E’ una ben strana guerra, pardon “operazione militare speciale”, quella fra Russia e Ucraina. Una guerra in cui i paesi alleati dell’aggredito continuano a ricevere materie prime essenziali da quello aggressore. E lo stesso aggredito, grazie a un gasdotto che partendo dalla Russia attraversa tutta l’Ucraina per arrivare in Europa, lucra quattrini dall’aggressore, a vantaggio proprio ma anche dello stesso aggressore.
E’ una guerra che non ha nulla di epico. Nei video non abbiamo visto sparare un solo colpo di fucile, ma scontri fra mezzi tecnologici sempre più sofisticati di offesa e di difesa. Il solo evento epico di cui abbiamo conoscenza è stata la difesa a oltranza dei combattenti ucraini dell’ Azovstal. Saranno stati anche “nazisti“ (ma è tipico delle guerre-non guerre contemporanee negare ogni legittimità al nemico, bollandolo come “terrorista” se gli aggressori sono americani o, in questo caso, come “nazista”) ma si sono battuti con grandissimo coraggio, bisogna pur ammetterlo (e in questo caso sono, una volta tanto, d’accordo con Adriano Sofri). Se erano “nazisti” sono stati all’altezza della loro fama (un nazista, ce lo dice l’ultima guerra mondiale, non cala le braghe al primo stormir di fronde) se non lo erano tanto meglio. Comunque onore al merito.
A me indispettisce molto l’atteggiamento di Zelensky che, montatosi la testa, crede di essere al centro del mondo, vuole dettare l’agenda politica delle nazioni europee e non fa che chiedere armi su armi a queste ultime oltre che, naturalmente, agli Stati Uniti che in questa vicenda sono i veri competitor della Russia (mentre i cinesi, che sono un po’ più intelligenti, stanno sostanzialmente a guardare contando che le due Superpotenze si logorino a vicenda).
I russi, almeno quelli del dopo secondo conflitto mondiale, non sono affatto invincibili. Nel 1979 aggredirono l’Afghanistan pre talebano con grande superiorità di mezzi e gli afgani li hanno cacciati. Ci hanno messo dieci anni, ma li hanno cacciati. E’ vero che i grandi “signori della guerra” afgani, Massud, Heckmatyar, Ismail Khan, Dostum, ricevettero un qualche aiuto dagli americani, ma non si trattava di gran cosa di fronte allo strapotere sovietico, erano missili terra-aria Stinger. E quando cominciarono a cadere gli aerei e gli elicotteri l’’invicibile armada’ sovietica se la diede, direi saggiamente, a gambe. Se si hanno fortissimi ideali e un altrettanto forte senso della propria terra non c’è Superpotenza che, alla lunga, possa averla vinta. L’esempio forse più clamoroso è l’aggressione delle Superpotenze, mediopotenze, piccole potenze occidentali, e non, all’Afghanistan talebano. I Talebani, a differenza dei loro predecessori, non avevano nemmeno gli Stinger, tantomeno l’appoggio di chicchessia, e armati solo di kalashnikov, mitra, ied hanno cacciato il più potente esercito del mondo. Ci hanno messo vent’anni, ma l’hanno cacciato. Inoltre nessun afgano, talebano, non talebano, anti talebano, è fuggito all’estero dopo l’aggressione del 2001. Non mi pare che questa sia esattamente la situazione degli ucraini, nonostante Zelensky non perda giorno per gonfiare il petto d’orgoglio nazionale. Otto milioni di ucraini, cioè circa il 18 per cento della popolazione, hanno già lasciato il Paese e non possono essere tutti donne e bambini. Anzi Zelensky si fida così poco dei propri connazionali che, pur senza riuscirci, proibisce loro, ‘manu militari’, di lasciare il Paese.
Della “russofobia”, dell’embargo a Dostoevskij, della diatriba “putinismo-antiputinismo” non voglio qui occuparmi. Più che una “guerra alle idee” mi sembra uno scontro fra opposte imbecillità.
