“Caro amico ti scrivo”, Lucio Dalla
Caro amico ti scrivo dalla lontana provincia di Anagor e sono colpevolmente a digiuno delle recenti elezioni regionali italiane. Che ne pensi? Sto godendo come un grillo, anzi una comitiva di grilli (che fra poco saremo obbligati a mangiare anche in forma di cono gelato insieme alle bistecche sintetiche) per il risultato. Hai votato dunque Fratelli d’Italia? No. Hai votato allora Lega? No. Hai votato Forza Italia? No, non voto per un partito che ha come leader un “delinquente naturale” come l’ha definito la Magistratura italiana, ci dovrebbe essere un limite all’indecenza, anche se poi non c’è visto che il Tipo è sempre lì e condiziona la nostra politica. Hai votato per PD e cinque Stelle? Non amo il suicidio, oltretutto nemmeno assistito.
E allora, caro amico, perché ti vedo così contento e allegro? Perché non sono andato al seggio e quindi faccio parte del più grande partito italiano, quello astensionista che cresce di tornata in tornata. Siamo arrivati a più del 60 percento di cittadini che si rifiutano di partecipare a questa farsa. A me pareva questo il titolo di testa di prima pagina, al posto dei canti di vittoria o delle lagne degli sconfitti. Invece i media l’hanno nascosta nelle pagine interne con le più fantasiose spiegazioni: candidati poco conosciuti, vincitori e vinti già annunciati, il disastro di Roma (che c’era ieri come c’è oggi a meno di non rivalutare la svillaneggiatissima Virginia Raggi) e altre sciocchezze del genere.
Giorgia Meloni ha detto, peraltro con un faccino poco convinto, cosa rara per lei, che “il Governo esce rafforzato”. E’ vero il contrario. Fratelli d’Italia ha preso in media il 30 percento dei voti, ma non ha il 30 percento del consenso del Paese, ne ha meno del 15. E questo vale anche per tutti gli altri partiti.
Quali le ragioni di questo collasso? C’è certamente indifferenza verso la politica soprattutto fra i giovani, ma c’è anche, all’opposto, un forte interesse verso la politica che si manifesta nell’astio, oserei dire anche l’odio se non fosse proibito, nei confronti della nostra classe dirigente. Quindi il non voto è un voto. Chi non se la sente di intrupparsi tra gli anarchici e far propria la violenza manifesta la sua volontà con l’astensione.
Anche in Germania c’è una scarsa propensione all’urna, pur se lontanissima dalla nostra. Ma la ragione è opposta: i tedeschi si fidano della propria classe dirigente, sanno che, in linea di massima non è corrotta, non è clientelare, non intreccia ambigui rapporti con le mafie e quindi che vincano la SPD o i Popolari è quasi indifferente. Noi siamo invece riusciti ad esportare la nostra endemica corruzione anche in Europa. A parte la greca Eva Kaili, tutti i protagonisti del Qatar Gate sono italiani o italo belgi. Ma la corruzione è come un virus, è contagiosa e, parafrasando un vecchio titolo dell’Espresso, non è detto che alla lunga a un’Italia infetta non finisca per corrispondere un’Europa infetta.
Il Fatto Quotidiano, 16 febbraio 2023
Non userò per Berlusconi il detto che anche un orologio rotto segna l’ora giusta almeno due volte al giorno. Perché Berlusconi è rotto fisicamente, nonostante i miracoli di Zangrillo, ma non mentalmente e le sue uscite, anche le più clamorose, anzi soprattutto le più clamorose, hanno sempre un senso. Con le sue dichiarazioni di domenica, nella giornata del silenzio elettorale, ma l’ex Cav se ne fotte di queste convenzioni come si è sempre fottuto di tutto, Berlusconi ha avuto il coraggio di affermare, da una posizione comunque apicale e quindi particolarmente esposta alle accuse dei sepolcri imbiancati della sinistra, ciò che la maggioranza degli italiani pensa (il 68 percento stando ai sondaggi) ma non osa dire. Rivediamo allora interamente queste dichiarazioni riferite a Zelensky ma non solo: “Bastava che cessasse di attaccare le due repubbliche autonome del Donbass e questo non sarebbe accaduto. Quindi giudico, molto, molto negativamente il comportamento di questo signore… Io a parlare con Zelensky, se fossi stato il Presidente del Consiglio, non ci sarei mai andato, perché stiamo assistendo alla devastazione del suo paese e alla strage dei suoi soldati e dei suoi civili.” Rivolto poi a Joe Biden ha detto: “Per arrivare alla pace, il signor Presidente americano dovrebbe prendersi Zelensky e dirgli: è a tua disposizione dopo la fine della guerra un piano Marshall per ricostruire l'Ucraina…bisogna che tu domani ordini il cessate il fuoco anche perché noi da domani non vi daremo più dollari e non ti daremo più armi. Solo questo potrebbe convincerlo ad arrivare a un cessate il fuoco.”
