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Quella che fino a qualche mese fa poteva sembrare solo una boutade, o piuttosto un incubo, “Berlusconi for President”, fra un anno potrebbe diventare una concreta, concretissima realtà. Il Corriere ne ha parlato più volte in questi giorni senza peraltro dar mostra di scandalizzarsi per questa indecenza, segno che evidentemente non la ritiene tale per i suoi lettori così come, probabilmente, non lo è per buona parte degli italiani.

Tutto parte dall’iniziativa di Matteo Salvini di formare una Federazione o un consorzio o quel che l’è fra le destre italiane. In realtà l’obiettivo di Salvini è di stoppare Giorgia Meloni che lo sta superando nei sondaggi. Mai, sia detto di passata, che i nostri uomini politici si muovano per quel “bene del Paese” che hanno sempre sulla bocca; le grandi parole, le grandi iniziative mascherano quasi sempre, per non dir sempre, manovre da sottobosco, manovre “tattiche” si dice, per nobilitarle, nel loro gergo poi assunto dai giornalisti.

Si sarebbe pensato che Silvio Berlusconi sarebbe stato contrario a un partito unico, o a qualcosa che gli assomiglia molto, perché farebbe la fine che lui ha fato fare a Gianfranco Fini. In un partito dove c’è un personaggio di gran lunga dominante per voti chi ne entra ne viene fatalmente fagocitato e perde ogni rilevanza. Fu così per Fini nei confronti di Berlusconi, così sarebbe per Berlusconi nei confronti di Salvini. Il prezzo che Berlusconi pagherebbe per questa mossa che lo cancellerebbe come partito (da qui le forti resistenze di molti importanti membri di Forza Italia) è un ‘patto di ferro’ fra le destre che lo porterebbe al Quirinale. E la cosa può riuscire perché Giorgia Meloni, pur essendo il vero obiettivo della mossa di Salvini, ha comunque già dichiarato: “Non mi metterei mai contro la candidatura di Berlusconi al Quirinale”. I voti quindi ci sono o potrebbero esserci andando a pescare i 50 che mancano, convincendoli, offrendogli, o anche all’occorrenza pagandoli, cosa non certo nuova per Forza Italia (caso De Gregorio), fra ex grillini, già adusi a ogni tradimento, renziani o ex renziani e peones vari della Camera e del Senato.

Berlusconi è stato condannato in via definitiva a quattro anni, poi ridotti, via condono, a uno e mezzo, scontato nel modo ridicolo che sappiamo, per una colossale evasione fiscale. Berlusconi, con la sua coorte di avvocati, è ricorso alla Corte Europea dei diritti dell’uomo lamentando che nel processo sarebbero stati lesi i suoi diritti. Strasburgo ha inviato otto quesiti al Governo italiano perché verifichi queste circostanze. Strasburgo si è rivolta all’indirizzo sbagliato, perché il Governo è un organo politico che non può entrare in alcun modo nelle decisioni della Magistratura a meno di non violare anche, oltre a tutto il resto, quella separazione dei Poteri, esecutivo, legislativo, giudiziario, che è il cardine di ogni Democrazia. I quesiti vanno rivolti a un organo giudiziario, in questo caso la Cassazione, che non potrà che respingerli, per la lapalissiana ragione che il suo ruolo è proprio la verifica di legittimità.

Berlusconi ha usufruito di nove prescrizioni e in tre casi la Cassazione ha accertato che i reati che gli venivano attribuiti li aveva effettivamente commessi ma era passato il tempo utile per sanzionarli. Berlusconi ha tre processi in corso per corruzione di testimoni, reato in cui sembra essere specializzato. Certo si potrebbe aggirare l’ostacolo varando in tutta fretta una legge ‘alla Putin’ per cui il Capo dello Stato è sottratto ai processi per tutto il tempo del suo mandato e anche oltre, magari almeno fino a quando l’ex Cavaliere avrà compiuto gli agognati 120 anni.

Una recente sentenza della Magistratura mi ha assolto dal reato di diffamazione ai danni di Berlusconi, che aveva proposto azione civile contro di me, affermando che sulla base della straordinaria carriera giudiziaria, chiamiamola così, dell’ex Cavaliere, era lecito definirlo “delinquente naturale, pregiudicato, un uomo nefasto, terrorista, corruttore di magistrati, colossale evasore fiscale, specialista nella compravendita di parlamentari a suon di milioni di euro”.

Inoltre questa sentenza ne ribadisce un’altra della Corte di Appello di Roma, quella del 2/5/2008, sempre di assoluzione, a riguardo di Berlusconi e Previti, avendo io raccontato che i due, in combutta fra di loro, avevano truffato, per miliardi, Anna Maria Casati Stampa, minorenne, orfana di entrambi i genitori, morti in circostanze tragiche. Quella sentenza diceva testualmente che ciò che aveva raccontato il coraggioso giornalista Giovanni Ruggeri nel libro Gli affari del Presidente, e in seguito da me raccolto, si basava “sulla sostanziale veridicità putativa dei fatti”. Ora si può capire, anche se in nessun modo giustificare, l’imprenditore che corrompe la guardia di Finanza, corrompe i testimoni, corrompe i magistrati, ma essere l’artefice di una truffa miliardaria ai danni di un’orfana minorenne, di una persona inerme e totalmente indifesa, dà l’esatta misura della statura morale dell’uomo.

