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Quella che un mese fa sembrava solo una boutade oggi sta diventando realtà: Berlusconi for President. Credo che mai nella storia dei Paesi democratici e non democratici, ma azzarderei dire nella storia del mondo, sia salito alla massima carica dello Stato un delinquente di diritto comune.  Certo al potere ci sono stati criminali molto peggiori di Silvio Berlusconi, Stalin, Hitler o, per rimanere all’oggi, Erdoğan e il generale tagliagole al-Sisi, ma costoro sono responsabili di crimini politici, non di reati di diritto comune. Tanto varrebbe allora eleggere Presidente della Repubblica Renato Vallanzasca che, oltre a essere molto più simpatico di Berlusconi, è perlomeno un bandito leale che ha sempre ammesso le sue responsabilità, mentre l’altro non solo le ha negate anche quando erano sancite da una condanna definitiva, ma ha cercato di sfuggirvi con i mezzi più sleali, usando le sue Televisioni, quelle pubbliche a lui soggette, i propri giornali e facendosi leggi ‘ad personam’.

La candidatura di Berlusconi è stata ufficialmente lanciata da Matteo Salvini alla trasmissione di Giletti (ormai, da tempo, la politica italiana non si fa più nelle sedi istituzionali, il Governo e il Parlamento, ma nei cessi televisivi, nei talk, sui social network). L’ex democristiano Gianfranco Rotondi (eravamo riusciti a liberarci dei democristiani, ma restano gli ex democristiani altro perenne sfinimento di cazzo) ha affermato che Berlusconi Presidente sarebbe “La scelta di un Paese normale. È il fondatore della seconda Repubblica; ha la maggioranza elettorale nei sondaggi e nel sentiment del Paese. L’elezione di Berlusconi al Quirinale sarebbe naturale, legittima e pacificatrice”.

Berlusconi ha tre processi in corso per reati gravissimi (corruzione di testimoni? Che sarà mai?) al momento opportuno si farà una legge che blocca i processi in cui sono coinvolte le più alte Autorità dello Stato per tutta la durata del loro mandato e magari anche per i cinque anni successivi come, mi pare, abbia fatto Putin, quando Berlusconi avrebbe 99 anni, senza aver perso, per ciò, la sua “naturale capacità a delinquere” come l’ha definito in una sentenza la Magistratura italiana, perché se è “naturale” non si può perdere solo perché si è venuti vecchi.

Difronte a questa eventualità inaudita, nel senso letterale di mai udita nella Storia, non mi pare che ci sia in giro molta indignazione. Berlusconi ci ha preso per sfinimento. Dove sono finiti i “girotondi”? Io ho partecipato a tutti. A cominciare dal Palavobis dove 12mila persone si trovarono riunite quasi per caso e per aver io, nel mio intervento, riprendendo Sandro Pertini, usato la frase “a brigante brigante e mezzo”, il ministro leghista della Giustizia Roberto Castelli voleva farmi arrestare. Ho partecipato alla manifestazione di piazza Navona. E a quella di piazza San Giovanni: 400mila persone, di sinistra, di centro, di destra, di nulla. E 400mila persone in piazza per una protesta che non aveva contenuti economici né strettamente politici, ma si fondava su una questione di principio, erano un’enormità oltre che una novità assoluta per il nostro Paese. Dove sono finiti Daria Colombo, Giuseppe Ayala, Francesco De Gregori? Dov’è finito Nanni Moretti che in piazza San Giovanni tenne un vibrante discorso che scosse l’intero Paese? Probabilmente si sono stancati. Persino Travaglio nel suo editoriale del 26/1, dedicato alla crisi di governo, ha solo sfiorato, in poche righe, l’argomento “Berlusconi for President”, evidentemente stufo di dover ripetere il mantra: pregiudicato, plurindagato, pluriprescritto.

Le ragioni per cui non è assolutamente accettabile che Silvio Berlusconi diventi Presidente della Repubblica italiana sono talmente evidenti che è inutile tornarci sopra. Poi, in subordine, ci sono altre questioni. Silvio Berlusconi è stato l’uomo più divisivo nella storia dell’Italia repubblicana. Il Presidente della Repubblica rappresenta l’unità nazionale, come potrà riconoscersi in questo soggetto una parte molto consistente dei cittadini?

