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Sul Corriere della Sera il generale Vincenzo Camporini, che data la sua età (1946) deve averne viste parecchie, si pone il problema della liceità morale dei droni: “ci si domanda se sia accettabile un combattimento così impari, in cui il bersaglio non abbia la possibilità di minacciare chi lo tiene sotto tiro, standosene anche a migliaia di chilometri di distanza”.

Fa piacere che un generale si accorga di un problema etico che io avevo posto in Elogio della guerra (1989) e ne Il Mullah Omar (2011): “Il combattente che non combatte perde ogni legittimità, quella particolare legittimità che si ha in tempo di guerra di fare ciò che è assolutamente proibito in quello di pace, cioè uccidere. Questa legittimità esiste solo se si può essere, altrettanto legittimamente, per dir così, uccisi. Se uno solo può colpire e l’altro solo subire si esce dall’ambito, pur drammatico, della guerra e si entra in quello dell’assassinio”. Questa è stata la caratteristica di quasi tutte le guerre americane e occidentali degli ultimi vent’anni, da quella alla Serbia (1999), a quella all’Afghanistan (2001-2021), a quella all’Iraq (2003), a quella alla Libia (2011). Proprio in Libia, come ricorda, con un’onestà intellettuale che gli fa onore, il generale Camporini, anche noi italiani fummo protagonisti di questo modo vile di combattere, anzi di non combattere: “Un Tornado armato di uno Storm Shadow, decollato da Ghedi, nel bresciano, arrivato sulla costa libica ne lanciò uno che andò a colpire, con la precisione di un metro, il suo obiettivo nei pressi di Sheba, dopo un volo di circa 500 chilometri; anche in questo caso l’equipaggio non era nel raggio d’azione delle difese avversarie.”

Per salvarsi la coscienza, o piuttosto per salvare la coscienza di coloro che ordinarono quell’operazione, il generale Camporini ricorda il precedente medioevale della balestra. E’ vero che una certa affinità fra balestra e drone c’è: “Anche la cavalleria viene spazzata via da un’innovazione militare e cioè dal perfezionamento e dalla diffusione su vasta scala di un’antica arma, la balestra, la cui potenza e precisione era tale da poter penetrare l’armatura del cavaliere con la facilità con cui il coltello entra nel burro. Non c’era più convenienza a investire tanto tempo, tanto denaro, tanto prestigio sociale su un cavaliere che poteva essere abbattuto così facilmente” (Elogio della guerra, p. 46). Ma la differenza tra balestra e droni, soprattutto quelli di ultima generazione, resta enorme. La balestra ha una gittata massima di 400 metri, il drone è manovrato a migliaia di chilometri di distanza. Il balestriere e i suoi compari potevano quindi essere raggiunti dai cavalieri armati di sola spada e fatti fuori come meritavano. Il pilota del drone no.

Questo vigliacco modo di combattere ha raggiunto il suo massimo livello nella guerra fra i Talebani e gli occupanti occidentali. Da una parte gente armata solo di kalashnikov e mitra, dall’altra i bombardieri B52, i caccia e, alla fine, anche i droni. Ma alla lunga è stato proprio questo vile modo di combattere a fregare gli arroganti occupanti occidentali perché ha compattato tutti gli afgani, talebani, non talebani, antitalebani, che, abituati a vedere il nemico in faccia, non lo tolleravano. In Afghanistan il Medioevo ha battuto la Modernità.

