voce, all’uscita della messa o dei vespri. Sotto la presidenza del giudice locale, del sindaco o di un esperto che esponeva la questione all’ordine del giorno, l’assemblea deliberava, poi votava ad alta voce. L’assiduità era un dovere.

Certamente, se siamo in Francia, gli abitanti del villaggio non partecipavano alle decisioni che si prendevano a Versailles, ma le decisioni che si prendevamo a Versailles ci mettevano anni prima di arrivare al villaggio e nel frattempo i contadini decidevano per conto loro, per cui si può dire che l’assemblea del villaggio godeva di un’ampissima, e quasi totale, autonomia.

 Questo sistema, che era in uso non solo in Francia ma in buona parte dell’ Europa, e che aveva sempre funzionato benissimo, si incrinerà sotto la spinta degli interessi e anche della smania regolatrice della borghesia (smania che ci affligge ancor più oggi dove lo Stato è presente in quasi tutte le nostre attività).  Due anni prima della Rivoluzione francese un decreto Reale stabilisce che non è più l’assemblea del villaggio a decidere autonomamente ma elegge da 6 a 9 membri che prendono provvedimenti in suo nome. Era nata la tragedia della democrazia rappresentativa.

Il Fatto Quotidiano, 24 Settembre 2022

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I figli non hanno né le colpe né i meriti dei padri. E’ in nome del padre che Ahmad Massud, figlio del “leone del Panshir”, Ahmad Shah Massud, si è intestato il diritto di essere il capo della resistenza al governo che i Talebani hanno preso nell’agosto del 2021.  Ma non ha le qualità del padre. Ha 32 anni, ha vissuto buona parte della sua vita in Gran Bretagna, non ha alcuna esperienza militare sul campo. A quell’età un talebano ha almeno 15 anni di combattimenti alle spalle.

Nei giorni scorsi  Ahmad Massud è stato in Europa per compattare la resistenza ai Talebani e rilascia interviste a destra e a manca. E naturalmente racconta frottole. I Talebani sarebbero legati al terrorismo internazionale, dice Ahmad Massud: “I legami fra il regime dei talebani e diversi gruppi terroristi internazionali sono evidenti e provati. Il rapporto con Al Qaeda è ancora molto stretto”. Questa è la frottola più grave e vergognosa. Se c’è un gruppo politico e militare che ha combattuto l’Isis (Al Qaeda non conta più nulla e comunque i Talebani non hanno nulla a che fare con Al Qaeda) sono stati i Talebani.  Nel giugno del 2015  Isis cercò di penetrare in Afghanistan. Con una lettera aperta ad Al Baghdadi, che è il suo ultimo atto politico a lui attribuibile, il Mullah Omar intimava al Califfo saudita di stare alla larga perché “noi stiamo combattendo una guerra d’indipendenza che non ha nulla a che vedere coi tuoi deliri geopolitici.”  E aggiungeva “tu stai dividendo pericolosamente il mondo islamico” (la lettera non è firmata direttamente da Omar ma dal suo vice Mansour). Questa lettera mi pareva importante ma i media internazionali la ignorarono, credo non in modo del tutto innocente: bisognava continuare a legittimare l’occupazione occidentale.

E’ ovvio che dovendo combattere contemporaneamente gli occupanti occidentali e l’Isis i Talebani persero terreno, ma la penetrazione di Isis in Afghanistan fu contro i Talebani e non viceversa. Attualmente Isis, con l’operazione Khorasan che intende aggregare allo Stato islamico del fu AlBaghdadi buona parte dell’Asia centrale e altre regioni, continua a fare attentati kamikaze in Afghanistan per screditare il governo talebano e convincere non si sa bene chi, forse proprio gli occidentali, che non è in grado di gestire il Paese.

Amhad Massud afferma che il governo afghano  “rifiuta norme e trattati internazionali”. E’ vero il contrario, il governo talebano  ha chiesto che l’Afghanistan sia rappresentato con un seggio all’Onu cui ha diritto come ogni altro Stato. Uno Stato è tale quando ha un governo, un territorio, una popolazione, e l’Afghanistan ha un governo, un territorio, una popolazione.

