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Pier Luigi Bellini delle Stelle. Chi era costui? Credo che pochi degli italiani di oggi lo sappiano. Il Conte Pier Luigi Bellini delle Stelle, in arte “Pedro”, è stato il comandante di quel manipolo di partigiani che con un’azione audacissima, in sette fermarono una colonna di 300 tedeschi, in ritirata, ma pur sempre armati di tutto punto, catturarono sulle montagne del lago di Como, a Dongo, Mussolini, che in quella colonna si era nascosto, e alcuni gerarchi in fuga. Pedro trattò Mussolini e gli altri con la pietà che sempre si deve ai vinti. Ma da Milano arrivò un altro gruppo di partigiani, con le divise nuove di zecca, comandato dal “colonnello Valerio”, alias il ragionier Walter Audisio, il quale massacrò, strappandoli ai laceri uomini di Pedro, Mussolini e i gerarchi, quelli responsabili e quelli meno responsabili, eppoi li fece appendere per i piedi a piazzale Loreto. A Dongo, al momento dell’arrivo degli uomini del colonnello Valerio, ci fu un momento di indecisione: Pedro e i suoi, che erano sulle montagne da due anni, non credettero sulle prime che gli uomini con le divise così bene in ordine fossero davvero dei partigiani. Poi Valerio esibì un ordine del CLN e il resto andò di seguito.

Ho conosciuto Pedro, era un amico di mio padre, lo ho avuto ospite a cena insieme alla moglie Miriana, la sorella del compositore Luciano Berio, e l’ho incontrato molte volte perché Bellini delle Stelle, pubblicista, faceva parte dell’Associazione Lombarda dei Giornalisti. Non l’ho sentito mai una volta vantarsi di quell’azione di cui era stato protagonista. Bisognava proprio incalzarlo perché ne parlasse. Bellini delle Stelle non strumentalizzò mai ai fini di carriera la propria lotta partigiana e, ingegnere, fece i capelli grigi in un modesto impiego all’Eni. Mentre il ragionier Walter Audisio fu premiato, per un’azione che nulla aveva avuto di glorioso, ma somigliava piuttosto a quella del boia, con onori e cariche e morì parlamentare della Repubblica. Per me la lotta partigiana si identifica con Pedro, non con Valerio e tantomeno con la miriade di “staffette partigiane” che comparvero negli anni del dopoguerra. La mia adolescenza è stata funestata da ragazzi che, avendo qualche anno più di me, dicevano tutti di essere stati “staffette partigiane”. E io, nella mia ingenuità, mi chiedevo: ma quanti messaggi si scambiavano questi partigiani? Del resto si sa che gli italiani dopo il 25 aprile da tutti fascisti che erano stati, tranne alcune note e lodevoli eccezioni, divennero tutti antifascisti e di un’intolleranza tale che fece dire a Mino Maccari: “I fascisti si dividono in due categorie: i fascisti propriamente detti e gli antifascisti”.

La Resistenza dal punto di vista militare fu un fatto marginale all’interno di quella tragica epopea che è stata la Seconda guerra mondiale. Fu il riscatto morale di poche decine di migliaia di uomini e donne coraggiosi, non del popolo italiano. Ma con la retorica della Resistenza noi italiani abbiamo fatto finta di aver vinto una guerra che invece avevamo perso e nel modo più inglorioso. E come ogni retorica non è stata innocente e ha partorito guai seri per il nostro Paese, a cominciare, solo per fare un esempio, dalle Brigate Rosse che, nei suoi esponenti più seri e motivati, alla Resistenza si richiamavano.

Io non ho aspettato Luciano Violante per affermare che i ragazzi che andarono a morire per Salò avevano pari dignità con i partigiani. Le due parti si battevano per valori diversi: per la libertà i partigiani, quelli veri, per l’onore e la lealtà i giovani fascisti. Lealtà nei confronti dell’alleato tedesco. Con quell’alleato non ci si doveva alleare, ma voltargli le spalle, in una lotta per la vita o per la morte, quando si fa palese la sconfitta, è stato un tradimento indegno e l’8 settembre, che oggi qualcuno vorrebbe far assurgere a festa nazionale, una delle pagine più ingloriose della storia italiana recente.