Berlusconi ha 84 anni, ne avrà 86 al momento dell’elezione del nuovo Presidente della Repubblica, 92, se verrà eletto, alla fine del mandato, 99 se ottenesse un reincarico. Già oggi è parecchio malandato: due operazioni al cuore, una alla prostata, è sopravvissuto al Covid che, soprattutto nei soggetti anziani, ha ripercussioni non trascurabili. Il Presidente della Repubblica ha pesanti incombenze sia nazionali che internazionali. Deve incontrare i suoi pari in Europa e nel mondo. Come dovranno barcamenarsi i burocrati che lo accompagnano? Lo carrucoleranno giù dall’aereo, lo porteranno in lettiga al luogo degli incontri, lo faranno ventilare da delle geishe giapponesi? Già adesso Berlusconi non partecipa fisicamente ad incontri ufficiali che, soprattutto in questo momento, dovrebbero essere di particolare interesse per il capo di un partito. Manda avanti Tajani. In compenso parla. Parla. Parla ogni giorno. Da dove? E chi lo sa? Forse da un sarcofago egizio.

Il Fatto Quotidiano, 2 febbraio 2021

Gli amici sono peggiori dei nemici. Che è semplicemente una traslitterazione del vecchio detto: "Dagli amici mi guardi Iddio, che dai nemici mi guardo io".

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Chiedo ai miei lettori, se ci sono, di non mandarmi più mail. Ogni tanto, in strada, qualcuno mi ferma e mi dice "Resista, resista, Fini". Resistete un po' voi, porco Dio, perché io lo faccio da mezzo secolo e mi sono stufato. La resistenza, chiamiamola così, si fa sul proprio luogo di lavoro, se lo si ha, o in piazza se non lo si ha, non demandandola a qualcun altro.

M.F.

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DEMOCRAZIA (DUE). Noi paghiamo della gente perché ci comandi. Un masochismo abbastanza impressionante che, come notava Jacques Necker nel 1792, “dovrebbe lasciare stupiti gli uomini capaci di riflessione”. Noi diamo invece la cosa per pacifica, scontata e non ci pensiamo più. Ma farebbe sbellicare dalle risa un Nuer. I Nuer sono un popolo nilotico che vive nelle paludi e nelle vaste savane dell’odierno Sudan meridionale. Un Nuer non solo non paga nessuno perché lo comandi, ma non tollera ordini da chicchessia. I Nuer infatti non hanno capi e nemmeno rappresentanti. “È impossibile vivere fra i Nuer e immaginare dei governanti che li governino. Il Nuer è il prodotto di un’educazione dura ed egalitaria, profondamente democratico e facilmente portato alla violenza. Il suo spirito turbolento trova ogni restrizione irritabile; nessuno riconosce un superiore sopra di sé. La ricchezza non fa differenza… Ogni Nuer considera di valere quanto il suo vicino”. Così li descrive l’antropologo inglese E. E. Evans Pritchard che, negli anni trenta, visse fra loro a lungo e li studiò (I Nuer: un’anarchia ordinata).

Un miracolo? O, quantomeno, un’eccezione? Fino a un certo punto: si tratta infatti di una di quelle “società acefale”, di quelle “anarchie ordinate” nient’affatto rare nel Continente Nero prima della dominazione musulmana con le sue leggi religiose incompatibili con la libertà e, soprattutto, prima che arrivassimo noi con la nostra democrazia teorica, in salsa liberale o marxista. Quella dei Nuer è quindi una società di “liberi e uguali” basata sulla violenza. Perché se si offende un Nuer, o anche solo la sua mucca, ci si becca un colpo di zagaglia, questo è certo. I Nuer e le comunità ad essi consimili erano quindi riusciti a coniugare uguaglianza e libertà, due poli apparentemente inconciliabili su cui i figli dell’Illuminismo, i liberali e i marxisti, si accapigliano da un paio di secoli facendo elaborazioni raffinatissime ma senza cavare un ragno dal buco. Una bella lezioncina  per la democrazia liberale, la socialdemocrazia e la cosiddetta “democrazia popolare” o socialista, che non sono mai state in grado di coniugare libertà e uguaglianza, riuscendo piuttosto, quasi sempre, nell’impresa di mortificare entrambe.