Su chi può contare la resistenza di Ahmad Massud? Su “3000 soldati del dissolto esercito afghano”. Quanto valesse questo “dissolto esercito afghano” lo abbiamo visto al tempo della fulminea avanzata talebana verso Kabul nell’agosto del 2021. Si è dissolto in due settimane. Era formato da ragazzi per nulla motivati. Infatti se al tempo del Mullah Omar Kabul contava un milione e 200.000 abitanti oggi ne ha più di cinque milioni. Per avere comunque un salario i ragazzi di Kabul non avevano altra scelta che arruolarsi nell’esercito ‘ lealista’ (erano così poco motivati che ogni anno tanti ne entravano e altrettanti, appena potevano, ne uscivano). Ed è pensabile che le ragioni dell’arruolamento nell’ipotetico esercito di Ahmad Massud siano le stesse.

Altra balla. Le ragazze non possono studiare. Questo non era vero nemmeno ai tempi del Mullah Omar (vedi Talebani, di Ahmed Rashid, p. 282). Attualmente, dopo gli sconquassi della guerra, le scuole e le università sono state riaperte alle donne. Del resto il governo talebano ha urgente bisogno di tecnici e specialisti perché molti, temendo rappresaglie che non ci sono state (il governo talebano, come già il Mullah Omar ha decretato un’amnistia generale) se ne sono andati dall’Afghanistan.

E questo riporta all’attualità  le responsabilità del fin troppo lodato “leone del Panshir”. E’ stato Massud padre a portare Bin Laden e i suoi uomini, che stavano in Sudan,  in Afghanistan perché lo aiutasse a combattere il suo nemico di sempre Gulbuddin Heckmatyar.  Ma la responsabilità più pesante è un’altra. Non accettando di essere stato sconfitto dai Talebani Massud ha chiamato in aiuto gli americani che senza uomini sul terreno non avrebbero mai potuto conquistare l’Afghanistan. Con questa decisione Massud ha deciso la sorte dell’Afghanistan e anche la sua. In una telefonata fra  il Mullah Omar e Massud, l’unico contatto che abbiano avuto i due seppur a distanza, Omar gli dice “ guarda che se chiami gli americani saranno loro a comandare e non tu”. Ma questa decisione fu letale anche per lo stesso Massud. Due giorni prima dell’attacco alle Torri Gemelle verrà ucciso da due kamikaze arabi presentatesi come fotografi.  Nemmeno la prevenutissima stampa occidentale ha mai attribuito questo attentato ai Talebani. Chi sono i responsabili allora? Bin Laden no di sicuro, perché i suoi uomini e quelli di Massud avevano operato per anni nella stessa zona in buona armonia, come in buona armonia erano i due leader. Massud era un cretino politico ma un afghano integrale dalla testa ai piedi e dopo la sconfitta dei Talebani avrebbe detto agli americani: “grazie per l’aiuto che ci avete dato ma adesso tornatevene a casa vostra”. Cosa centra questo con l’istruzione femminile? Centra per un dettaglio. I Talebani, nella loro indubbia sessuofobia, volevano che gli edifici femminili e maschili (non semplicemente le aule come è stato da noi finchè ho studiato io) fossero a distanza. Ma impegnati in una logorante guerra con Massud non ebbero il tempo e il modo di costruire edifici per la scuola femminile. Avevano altre priorità. E si può capirli.

 Cosa chiede Ahmad Massud agli occidentali?  Un supporto economico e  militare. Bene e allora ricominciamo un’altra guerra di vent’anni per ridurre i talebani alla ragione e alle buone maniere. Ma una resistenza durata vent’anni non può esistere se non ha l’appoggio della maggioranza della popolazione. Non si vuole accettare, molto illuministicamente, la realtà: se i talebani hanno vinto contro il più potente esercito mai schierato nella Storia è perché rispondevano, e come si vede rispondono, meglio di altri, certamente meglio degli occupanti e anche del nobile Massud, ai sentimenti e alle tradizioni della popolazione afghana.

 

Il Fatto Quotidiano, 22 Settembre 2022