Gli occupanti in Italia non erano i tedeschi, ma gli Alleati. E l’esercito tedesco, a parte alcune azioni efferate, veri crimini di guerra ad opera dei reparti speciali, le SS (Marzabotto e Sant’Anna di Stazzema in testa), in Italia si comportò con correttezza. Non c’è stato un solo caso di stupro addebitabile ai soldati tedeschi, mentre innumerevoli sono stati gli stupri perpetrati dai soldati americani che oggi noi, per pudicizia, chiamiamo “marocchinate”. Nel bene e nel male i tedeschi rimangono tedeschi. E anche la Götterdämmerung della classe dirigente nazista ha qualcosa di grandioso, bisogna essere almeno all’altezza delle proprie cattive azioni. Niente a che vedere con Mussolini che dopo tutta la retorica sulla “bella morte”, che spinse, come abbiamo detto, tanti giovani italiani a immolarsi per Salò, fugge come un coniglio travestito da solato tedesco.

Ma voglio rievocare anch’io, come ha fatto Nando Dalla Chiesa, un ricordo personale che vale un raffronto fra la Seconda guerra mondiale e quelle che sono venute dopo, aggressione all’Ucraina compresa. La mia famiglia era sfollata sulle montagne del lago di Como, come tante altre famiglie milanesi, per sfuggire ai bombardamenti a tappeto alleati (gli uomini rimanevano invece in città), il paesino in cui c’eravamo rifugiati si chiama Maggio (oggi un orrendo assembramento di villette a schiera). In un paese vicino c’era una piccola caserma, con due sentinelle di vent’anni, passa il piper inglese, aereo da ricognizione, e getta dei volantini in cui è scritto: “Attenzione! Fra mezzora bombardiamo” (oggi ci pare impossibile, ma queste forme di fair play militare allora esistevano, come, per fare un altro esempio, concedere “l’onore delle armi” quando il nemico si era battuto bene). Ovviamente tutta la popolazione fugge nei boschi. Ma i due ragazzi rimangono nella caserma, sono o non sono le sentinelle? Passa il bombardiere, colpisce nel segno e i due ragazzi, ventenni, muoiono. Ogni volta che ricordo questo episodio sono preso da una rabbia indicibile quanto impotente. Per che cosa sono morti quei ragazzi? Per una borghesia che dopo Caporetto, quando i fanti-contadini si stufano di essere massacrati in nome della teoria omicida dell’“attacco frontale” del generale Cadorna, proprio quella borghesia che aveva voluto la guerra, si comporta come scrive Malaparte in La rivolta dei santi maledetti (“fuggivano tutti in una miserabile confusione, in un intrico di paure, di carri, di meschinerie, di fagotti, di egoismi, e di suppellettili, fuggivano tutti imprecando ai vigliacchi e ai traditori che non volevano più combattere, farsi ammazzare per loro”)? Per Mussolini che fugge come fugge? Per il Re e Badoglio che accompagnati sempre da un subbuglio di suppellettili lasciano Roma in balia dei tedeschi? Per Aldo Moro che, pur di salvare la pelle, dalla sua prigione scrive lettere umilianti nelle quali sconfessa Istituzioni, leggi, principi, cioè tutto ciò a cui aveva chiesto agli italiani di credere? Per Bettino Craxi che se la svigna in Tunisia da dove, al sicuro, getta fango sul proprio Paese e quindi anche su sé stesso che di quel Paese era stato presidente del Consiglio? Il fatto è che al momento del dunque la gente semplice sa quali sono i suoi doveri, la classe dirigente italiana invece trova sempre qualche scappatoia. E questo non ha nulla a che vedere né con l’antifascismo, né col fascismo.

