Le guerre, anche quelle moderne, con l’utilizzo di droni kamikaze, di missili, di supersonici, che tolgono alla guerra, oltre alla sua dimensione epica anche quella etica, alla fine vengono vinte dalla fanteria. La guerra delle Falkland o Malvinas (las islas Malvinas son argentinas) del 1982, dove pure gli inglesi usarono gli Exocet con i quali affondarono l’incrociatore argentino Belgrano, fu decisa dalla fanteria inglese. Nell’ultima isola ancora in mano agli argentini c’era un nido di mitragliatrici che sembrava insuperabile. I soldati inglesi che gli stavano di fronte si sentivano impotenti. Allora il loro comandante uscì dalla trincea, allo scoperto, trascinando in tal modo i suoi uomini alla conquista. Lui ne uscirà ferito in modo grave, ma gli inglesi conquisteranno quell’ultimo baluardo argentino ponendo così fine, di fatto, alla guerra.
I russi sono 143 milioni, gli ucraini 43. Non è facile immaginare che gli ucraini, pur con tutto l’appoggio di armi e quattrini dell’intero occidente, possano vincere la guerra a meno che gli occidentali scendano direttamente sul campo. Non vedo un italiano o un francese battersi sul campo, noi europei non lo facciamo dalla fine della seconda guerra mondiale. E nemmeno un tedesco a meno che non avesse lo spirito della Wehrmacht. Forse solo gli inglesi, come ci dice anche l’episodio della guerra delle Falkland, hanno conservato questo spirito.
Nelle guerre però contano anche, e molto, le motivazioni e le passioni dei combattenti. Altrimenti non si spiegherebbe come i talebani abbiano potuto sconfiggere e cacciare a pedate nel culo il più forte, il più numeroso, il più armato esercito del mondo, quale non si era mai visto nei tempi recenti, mentre gli straccioni Talebani avevano solo kalashnikov, mitra e Jed.
Certamente nell’attuale guerra gli ucraini sono molto più motivati dei pelandroni e ubriaconi russi (sia detto di passata, ogni volta che si parla della guerra russo-ucraina bisogna premettere che c’è un aggressore e un aggredito, distinzione che non si è mai fatta quando ad aggredire erano gli occidentali, in Serbia, in Iraq, in Libia). Ma con i russi bisogna stare attenti, per capire la loro anima, e quindi Putin e quindi anche la guerra, bisogna aver letto cinque volte i Karamazov, almeno quattro i Demoni e messo a fuoco le figure del principe Stavrogin, di Ivan Karamazov, di Alioscia, di padre Sergij (protagonista di un delizioso racconto di Tolstoj). I russi sono notoriamente ubriaconi, fannulloni, spendaccioni ma da un momento all’altro possono trasformare tutto questo in coraggio, senza che se ne veda alcuna ragione. Il personaggio del principe Stavrogin è il più significativo. Sfidato a duello da Gaganov, cui qualche anno prima a San Pietroburgo aveva scopato la moglie, Stavrogin si profonde in mille scuse, ma Gaganov non vuole sentire ragioni. Nel duello alla pistola, fissato al terzo sangue, al primo colpo Gaganov ferisce leggermente Stavrogin a un dito. Stavrogin non si fa medicare e tira a casaccio. Gaganov a questo punto, sicuro di vincere, si porta in avanti fino al limite consentito, dodici passi. La mano gli trema perché l’indifferenza dell’avversario lo rende furioso e sbaglia mira. Stavrogin tira, in modo ancora più evidente, a casaccio. Gaganov è fuori di sé e sbaglia ancora il colpo. Stavrogin fingerà solo di tirare il terzo. Gaganov è annientato dall’umiliazione. Il vincitore è Stavrogin che nel frattempo, mentre attorno gli cascano ai piedi bellissime donne dell’aristocrazia, ha deciso di sposare una ragazza pazza e zoppa. C’è insomma in ogni russo un germe di pazzia che bisogna conoscere. Io lo conosco, anzi lo vivo. Quando Giorgio Bocca mi ha definito: “Un anarcoide, un russo mezzo pazzo” mi ha centrato in pieno. Aveva letto i Demoni.
Ora Putin non è Stavrogin, ma un germe di pazzia alberga anche in lui e può essere capace di tutto. Il coraggio ce l’ha, anche se non lo ostenta a differenza di quel comico da avanspettacolo che è Zelensky. E può interpretare la guerra anche come un gioco ludico. Gioco e coraggio sono ciò che lo uniscono a Berlusconi con cui credo abbia avuto una sincera amicizia. Che l’ex Cavaliere ha ricambiato esponendosi in suo favore e contro Zelensky mettendo l’Italia e tutti gli altri Paesi europei in una situazione emotiva molto vicina a quella di Gaganov. È stato Berlusconi a scrivere direttamente e letteralmente all’ameba Joe Biden: “Tu – lui dava del tu a tutti – dì a Zelensky che gli proponiamo un grande piano Marshall per la ricostruzione del suo Paese, ma devi metterti immediatamente a trattare altrimenti non ti diamo più armi né dollari”. Un atto molto coraggioso perché ci vuole del fegato a mettersi contro i gloriosi United States of America. Soprattutto tenendo conto che Berlusconi è sempre stato più americano degli americani.