La guerra talebano-occidentale ci lascia un grande insegnamento: che nella guerra, come nella vita, le motivazioni sono tutto o quasi. Ne abbiamo un recente esempio nel calcio, che della guerra è una metafora. Martedì sera s’è giocata la partita per l’ingresso ai quarti di finale di Champions fra il fortissimo Bayern di Monaco e gli spagnoli del Villareal, una cittadina di 53 mila abitanti, la metà di quelli di Bergamo. I tedeschi, favoritissimi, giocavano in casa all’Allianz Arena con l’appoggio di 75 mila tifosi. E potevano mettere in campo fuoriclasse assoluti come il centravanti Robert Lewandowski, 612 gol in 872 partite, con una media di 0,70 gol a partita, superiore a quella di Karim Benzema, il centravanti del momento, il cui score è 454 reti in 892 partite, con una media di 0,50 gol a partita (è vero che Benzema sconta in carriera il lungo servaggio nel Real a Cristiano Ronaldo, fu riportato all’onor del mondo da Ruud Van Nistelrooy che rientrato dopo un anno di infortunio, gli passò subito, a differenza del narcisista Ronaldo, la palla mandando Karim in rete, subito dopo segnò lo stesso Van Nistelrooy, ma vidi che non esultava, “si è infortunato di nuovo” disse mio figlio Matteo che vedeva la partita con me e fu la fine della sfortunata carriera del grande Ruud. Questo lo dico a beneficio di quei colli torti di Sky che sanno tutto di 3-4-3 o di 4-3-3 ma, pur essendo quello il loro mestiere, non ricordano momenti decisivi ed emotivi della storia anche recente del football) e Thomas Muller, un numero impressionante di assist oltre che di gol in carriera.

I tedeschi sono entrati in campo con la boria di coloro che sono sicuri di vincere, gli spagnoli con la modestia e la consapevolezza di avere di fronte avversari tecnicamente molto più forti. Ma ce l’hanno messa tutta. Alla fine Albiol, 36 anni, il capitano, vecchia conoscenza del campionato italiano, e compagni non ne avevano proprio più, mezza squadra era preda dei crampi. Ma hanno continuato a lottare e alla fine sono passati. Meritatamente.

Lo stesso discorso vale per gli ucraini. Se credono veramente all’indipendenza del loro Paese, possono battere la prepotenza dei russi, del resto già sconfitti, in versione sovietica, dagli afgani, così come gli afgano-talebani hanno battuto gli ancor più strapotenti occupanti occidentali. Senza pietire aiuti, dico gli ucraini, dall’universo mondo, ricattandolo moralmente.

Il Fatto Quotidiano, 16 aprile 2022

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I “secoli bui” sono per definizione quelli del Medioevo. Io penso al contrario che i “secoli bui” siano quelli che seguono l’affermazione dell’Illuminismo e che stiamo vivendo ancora oggi in forme sempre più penetranti e devastanti. È questo il tema centrale del mio primo libro, pubblicato nel 1985, La Ragione aveva Torto?.

Il tema è ovviamente estremamente complesso. Qui mi limiterò ad esaminare questa degenerazione attraverso un fenomeno particolare, la guerra, che però è tutt’altro che marginale, visto che esiste da quando esiste l’uomo, e che non si è riusciti a definire la pace se non come “un breve intervallo fra due guerre”, ma sarebbe meglio dire fra più guerre, e che ora, con la questione ucraina, è tornato prepotentemente nel dibattito pubblico.

Nel Medioevo la guerra la fanno solo i professionisti. Che sono i nobili che hanno il dovere di difendere il territorio. A patto di questo impegno hanno una serie di privilegi. Estremamente significativa, in proposito, è la spiegazione che due scudieri di Varennes-en-Argonne danno, verso la fine del Trecento, del fatto che i nobili non devono pagare la taglia, cioè la tassa reale: “perché” dicono gli scudieri “in virtù della nobiltà sono tenuti a esporre i loro corpi e cavalcature alla guerra”. I contadini e gli artigiani, che rappresentavano allora circa il 90 per cento della popolazione, ne restano fuori e non ne sono coinvolti né emotivamente, essendogli piuttosto indifferente passare dal dominio d’un sovrano a un altro, né tantomeno economicamente, tranne nel caso che abbiano la sfortuna che i combattimenti passino proprio sui loro campi, caso assai raro perché la povertà della tecnologia militare medioevale e il ridotto numero dei combattenti limitano grandemente l’area d’azione della guerra e la stessa economia, a differenza di quanto avviene oggi, dove è sufficiente una guerra apparentemente limitata come quella tra Russia e Ucraina per mettere in subbuglio l’apparato finanziario di mezzo mondo, non ne è per nulla sconvolta proprio perché la classe produttiva, cioè i contadini, rimane al suo posto e continua a fare, in tutta tranquillità, ciò che ha sempre fatto.