Massimo Fini
27 giugno 2022
Impegnati e implicati come siamo nella vicenda russoucraina, per parlar della quale bisogna premettere obbligatoriamente che c’è “un aggressore e un aggredito”, anche se quando gli attaccanti erano gli occidentali su questo sottile dettaglio si sorvolava, e ora anche sui pericolosi dispetti della Lituania alla Russia per cui Vilnius impedisce il passaggio di merci verso l’enclave russa di Kaliningrad che non ha continuità territoriale con la madre patria, concentrati solo sull’Ucraina, quest’ambiguo Paese di cui, in corso d’opera, si è scoperto che era zeppo di armi americane molto prima dell’invasione russa, come se l’Ucraina fosse il centro dell’universo e il resto del mondo, che pur a nostro dispetto esiste, non contasse nulla, i giornali italiani (a eccezione del Fatto che ne ha dato notizia nel bel servizio di Roberta Zunini) hanno quasi ignorato un importante fatto avvenuto in America latina che potrebbe cambiare il destino di quel subcontinente. Il fatto è questo. A presidente della Colombia è stato eletto Gustavo Petro, ex guerrigliero da anni convertitosi alla democrazia. Un uomo di sinistra che ha chiarito subito le cose: ampliamento dei programmi sociali, la fine dell’esplorazione di petrolio e gas in mare e sulla terraferma, molti investimenti in ambito agricolo e, per arrivare a tutto questo, una forte tassazione dei soggetti più ricchi. Ma forse, più importante della vittoria di Petro, è la sconfitta del suo avversario, l’imprenditore Rodolfo Hernandez che rappresenta le 4000 famiglie più ricche del Paese che ne detengono la gran parte del patrimonio e sono spesso intrecciate con il narcotraffico. Insomma la Colombia di oggi si trova nella stessa situazione del Venezuela pre Chavez e pre Maduro (di cui bisogna obbligatoriamente dire che è un “dittatore” anche se non lo è affatto visto che il suo principale avversario politico, il “giovane e bell’ingegnere” Juan Guaidò che, tra le altre cose, sostenuto dagli Stati Uniti, ha tentato un colpo di Stato, è felicemente a piede libero). In quel Venezuela poche migliaia di famiglie governavano, economicamente e politicamente, il Paese e tutti gli altri erano in povertà.
La Colombia è un Paese determinante in America latina. Per ragioni geografiche e geopolitiche occupando col suo milione e 142 mila km2 una posizione strategica, centrale fra il Nord e il Sud del subcontinente sudamericano. Per ragioni storiche e politiche perché in Colombia è nato il “socialismo bolivariano”, che è la forma che il socialismo prende in America latina, così chiamato dal nome del suo fondatore Simon Bolivar che, nonostante il colonialismo, non aveva un atteggiamento ostile nei confronti degli europei o quantomeno di noi italiani, visto che dette a quella terra il nome di Colombia in onore di Cristoforo Colombo (e così i cultori della cancel culture sono serviti). Vedremo se Gustavo Petro riuscirà a realizzare i suoi programmi, in tutto o in parte, e soprattutto se non verrà fatto fuori al più presto, manu militari, perché il “socialismo bolivariano” è visto come fumo negli occhi dalla grande Potenza, che tutto veglia e tutto sorveglia in qualsiasi area del mondo, vale a dire gli Stati Uniti.
Intanto in Francia c’è stata una forte affermazione della sinistra di Melénchon. Insomma il socialismo sembra dar segni di risveglio non solo in America latina ma anche in qualche paese d’Europa. Ma non in Italia dove dopo i latrocini del trio Craxi, Martelli, De Michelis e di decine di loro accoliti, un Partito Socialista propriamente detto non esiste più o rispunta fuori, qua e là, in diversa forma, con percentuali da albumina. A inserire qualche elemento sociale nella nostra legislazione ci han provato i Cinquestelle, ma non è certamente un caso che, anche per loro gravi errori, oggi siano ridotti sul pavé con grande giubilo dei partiti turbocapitalisti vale a dire, salvo qualche piccola eccezione, tutti gli altri.