Che la guerra Russia-Ucraina non sia iniziata il 24 febbraio del 2022 ma nel 2014 con l’annessione della Crimea e in seguito con la violenta repressione da parte dell’Ucraina della popolazione russofona del Donbass, (circa il 38 percento) dettaglio quest’ultimo su cui i nostri “giornaloni”, per dirla alla Travaglio, hanno agilmente sorvolato, è vero.
È curioso e interessante che Berlusconi si sia messo in rotta di collisione con gli americani che sono da sempre il suo punto di riferimento culturale e politico. Berlusconi è sempre stato un ‘atlantista’ doc.
Perché queste dichiarazioni così rischiose? Per dare una mano al candidato del centro destra, Attilio Fontana, alle regionali lombarde? È poco probabile, il rischio non valeva la candela. Lo ha fatto per mettere in difficoltà Meloni? È possibile. Lo ha fatto per far cadere il governo? Impossibile, perché se si facessero nuove elezioni Forza Italia, già ridotta al 7 o all’8 percento, sparirebbe dalle mappe geografiche della politica italiana.
Non privo di interesse è l’appellativo “questo signore” appioppato a Zelensky. È probabile che Berlusconi, abituato nella sua vita ad avere una posizione dominante e ora messo un po’ da parte, provi rabbia e sia roso dall’invidia (l’invidia è un suo tema dominante, l’ex Cav pensa che tutti lo invidino, cioè in termini psicanalitici “proietta la sua ombra”) nel vedere quest’uomo senza qualità spadroneggiare in mezzo mondo. Del resto oltre a una questione ucraina dove è giusto stare oggi dalla parte degli ucraini, gli aggrediti, c’è una questione Zelensky molto personale e di tutt’altra natura. Quest’uomo, che scula dappertutto, che è presente ovunque, è venuto ad uggia anche a chi sta dalla parte dell’Ucraina. Per quanto riguarda il nostro paese sono intollerabili le continue intromissioni nella vita culturale italiana. Si è cominciato con il ‘caso’ Boris Godunov dove si voleva impedire agli artisti russi di partecipare a quest’opera, in pratica eliminandola dal cartellone della Scala. Importante in quell’occasione è stata la presenza alla prima del nostro Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che non era scontata, come a dire che la Scala, il massimo teatro operistico del mondo, è italiana e non ucraina. E si è andati avanti con altre intrusioni questa volta vincenti. In una lettera al Fatto esponenti del Donbass hanno ricordato che l’ambasciatore Melnyk ha ordinato ai sindaci di Bergamo e Brescia la cancellazione del concerto del pianista russo Denis Matsuev, ottenendola. In precedenza era stato annullato il concerto di Valentina Lisitsa e il balletto di Sergei Polunin. Rivolta a Giorgia Meloni la lettera concludeva così: ci chiediamo chi comanda in Italia? Lei o l’ambasciatore ucraino che rappresenta Zelensky?
Molto sgradevole, fino allo sgarbo, è stato il comportamento di Zelensky nei confronti di Giorgia Meloni. È vero che la settimana scorsa Macron e Scholz non avevano invitato a una cena con Zelensky la nostra Presidente del Consiglio, ma Zelensky avrebbe dovuto avere la buona grazia di pretendere la presenza anche di Giorgia Meloni. In fondo all’Ucraina abbiamo dato un miliardo di euro che servirebbero molto alla nostra economia disastrata.
In quanto alla sinistra, o cosiddetta tale, ha dimostrato ancora una volta la propria inconsistenza. Si potrebbe dire che Berlusconi l’ha battuta sul tempo, captando la sensibilità e gli umori della maggioranza della nostra popolazione. Ma non sarebbe esatto. È dal quel dì che la sinistra non capisce più l’elettorato, probabilmente nemmeno il proprio.
Il Fatto Quotidiano, 14 febbraio 2023
Il Carnevale oggi non ha più alcun senso. Perché a parte il periodo Covid cui dovremmo alzare altari e onorare con fescennini perché avrebbe potuto indurci a riflettere, cosa che non abbiamo fatto, ai nostri tempi è Carnevale tutto l’anno con un immenso spreco di risorse avvolto in un frastuono incessante.