Per i professionisti della guerra (ai nobili si aggiungeranno in seguito le compagnie di ventura) addestrati fin dall’infanzia, la guerra non è solo un modo per provare sul campo il proprio coraggio, ma è un fatto ludico, una giovanile “festa crudele” come la chiama Franco Cardini. L’importante non è solo battersi, ma battersi bene. La tecnologia è qui ancora fusa con l’uomo, la spada ne è solo un suo prolungamento. Il guerriero sente la spada come una parte del proprio corpo. Ce lo racconta la durlindana di Orlando, ma anche la storia di Hiroo Onoda, il giapponese che a 29 anni dalla sconfitta del Giappone, raso al suolo dalle bombe nucleari americane, continua a combattere una sua guerra, assolutamente medioevale, legata ai valori dell’onore e, appena ne ha il tempo, non fa che ripulire e strigliare la sua spada che pur non gli serve più a nulla.

Insomma nel Medioevo il vero combattimento è quello corpo a corpo. Quando fu introdotto il fucile i cavalieri si opposero a quest’arma che inaugurava un combattimento a distanza. Sembrava loro disonorevole. Naturalmente la tecnologia, come sempre è avvenuto, li travolse. Nel bellissimo film Il mestiere delle armi di Ermanno Olmi, Giovanni delle Bande Nere, un Medici, grande e fiero combattente, prima della battaglia si cala la celata sicuro della sua forza e del suo coraggio. Ma basta un colpo di fucile, sparato da lontano, per metterlo fuori gioco.

Le guerre del Medioevo non sono guerre ideologiche, come saranno invece molte delle guerre a partire dalla Rivoluzione francese. Scrive Saint-Just al generale Jourdan: “Le guerre della libertà devono essere fatte con collera” e Carnot rincara la dose: “La guerra è violenta di per sé. Bisogna condurla a oltranza o restarsene a casa. Il nostro scopo è lo sterminio, lo sterminio fino alle estreme conseguenze”. Se non è ancora il nazismo, ci siamo molto vicini.

Le guerre del Medioevo sono lontanissime da questo estremismo. Scrive Philippe Contamine ne La guerra nel Medioevo: “Mettere il proprio corpo a rischio di morte e di prigionia, mettere il corpo e la vita a repentaglio andava bene, ma senza alcuna propensione per il fanatismo suicida, le nozioni di sacrificio, di devozione assoluta sembrano estranee alla mentalità medioevale”.

Insomma nel periodo della massima idealizzazione delle virtù guerriere (scrive Marc Bloch: “che la classe cavalleresca sapesse battersi la storia lo riconosce al pari della leggenda”) le guerre furono fra le meno cruente di tutte quelle che la Storia conosca. A parte casi limite come la battaglia di Anghiari (1440), di cui Leonardo da Vinci fece un abbozzo esposto al Palazzo Vecchio di Firenze, dove su undicimila combattenti si sarebbe avuto, a detta di Macchiavelli, un solo morto (le stime, più attendibili, di Flavio Biondo parlano di sessanta caduti) o come quella di Bremule (1119) dove i morti furono tre o come quella guerra che, a leggere le cronache, “imperversò per un anno in Fiandra dopo l’assassinio di Carlo il Buono” (1127), ma in cui caddero sette cavalieri dei quali uno solo in combattimento, è assodato che il bilancio di quasi tutti i numerosissimi conflitti medioevali si riduce a poche centinaia di morti.

Comunque fino alla Prima guerra mondiale compresa, la guerra non aveva mai coinvolto direttamente i civili. L’aereo ero già stato inventato ma aveva solo compiti di ricognizione e se c’era il combattimento riguardava solo i piloti, creando le figure mitiche di Manfred von Richthofen, tedesco, e di Alfred Ball, inglese. Il cambiamento decisivo avviene nella Seconda guerra mondiale, con i bombardieri. La stragrande maggioranza dei 65 milioni o 70 milioni di morti nella Seconda guerra mondiale non furono militari, ma civili inermi, come avviene ora nella guerra ucraina. La guerra, nella modernità non ha perso solo la sua dimensione epica, non ha perso solo la sua dimensione etica, ma ha perso anche quella giuridica, quello ius belli che fu rispettato persino durante la Seconda guerra mondiale. La guerra la si dichiarava e, da quel momento, non c’era più alcuna possibilità di rapporto fra i belligeranti. Tanto meno economico. Oggi non la si dichiara più, ce ne si vergogna, la si chiama con altri nomi, “operazione di peacekeeping”, “operazione di polizia internazionale” o, da ultimo, Putin “operazione militare speciale”. Per cui si arriva al paradosso di avere rapporti commerciali con quello che oggi è considerato “il nemico pubblico numero uno”, Vladimir Putin.