Che anche Berlusconi fosse pazzo? È possibile. Che fosse pazzo alla moda di Stavrogin lo escudo. Non solo perché Stavrogin è bellissimo e Berlusconi, anche da giovane, non era certo un Adone, ma perché uno che ha vissuto buona parte della sua vita fra il varesotto ed Arcore non può avere nulla a che vedere con i russi, tranne giocarci, una volta tanto, a calciobalilla.
I russi sono melodrammatici, con una forte propensione al drammatico, Berlusconi non conosce la dimensione del drammatico. E’ solo ridicolo come un altro personaggio de I Demoni di cui vi racconterò un’altra volta. Intanto leggete.
Il Fatto Quotidiano, 21 giugno 2023
Disastro Sky Chiara Martinoli è scomparsa del tutto dagli schermi. Poiché è la più brava e la più graziosa (diciamo una Bibi Anderson quando nel settimo sigillo di Bergman porge un cesto di fragole all’immalinconito Cavaliere) non se ne capisce il motivo. Se l’ufficio stampa di Sky avesse la buona creanza di spiegarcelo gliene saremo grati.
m.f
Nel 1992 Berlusconi aveva messo gli occhi su Gigi Lentini, asso del Torino e anche grande speranza del calcio italiano. Gli obiettivi del Cavaliere, poi diventato ex perché nemmeno gli imprenditori sopportavano un simile mascalzone nel loro Ordine, erano due: prendere il ragazzo e sottrarlo al Torino che, essendo arrivato terzo nel Campionato, era diventato un avversario temibile. Di fronte alle offerte di Berlusconi, sempre sesquipedali, Lentini aveva detto ripetutamente e in pubblico che il denaro non era la cosa più importante, che lui era nato a Torino e nel Torino aveva fatto tutta la sua carriera. Di fronte al rifiuto del calciatore Berlusconi aumentò l’offerta alla sbalorditiva cifra di 64 miliardi. Ora nonostante Lentini fosse un campione non valeva 64 miliardi e nemmeno la metà. Figlio di operai delle Vanchigliette a questo punto il ragazzo non se la sentì di rifiutare l’offerta. Trasferito al Milan, in ambiente cui si sentiva evidentemente a disagio, Lentini fece la sciocchezza di guidare la sua Porsche con un ruotino e andò a sbattere ferendosi abbastanza gravemente. Quell’ingaggio stratosferico quindi non fu utile né a Lentini né al Milan dove giocò pochissime partite, le prime.
Che insegnamento aveva dato Berlusconi al vasto mondo giovanile che segue il calcio? Che il denaro è tutto e i sentimenti non contano niente. Perché Berlusconi è stato un corruttore non solo nel calcio ovviamente, ma in ogni ambito con cui abbia avuto a che fare. Questa favoletta, chiamiamola così, insegna anche che la prepotenza non giova a nessuno. Nella fattispecie non giovò al Torino, che sparì dalle zone alte della classifica, non giovò a Lentini e non giovò nemmeno al Milan. E ricorda la canzone di De André, Il Re fa rullare i tamburi. “Il re fa rullare i tamburi, il re fa rullare i tamburi, vuol sceglier fra le dame, un nuovo e fresco amore, ed è la prima che ha veduto, che gli ha rapito il cuore/ Marchese la conosci tu, marchese la conosci tu, chi è quella graziosa?, Ed il marchese disse al re, ‘maestà è la mia sposa ‘/ Tu sei più felice di me, tu sei più felice di me, d’aver dama sì bella, signora sì compita, se tu vorrai cederla a me, sarà la favorita/ Signore se non foste il re, Signore se non foste il re, v’intimerei prudenza, ma siete il sire siete il re, vi devo l’obbedienza/ Marchese vedrai passerà, marchese vedrai passerà, d’amor la sofferenza, io ti farò nelle mie armate, Maresciallo di Francia/Addio per sempre mia gioia, addio per sempre mia bella, addio dolce amore, devi lasciarmi per il re, ed io ti lascio il cuore/ La regina ha raccolto dei fiori, la regina ha raccolto dei fiori, celando la sua offesa, ed il profumo di quei fiori, ha ucciso la marchesa”. A parte il fatto che qui i mascalzoni sono due, il Re e il Marchese, che doveva infilzare subito a fil di spada il Sire, ma che per lo meno otterrà il maresciallato, la storia è analoga a quella di Lentini. L’oggetto del desiderio muore.
Sempre nel 1992 Berlusconi comprò Dejan Savicevic, che era considerato allora uno dei migliori giocatori del mondo. Ma non lo poteva utilizzare perché, per le leggi del tempo, il Milan aveva già tre stranieri, Van Basten, Gullit, Rijkaard. Lo tenne quindi a palleggiare nel giardino di Arcore, semi rovinandolo. All’epoca L’Espresso, che era ancora un giornale, mi chiese che cosa più rimproveravo a Berlusconi. Il mio cuore Torinista disse: “aver comprato Gigi Lentini”.
Ma a bocce ferme – per quanto possa sembrare incredibile nonostante la morte di Berlusconi la vita continua per tutti i vivi, con le rotture e anche le gioie di ogni giorno – una cosa però, a dispetto dei salivamenti e dei Funerali di Stato dedicati a questo soggetto, definito da un Tribunale della Repubblica una “persona dotata di una particolare capacità a delinquere”, la voglio dire. La più grande responsabilità, ai miei occhi, di Silvio Berlusconi è stata di aver tolto agli italiani quel poco di senso di legalità che gli era rimasto.
Il Fatto Quotidiano, 17 giugno 2023