I pur affascinanti carri del Carnevale di Viareggio e la sfilata delle barche fra i canali di Venezia non esaudiscono il vero scopo del Carnevale che non deriva da una fascinazione estetica, è uno sfogo liberatorio, un liberare l’aggressività anche fisica che è in ciascuno di noi e che oggi è monopolio dello Stato. Si tratta di incanalare questa aggressività e mantenerla entro limiti tollerabili. L’aggressività troppo compressa esplode inevitabilmente in maniera mostruosa nei “delitti delle villette a schiera”, come li chiamava Ceronetti. Esemplare è il massacro avvenuto a Novi Ligure il 21 febbraio 2001, città tranquillissima, quasi addormentata, compiuto dalla sedicenne Erika e dal suo fidanzatino Omar. Erika uccise con 97 coltellate la madre e i due poi si accanirono anche sul fratellino di lei, di undici anni. Eppure in quella casa tutto all’apparenza era tranquillo, non c’erano problemi economici, tutto era inquadrato nel consueto ordine piccolo borghese, con i comodini, i centrini, i fiori d’ordinanza.
Tutte le società premoderne, compresa la nostra, hanno elaborato istituti per controllare l’aggressività, senza avere la pretesa di eliminarla del tutto, limitandola ad un certo periodo dell’anno (il Carnevale appunto). Fra gli Ashanti, tribù particolarmente bellicosa del Ghana, era consuetudine che per una settimana tutti potessero insultare a sangue chiunque, in particolare i vicini, e persino il re, senza conseguenze. Del resto i neri africani sono stati di insegnamento in questo campo con la festa orgiastica in cui ci poteva scappare anche il morto (oggi solo il Carnevale di Rio fa onore al suo nome), con la guerra finta detta rotana fra i Bambara per evitare la guerra autentica, la diembi, levando le alette alle frecce in modo da rendere il tiro impreciso e innocuo.
La compressione degli istinti in nome della Dea Ragione, della razionalizzazione dell’universo mondo, ha provocato guasti seri all’essere umano. Noi ci siamo allontanati troppo dalla Natura che non va idealizzata perché può essere anche matrigna (vedi il recente, terrificante terremoto in Kurdistan fra Turchia e Siria o, su un piano più simbolico, Un tranquillo weekend di paura di John Boorman) ma le sue leggi vanno rispettate e in questo rispetto ci sono anche i nostri istinti primordiali (“l’uomo è il ministro della natura, alla natura si comanda solo obbedendo ad essa” afferma Francesco Bacone che pur è uno dei padri della Rivoluzione scientifica).
Rifarò qui l’esempio degli indigeni delle Isole Andamane che ho già raccontato su questo giornale ma una decina di anni fa. Le Andamane sono divise in due parti, quelle “civilizzate” e quelle che non ne hanno mai voluto saperne della nostra civiltà. Nel famoso maremoto del 2004 le Andamane erano fra le terre più vicine all’epicentro. Bene: nelle Andamane “civilizzate” ci sono stati morti e feriti come nel resto dell’area, nelle Andamane non civilizzate né un morto né un ferito. Nelle Andamane “civilizzate” non solo i turisti ma anche gli indigeni, tanto li abbiamo ibridati, stavano a guardare con grande curiosità i granchi e gli altri animaletti del fondo marino senza rendersi conto che se il mare si ritira non per una marea conosciuta c’è un’inevitabile onda di ritorno. Gli indigeni delle Andamane non civilizzate intanto, per misura prudenziale, non costruiscono sul mare, ma poi gli è bastato osservare gli animali: molte ore prima che il mare si ritirasse gli uccelli hanno smesso improvvisamente di cinguettare e tutti gli altri animali sono corsi all’impazzata verso le colline (quando l’elicottero di soccorso indiano si è avvicinato, perché formalmente le Andamane appartengono all’India, gli indigeni lo hanno accolto a frecciate e poi si sono rimessi a cantare e ballare in riva al mare perché è gente allegra con una predisposizione per gli scherzi osceni - le loro donne hanno dei bellissimi culi – che è quasi sempre un segno di serenità mentale). Del resto è noto a chiunque sia stato sul luogo di un terremoto, a me è capitato in Friuli, che i cani si mettono ad abbaiare qualche minuto prima delle successive scosse di assestamento. Noi umani siamo animali, come tutti gli altri, ma nel tempo ne abbiamo perso gli istinti.
Ma per tonare all’aggressività e al suo controllo, maestri come sempre sono stati i Greci con l’istituto del “capro espiatorio”. Chi era il “capro espiatorio”? Era un meteco, uno straniero che la polis manteneva e nutriva. Quando nella città si creavano tensioni insopportabili si sacrificava il “capro espiatorio” e tutto tornava alla normalità. Come si chiamava il “capro espiatorio”? Si chiamava pharmakos: medicina. A noi danno gli psicofarmaci e gli ansiolitici.
Il Fatto Quotidiano, 10 febbraio 2023