Le armi hanno perso anche la loro dimensione di armi, sono biologiche, chimiche, batteriologiche. Inoltre, seguendo i tempi, ha preso un’enorme importanza l’informazione anzi la disinformazione. La strage di Bucha c’è stata o non c’è stata? Toni Capuozzo, inviato di lungo corso in zone di guerra, ha espresso sulla base della sua esperienza molti dubbi in un’intervista concessa alla trasmissione “L’Attimo Fuggente”. La guerra è diventata una cosa scivolosa, viscida, subdola, anche se i morti ci sono ancora e non sono degli avatar. E i “secoli bui” sarebbero quelli del Medioevo?

Il Fatto Quotidiano, 13 aprile 2022

"La verità non è davanti, ma dietro di noi." (Il Ribelle dalla A alla Z)                                                                                                                                                               

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Noi occidentali, a furia di apericena, ci siamo dimenticati di che cos’è la guerra, non ne abbiamo più la percezione. La guerra è esattamente ciò che vediamo, ciò che guardiamo da poco più di un mese per televisione con un voyerismo morboso che lo scrittore Antonio Scurati si è spinto a definire “osceno”. Non è per nulla diversa, anzi forse un po’ più soft, di quelle, recenti, che l’hanno preceduta: la guerra sovietica all’Afghanistan (1979-1989), la prima guerra del Golfo (1990), la guerra Nato-americana alla Serbia (1999), durante la quale fu bombardata per 72 giorni una grande capitale europea come Belgrado che, con tutto il rispetto,  è qualcosa di più di Kiev, che è stata importante ma in altri secoli della storia russa, l’invasione e occupazione dell’Afghanistan da parte degli occidentali e altri loro accoliti di varia umanità (2001-2021), la guerra all’Iraq del 2003, la guerra franco-americana-italiana alla Libia del colonnello Gheddafi del 2011. La differenza, rispetto a quelle, è che oggi la guerra all’Ucraina noi la vediamo e ci commuoviamo per gli eccidi, per i civili morti, per i bambini morti, per i palazzi abbattuti così simili ai nostri. Ma non è affatto detto che questa commozione abbia a che fare con una vera adesione alle sofferenze del popolo ucraino. Ci commuoviamo per poterci compiacere della nostra commozione. Altrimenti uno alzerebbe il culo, lascerebbe le usate opre, e andrebbe a battersi da quelle parti, come ha fatto Edy Ongaro che è morto combattendo in Donbass, peraltro a favore dei filorussi di quella regione e contro l’esercito ucraino che in quella guerra, “a bassa tensione” come è stata definita, non è certo andato con mano leggera.

Dei morti afgani nella guerra contro i sovietici non si sa quasi niente, perché gli afgani, com’è noto, non sono propriamente degli esseri umani. Qualcosa di più si sa della guerra combattuta, si fa per dire, dagli occidentali contro i Talebani a partire dal 2001. Ci sono stati bombardamenti su Kabul, su Kunduz, su Mazar e Sharif, ospedali spianati, a partire da medici senza frontiere a Kunduz (42 morti, tra cui 14 medici e tre bambini). Infinite volte gli occidentali hanno fatto strage di matrimoni scambiandoli per un raduno di “terroristi” talebani (diciamo un centinaio di morti a volta, sposi compresi). Le cosiddette Organizzazioni umanitarie non hanno fatto calcoli precisi sulle vittime civili afgane durante i vent’anni di guerra (li hanno fatti per i contingenti degli occupanti), si calcola comunque, in modo approssimativo, che siano state circa 300 mila senza contare gli individui menomati per sempre, bambini compresi, dalle bombe al fosforo e dai proiettili all’uranio impoverito. I morti civili durante la prima guerra del Golfo, a causa dei bombardamenti su grandi città come Baghdad e Bassora, sono stati: 86.164 uomini, 39.612 donne e 32.195 bambini (dati Pentagono). La seconda guerra del Golfo ha provocato, in modo diretto o indiretto, dalle 650 alle 750 mila vittime civili. L’aggressione alla Serbia ha fatto più di 5000 morti, di cui 500 erano albanesi, cioè proprio quelli di cui dicevamo di essere andati in soccorso. Dei morti civili causati dall’aggressione franco-americana-italiana alla Libia di Gheddafi non si sa nulla. Si sa solo che, per non farci mancar nulla, abbiamo assassinato anche un nipotino del Colonnello. In quanto alle conseguenze di quella guerra illegittima a prescindere (l’Onu era contraria) sono, a dieci anni di distanza, sotto gli occhi di tutti e non è il caso di tornarci sopra per l’ennesima volta.