Il Fatto Quotidiano, 28 aprile 2022

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“Trattare con Putin è come negoziare con un coccodrillo che ha la tua gamba nelle sue fauci” ha detto Boris Johnson durante un viaggio aereo che lo portava in India. Gli inglesi sembrano determinati quanto gli americani, e forse ancor più degli americani, a non arrivare a una qualsiasi pace concordata con Vladimir Putin, ma a spazzarlo via dalla faccia della terra. Probabilmente nella loro psiche gioca prepotentemente l’esperienza degli anni immediatamente precedenti il secondo conflitto mondiale. Gli inglesi non volevano la guerra, volevano continuare a ruminare in tranquillità la propria vita quotidiana, per questo accettarono prima l’Anschluss, che peraltro non era una vera e propria guerra di aggressione perché gli austriaci accolsero con entusiasmo l’annessione alla Germania, poi i Sudeti, poi la presa della Cecoslovacchia. Né gli inglesi né i francesi volevano una guerra contro la Germania nazista, da qui il tanto infamato Patto di Monaco del 1938 fra Chamberlain e Daladier da una parte e Hitler e Mussolini dall’altra. Ma quando i nazisti aggredirono la Polonia nel 1939 la guerra alla Germania, per la quale gli inglesi e tantomeno i francesi si erano preparati, divenne inevitabile. La cosa curiosa è che nemmeno Hitler voleva muover guerra ai britannici, considerati una sorta di “cugini”, c’è tutta una accreditata letteratura in proposito e il misterioso viaggio in Scozia di Hess, il numero due del Reich, il 10 maggio 1941, ne è una conferma. Hitler voleva prendersi l’Europa tedescofila, o di cultura tedesca, per il resto, almeno all’apparenza, non aveva altre ambizioni tant’è che non c’è mai stata alcuna politica coloniale tedesca, alla moda degli inglesi, dei francesi, dei belgi, degli olandesi. E fino agli anni ’70 del secolo scorso nell’Africa nera Hitler era un mito proprio perché aveva combattuto i colonialisti europei. Insomma il Fuhrer voleva una parte dell’Europa, quella che pensava spettasse alla Germania, il resto l’avrebbe lasciato all’influenza inglese. Ma a questa prospettiva i britannici, che della Democrazia hanno il culto, dissero di no. E fu la Seconda Guerra Mondiale.

Gli stessi problemi si pongono oggi con l’aggressione della Russia di Putin all’Ucraina. La domanda che tutti si pongono è: fin dove vuole arrivare Putin? Le sue ambizioni, dopo l’annessione di fatto della Crimea che è russa da sempre, si fermeranno al Donbass dove la situazione è molto più complessa perché qui i russofili rappresentano la maggioranza ma non l’intera popolazione? Nessuno lo può sapere. Ma rispetto al 1939 c’è oggi una variabile, insieme tranquillizzante e terrorizzante. Questa variabile si chiama l’Atomica. Tranquillizzante perché non si può pensare che nessuno dei due contendenti in campo, Jo Biden e Putin, perché l’Ucraina di Zelensky, checché ne pensi il presidente di quel Paese, è solo un pretesto nello scontro fra le due grandi Superpotenze, sia così pazzo da iniziare una guerra nucleare. La Bomba infatti, da quando è stata inventata (“Baby is born”) è sempre stata considerata solo un determinante deterrente. Osarono utilizzarla solo gli americani nel 1945 ma perché non avevano di fronte un’altra potenza nucleare. In realtà, come scrisse Umberto Eco, le bombe su Hiroshima e Nagasaki furono solo un avvertimento all’Unione Sovietica (guardate che noi quest’arma ce l’abbiamo). Come avvertimento a noi sembra un tantino pesante, ma lasciamo perdere. L’atomica è un’arma tanto micidiale quanto inutilizzabile, perché è come gettarsela sui piedi. Le radiazioni infatti non rispettano i confini. La guerra atomica esce dall’ambito della guerra ed entra in quello dello zero assoluto perché significherebbe la scomparsa o la mutazione genetica dell’umanità intera. Si legga o si rilegga in proposito il romanzo di Philip Dick Cronache del dopo Bomba.