Ma quella dei Nuer è, come osserva ancora Evans Pritchard, “una democrazia basata sulla violenza”. E questo è intollerabile non solo per la coscienza ma per la struttura stessa di una società moderna, dove è lo Stato ad avere il monopolio della violenza con le sue Istituzioni, il suo esercito, le sue mille polizie (la pula, i caramba, la guardia di finanza), i servizi segreti, la magistratura. “Lo Stato? Il più freddo di tutti i mostri” lo definisce Nietzsche. Ma su questo punto torneremo più avanti. Per il momento ci piace raccontare ancora qualcosa dei Nuer, ad uso e consumo degli esteti della “cultura superiore”, di coloro che avallano Guantanamo, Abu Graib e il rapimento di Abu Omar (do you remember presidente D’Alema? Do you remember Matteo Renzi?). I Nuer hanno avuto rapporti con una sola altra comunità, quella dei Dinka, loro vicini, perché tutto il resto del territorio è infestato dalla mosca tze-tze che non garba né agli uni né agli altri. I Nuer, popolo bellicoso, razziavano i Dinka e questi, più subdoli, rubavano il bestiame ai Nuer. In queste razzie i Nuer uccidevano molti Dinka, ma altri ne facevano prigionieri. Chi li aveva in custodia non poteva ordinare a un prigioniero Dinka nemmeno di portargli un bicchier d’acqua: è un ospite e va trattato come tale. Consuetudine che si è conservata fino a oggi presso alcuni popoli che definiamo “tradizionali”.

Ma torniamo alla Democrazia.  La Democrazia esisteva quando non sapeva d’esser tale. Nei “secoli bui”, buissimi del Medioevo, l’assemblea del villaggio formata dai capifamiglia, quasi sempre uomini, ma anche donne se il marito era assente, decideva su tutto ciò che riguardava il villaggio: votava le spese e procedeva alle nomine, decideva della vendita, scambio e locazione dei boschi comuni, della riparazione della chiesa, del presbiterio, delle strade e dei ponti, riscuoteva au pied de la taille i canoni che alimentavano il bilancio comunale, poteva contrarre debiti e iniziare processi, nominava, oltre ai sindaci, il maestro di scuola, il pastore comunale, i guardiani di messi, i riscossori di taglia… L’assemblea interveniva nei minimi dettagli della vita pubblica, in tutti i minuti problemi dell’esistenza campagnola. (A. Soboul, La società francese nella seconda metà del settecento). Questo sistema funzionò benissimo fino al 1787, due anni prima della Rivoluzione, quando, sotto la spinta razionalizzatrice della borghesia e dei suoi interessi avviene un mutamento radicale: non è più l’assemblea del villaggio a decidere direttamente, ma nomina dei suoi rappresentanti. Era cominciata la tragedia, direi la farsa, della democrazia rappresentativa.

Le democrazie rappresentative non sono delle vere democrazie, ma piuttosto, come ammettono Bobbio e Sartori, delle poliarchie, cioè delle aristocrazie mascherate. Fra le oligarchie democratiche e le aristocrazie storiche c’è però una differenza sostanziale. Gli appartenenti alle aristocrazie vere e proprie si distinguono perché posseggono delle qualità specifiche, vere o anche presunte ma comunque credute tali dalla comunità. Nel feudalesimo, occidentale e orientale, i nobili sono coloro che sanno portare le armi, in certe epoche dell’antico Egitto la professione di scriba conduceva alle cariche pubbliche e al potere, in Cina la conoscenza dei numerosissimi e difficili caratteri della scrittura era la base della casta dei mandarini, in altre realtà la casta sacerdotale era creduta in possesso di doti particolari per mediare con la divinità oppure l’autorità era conferita agli anziani in quanto ritenuti detentori del sapere. Come dicevamo nei precedenti articoli dedicati alla Democrazia (Il Fatto, 17 e 21/1/2021), chi appartiene alle oligarchie democratiche non ha qualità specifiche. La classe politica democratica è formata da persone che hanno come elemento di distinzione unicamente, e tautologicamente, quello di fare politica. Poiché non è necessaria alcuna qualità prepolitica la selezione della nomenklatura è autoreferenziale, puramente burocratica, avviene all’interno degli apparati di partito attraverso lotte oscure, feroci, degradanti, spesso truffaldine.  L’oligarca democratico è un uomo senza qualità. La sua sola qualità è di non averne alcuna. Il che gli consente una straordinaria adattabilità e duttilità. Insomma il trasformismo, tabe storica della democrazia, specialmente di quella italiana, di cui oggi abbiamo sotto gli occhi abbondanti esempi. Ci possono essere anche ottime, oneste, persone che ci governano, quale io considero, per esempio, Giuseppe Conte, ma anche lui è costretto a sporcarsi le mani con manovre sudice. Il problema, a questo punto, non è degli uomini ma di un sistema che costringe a corrompersi anche chi, per sua natura, non vi sarebbe portato. Questo sistema si chiama Democrazia rappresentativa.

Il Fatto Quotidiano, 28 gennaio 2021