L’esibito vittimismo di Zelensky comincia a dar fastidio. Chiede aiuto a tutti, in qualsiasi sede: che gli vengano fornite armi il più letali possibile. Bene, durante la guerra russo-afgana i grandi comandanti militari, i “signori della guerra”, Massud, Gulbuddin Hekmatyar, Ismail Khan, Dostum, ebbero l’aiuto, in funzione anti sovietica, degli americani che fornirono loro i decisivi missili terra-aria Stinger. E quando cominciarono a cadere gli aerei e gli elicotteri i sovietici batterono in ritirata. Invece i Talebani contro gli occidentali non hanno avuto l’aiuto di nessuno, né lo hanno chiesto, del resto nessuno gliel’avrebbe dato perché il Mullah Omar (e i suoi) era per definizione il “mostro”. Hanno dovuto combattere con i soli kalashnikov contro un esercito che al culmine della guerra contava su 400 mila effettivi, ma soprattutto su bombardieri, caccia, droni. Ci hanno messo vent’anni ma questi delinquenti li hanno cacciati con le loro mani, senza pietire aiuti da nessuno.

La guerra afgana, a nostro parere, è la più significativa di quelle recenti. Per due motivi. Primo. Dimostra che se ci si batte per degli ideali, giusti o sbagliati che siano, si può prevalere su eserciti superarmati che queste motivazioni non hanno, se non quella di difendere gli interessi di chi li comanda. Secondo. Mentre le guerre del Golfo, in precedenza la guerra per le Falkland o Malvinas fra inglesi e argentini, e la stessa guerra di Putin sono, se si può dir così, delle oneste guerre di conquista (questo territorio è mio, non è tuo), quella agli afgani del Mullah Omar è stata una guerra puramente ideologica: non ci piaceva come viveva quella gente. E poiché non ci piaceva come viveva quella gente abbiamo occupato, invaso un Paese e fatto 300 mila morti.

A parer nostro la civiltà di un popolo non si misura da come vi vengono trattate le donne, ma da come si trattano i prigionieri. Tutti i prigionieri dei Talebani sono stati sempre trattati con estrema correttezza, in particolare proprio le donne avendo riguardo alle loro esigenze femminili. Noi abbiamo alle spalle, e ancora oggi, Guantanámo, Abu Ghraib, Abu Omar. E nemmeno Zelensky e i suoi hanno, da questo punto di vista, la coscienza del tutto pulita, se è autentico quel video in cui si vedono i soldati ucraini sparare alle gambe di prigionieri inermi, a terra, legati e incappucciati.

Adesso si vorrebbe trascinare Vladimir Putin davanti al Tribunale internazionale dell’Aja per “crimini di guerra”. Su questi Tribunali il lettore sa come la pensiamo: sono i Tribunali dei vincitori e non hanno alcun valore né legale né morale, se, putacaso, questa guerra la vincesse Putin sul banco degli imputati si troverebbe Zelensky. Ha detto la portavoce del ministro degli Esteri russo Lavrov, Maria Zacharova: “Ottima idea questa del processo. Possono iniziare con i bombardamenti della Jugoslavia e l’occupazione dell’Iraq. Quando hanno finito possono passare alle bombe nucleari sul Giappone”. Noi aggiungiamo i bombardamenti indiscriminati su Dresda, Lipsia e Berlino che avevano di mira essenzialmente i civili perché, come dichiararono esplicitamente i comandi politici e militari americani, si voleva “fiaccare la resistenza del popolo tedesco”.

Il Fatto Quotidiano, 8 aprile 2022