Il Fatto Quotidiano, 26 aprile 2022

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Volodymyr Zelensky vuol dettare l’agenda politica all’Unione Europea: bacchettata a Macron perché si è permesso di definire totalmente fuori luogo l’affermazione con cui Joe Biden ha definito quanto sta accadendo in Ucraina ad opera dei russi “un genocidio”, sgarbo istituzionale al Presidente della repubblica tedesco Frank Walter Steinmeier definito “persona non gradita” perché considerato in passato, ma ancora oggi, “troppo dialogante con la Russia”. Il segretario del Pd Enrico Letta ha fatto giustamente notare che un Paese come l’Ucraina che vuole entrare nell’UE non può definire “non gradito” il rappresentante di un Paese che nella UE già ci sta.

L’agenda politica che Zelensky vorrebbe imporre alla UE è la stessa degli americani per i quali la questione ucraina è diventata, con tutta evidenza, un pretesto per indebolire il nemico di sempre, “l’orso russo”, e nel contempo rimettere in riga l’Europa che negli ultimi anni, dalla famosa affermazione di Angela Merkel (“gli americani non sono più i nostri amici di un tempo, dobbiamo imparare a difenderci da soli”) aveva manifestato segni di insofferenza non solo nei confronti della Nato, ma degli Stati Uniti e, in definitiva, dello stesso “atlantismo”. Insomma Zelensky, consapevole o no, è un pupazzo nelle mani degli Stati Uniti.

Gli americani prendono di mira soprattutto la Germania e la Francia (il vassallaggio dell’Italia lo considerano assodato) perché sono i due paesi europei che più hanno cercato di dare all’Europa un’identità che non coincidesse con quella degli Stati Uniti. La storia è lunga. Già a metà degli anni Ottanta del secolo scorso tedeschi e francesi cercarono di costituire un primo nucleo di esercito europeo, che avrebbe poi dovuto allargarsi agli altri paesi del Vecchio Continente. Ma gli americani imposero il loro niet: “Che bisogno c’è di un esercito europeo quando esiste già la Nato?”. Ma da allora molta acqua è passata sotto i ponti. È diventato sempre più evidente che la Nato è stata lo strumento con cui gli americani hanno tenuto in stato di minorità l’Europa in tutti i sensi, militare, politico, economico e alla fine anche culturale.

Dopo la caduta del muro di Berlino gli interessi americani e europei non solo non convergono più, ma divergono in modo pesante. Gli americani, col paravento della Nato, approfittando della momentanea scomparsa della Russia dalla scena geopolitica internazionale, ci hanno trascinato in guerre sanguinarie e disastrose non solo, direttamente, per i paesi aggrediti Serbia 1999, Iraq 2003, Libia 2011, ma indirettamente per l’Europa che ne ha subito le conseguenze. Dal punto di vista economico gli americani sono dei competitors sleali e pericolosi. Mentre l’Europa sotto la guida di Angela Merkel praticava una politica di austerità per evitare deflagrazioni inflazionistiche, l’America allargava a dismisura il credito provocando la crisi della Lehman Brothers, 2008, che ha investito in pieno il Vecchio Continente e di cui stiamo pagando ancora le conseguenze e la cosa continua anche oggi. Il debito delle famiglie americane ammonta a 15,5 trilioni di dollari. Come se ciò non bastasse Joe Biden ha immesso sul mercato altri 1200 miliardi “per rifare il Paese”, il suo, perché questa montagna di credito inesigibile finirà per abbattersi, prima o poi, più prima che poi, non solo sugli Stati Uniti ma su tutti i paesi a loro economicamente e finanziariamente legati provocando una crisi rispetto alla quale quella del 2008 sembrerà un sorbetto al limone rispetto a una colata di whiskey. Di passata gli americani hanno proibito all’Italia, e non solo all’Italia, non si capisce sulla base di quale legge internazionale che non sia la prepotenza di una Superpotenza, di avere scambi commerciali con l’Iran. Ora noi con l’Iran degli ayatollah avevamo, attraverso l’Eni, ottimi rapporti. Non si capisce davvero per quale motivo dobbiamo sacrificarli solo perché l’Iran è visto come fumo negli occhi dagli Stati Uniti in funzione del loro grande alleato, ma sarebbe meglio dire quinta colonna, nella regione, Israele. E quando il nostro ministro degli Esteri, ha aperto agli scambi commerciali con la Cina (“la via della seta”), un mercato enorme particolarmente interessante per le nostre imprese, il buon Di Maio è stato sommerso non solo dalla disapprovazione della stampa internazionale, che gli Usa tengono saldamente in mano, ma anche da quella soccombista italiana.