Il Fatto Quotidiano, 25 giugno 2022
“Avverto la Grecia di evitare sogni, atti e dichiarazioni che provochino rimpianti”. Di chi sono queste minacciose parole pronunciate in tono mafioso? Di Recep Tayyip Erdogan, il presidente turco. La materia del contendere sono le isole del Mar Egeo. Che cosa abbia da pretendere Erdogan dalla Grecia è difficile capire. Secondo il trattato di Losanna del 1923 le isole del Mar Egeo appartengono alla Grecia, la Turchia ha sovranità solo su due piccole isole, poco più che degli scogli, Imbro e Tenedo. Ma è evidente che Erdogan, approfittando della situazione che lo vede protagonista sullo scacchiere internazionale, vuole impadronirsi se non proprio delle isole greche dei diritti di sfruttamento del sottosuolo marino e dei diritti di pesca. Del resto la Grecia, pur appartenendo all’Unione Europea dal 1981, è sempre stata considerata la Cenerentola d’Europa. La Turchia gode invece dell’appoggio incondizionato degli Stati Uniti per la sua posizione strategica: piatta com’è, è una portaerei naturale e non a caso gli Usa vi mantengono a Incirlik la loro più importante base aerea piazzata tra Oriente e Occidente. Si potrebbe anche dire che tutte le guerre balcaniche, compresa quella alla Serbia ortodossa del 1999, sono state fatte per costituire una sorta di corridoio di islamismo non radicale (Albania + Bosnia + Kosovo) a favore della Turchia. Un calcolo comunque infame ma che, come quasi sempre per le iniziative americane, si è rivelato anche sbagliato. Perché la Turchia degli anni Novanta non era la Turchia di oggi, quella di Erdogan.
Sono stato parecchie volte in Turchia negli anni Settanta. Era un paese molto civile e accogliente come lo era, lo dico per incidens, la Cipro turca, a capitale Famagosta, molto più bella e affascinante, rispetto a quella greca. Si respirava ancora l’aria della Turchia laica fondata da Kemal Ataturk.
Ma la Turchia di Erdogan è tutt’altra cosa. Faceva notare il lettore del Fatto (20/06) Anilo Castellarin: “Putin viene etichettato giustamente come un criminale di guerra, un assassino, un nuovo Hitler, un pazzo, un bandito e tanti altri epiteti probabilmente tutti meritati. Mentre con Erdogan i media e gli uomini delle Istituzioni occidentali usano aggettivi diversi. Erdogan è chiamato benevolmente “sultano”, … Eppure il capo turco non è diverso da Putin. Sta massacrando la popolazione curda. Fa incarcerare gli avversari politici. Chiude i media che gli sono contro. Fa bombardare città in Stati sovrani come l’Iraq e la Siria, uccidendo civili”. Il lettore sottolinea anche come gli “sbandierati valori occidentali” siano accantonati ‘momentaneamente’ da Joe Biden e da tutti i Biden dell’Occidente. E’ la ‘real politik’, bellezza. Del resto lo stesso Biden non ha in programma un incontro col principe saudita Salman che, oltre che essere un noto difensore dei diritti delle donne (un vero “principe rinascimentale” a detta di Matteo Renzi), è il responsabile dell’assassinio del giornalista Khashoggi?
Con la ‘real politik’ si può andare molto lontano. “Real politik” potrebbe essere considerata anche quella di Adolf Hitler, finché non perde la partita. Ma lasciando perdere i criminali di ieri e tornando a quelli di oggi adesso il guerrafondaio Erdogan si permette di mettere il veto all’ingresso nella Nato di Svezia e Finlandia, due autentiche liberal democrazie e fra i Paesi più pacifici del mondo. Quale pretesto è addotto dal “sultano”? Che i due Paesi scandinavi ospitano dei curdi. Erdogan non si accontenterebbe dell’estradizione dei guerriglieri del Pkk, ma vorrebbe anche quella dei curdi della diaspora, che col Pkk hanno poco o nulla a che fare, che si sono rifugiati in Svezia e in Finlandia per sfuggire alle sue violenze. Se i Paesi occidentali avessero davvero a cuore i “valori occidentali” si opporrebbero alla strafottenza criminale di Erdogan, invece la subiscono. Per “real politik”, naturalmente. Ma allora verrebbe da chiedersi, come fa il lettore Anilo Castellarin, che cosa siano mai questi “valori occidentali” e se, al di là delle magniloquenti dichiarazioni, siano mai esistiti.
Il Fatto Quotidiano, 22 giugno 2022