Zelensky sostiene che la vera intenzione di Putin è di cancellare l’Ucraina dalle mappe. Ed è probabilmente vero. Ma ugualmente lo stesso Zelensky sta cercando di cancellare la cultura russa nel Vecchio Continente. Il governo di Kiev ha proibito ai ballerini ucraini di danzare Il lago dei cigni di Chaikowsky al comunale di Como, al comunale di Ferrara, alla Tuscany Hall di Firenze, al teatro Rossini di Trieste, al comunale di Lonigo. Cosa sia successo l’ha spiegato al Corriere del Veneto Natalia Iordanov, la direttrice dell’Ukrainian Classical Ballet: “Uno dopo l’altro i nostri ballerini sono stati contattati dalle direzioni dei rispettivi teatri e si sono sentiti dire: ‘visto che la Russia sta compiendo un vero e proprio massacro, non potete mettere in scena le opere di autori russi, altrimenti saremo costretti a licenziarvi e potreste essere arrestati per tradimento’”. È una direttiva del ministro ucraino Oleksandr Tkachenko che ha affermato: “la Russia usa la sua cultura, anche del passato, balletto compreso, come strumento di propaganda, quindi quella cultura va messa al bando”. Sembrerebbero direttive vagamente naziste. Ma non è così. Quando si è in guerra con un Paese i cittadini non possono collaborare in alcun modo col nemico. Per lo stesso motivo non è condannabile Putin (ora, in stato di guerra, non prima) quando mette la mordacchia a quel che resta dei media indipendenti del suo Paese. In guerra è legittima la censura. Tutto ciò è reso più confuso dal fatto che, a differenza dei vecchi tempi, non c’è oggi una formale dichiarazione di guerra fra Russia e Ucraina. Ai vecchi tempi, cioè fino al secondo conflitto mondiale, si dichiarava guerra al nemico e si davano 48 ore di tempo agli ambasciatori per sloggiare, dopodiché non era più possibile nessun rapporto, né culturale né tantomeno economico, fra i belligeranti (si veda il discorso di Mussolini del 10 giugno del 1940 in cui il Duce dichiarava guerra alla Gran Bretagna e alla Francia). Oggi invece, scomparso dallo scenario qualsiasi jus belli, si vive nella più grande confusione: Zelensky, spalleggiato dagli Stati Uniti, pretende di proibire all’Europa di usufruire del gas russo, ma nello stesso tempo lo stesso Zelensky non rinuncia al gas russo e nemmeno al miliardo e mezzo di euro l’anno di diritti di transito del gasdotto russo-ucraino.

L’enorme enfasi data dai media occidentali e dai soccombisti italiani, in verità più dai giornalisti che dai politici se si eccettua Mario Draghi che, da buon finanziere, è sdraiato come un tappeto ai voleri USA, ha finito per nuocere, in una sorta di eterogenesi dei fini, proprio all’Ucraina e ad avvantaggiare Putin. In quest’orgia di consenso unilaterale, di retorica, di ipocrisia, chi in partenza non era “putiniano” rischia di diventarlo.

Il Fatto Quotidiano, 19 aprile 2022