Ce ne dovrebbe essere abbastanza per escludere che un soggetto del genere possa diventare Presidente della Repubblica Italiana. Totalmente in subordine ci sono poi dei corollari, comunque gravi, che rendono Silvio Berlusconi inadatto a ricoprire quel ruolo. Il Presidente della Repubblica rappresenta l’Italia anche all’estero. Berlusconi ha al suo attivo una serie di memorabili gaffe commesse in sedi internazionali, coprendoci di ridicolo. La più clamorosa è quella ai danni del capo della Spd Martin Schulz definito, in pieno Parlamento europeo, “un kapò”. Io mi trovavo in Corsica in quel momento. La cosa era così grottesca che persino Corse Matin, che si occupa abitualmente di itinerari turistici, di Festival estivi, di corse di cavalli, di pétanque, sentì il bisogno di sbattere la notizia in prima pagina. I miei amici corsi mi guardavano e ridevano. Poi ci sono state le corna fatte alle spalle di un ministro spagnolo durante un convegno internazionale. In altra occasione alle spalle di Putin e Obama ne prende le teste e tenta di avvicinarle come a dire che solo lui, il “Superuomo Silvio”, può far fare pace agli eterni nemici. Una cosa da asilo infantile o più precisamente da oratorio dei salesiani dove Berlusconi giocava, malissimo, a calcio.

Il Presidente della Repubblica ha importanti e pesanti impegni a livello internazionale. Come potrebbe onorarli uno che attualmente sta sotto una tenda a ossigeno, o qualcosa di similare, comparendo solo saltuariamente su Skype?

“Berlusconi for President”. Una cosa così grottesca non sarebbe possibile in nessun altro paese al mondo, occidentale, non occidentale, democratico, totalitario. Da noi invece tutto questo passa sotto il segno dell’indifferenza. Ma sì, cosa vuoi che sia, lascia perdere, pensa alla salute, tira a campà.

Giorgio Gaber cantava nel 2003 “Io non mi sento italiano”. Oggi molto probabilmente direbbe: “io mi vergogno di essere italiano”.

Il Fatto Quotidiano, 11 giugno 2021

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“Io che avevo ormai perduto / tutte quante le speranze / non credevo nei miei occhi / quando sei venuta tu / hai saputo dar la mano a chi / non credeva più a nessuno / tutto hai dato senza chiedere / per un uomo come me” (Vita mia, Tony Del Monaco).

Tony Del Monaco, oggi dimenticato, è stato, con la sua voce dal timbro molto potente, un notevole cantante nei Sessanta. Vita mia, che presentò nello spettacolo televisivo ‘Campioni a Campione’, lo consacrò al grande successo. Ma non intendo qui fare una biografia di Del Monaco, semplicemente estrapolare da questa canzone un breve verso,  quando dice: tu hai dato tutto “per un uomo come me” cioè lui si sente una nullità, inferiore a lei. Nelle canzoni al femminile, parlando ovviamente in linea generale, un atteggiamento del genere non c’è, lei si dispera per un amore finito, diventa una furia per un tradimento, ha nostalgia di un uomo del suo passato che l’ha lasciata e pensa che lasciandola ha perso l’occasione della sua vita. Non si sente affatto di “essere da meno”, per dirla con Jannacci.

La verità è che, non solo nelle canzoni ma nella vita reale, l’uomo si sente inferiore alla donna anche se non è disposto ad ammetterlo a nessun costo. Lo scrittore D. H. Lawrence, finissimo conoscitore dei rapporti fra i sessi (Donne innamorate, L’arcobaleno, Figli e amanti oltre al celeberrimo L’amante di Lady Chatterley) lo dice nel modo più esemplare e chiaro: “Quasi tutti gli uomini, nel momento stesso in cui impongono i loro egoistici diritti di maschi padroni, tacitamente accettano il fatto della superiorità della donna come apportatrice di vita. Tacitamente credono nel culto di ciò che è femminile. E per quanto possano reagire contro questa credenza, detestando le loro donne, ricorrendo alle prostitute, all’alcol e a qualsiasi altra cosa, in ribellione contro questo grande dogma ignominioso della sacra superiorità della donna, pure non fanno ancor sempre che profanare il dio della loro vera fede. Profanando la donna essi continuano, per quanto negativamente, a concederle il loro culto.” (La verga d’Aronne).

Nella grande storia antropologica del genere umano la protagonista è la femmina, perché è lei che dà la vita, il maschio è solo un fuco transeunte (l’invidia del pene è una sciocchezza freudiana). Nella tradizione kabbalistica, e peraltro anche in Platone, l’Essere primigenio è androgino. Con la Caduta si scinde in due: la donna, che viene definita “la vita” o “la vivente”, e l’uomo che è colui che “è escluso dall’Albero della Vita”. Ciò che in definitiva, e nonostante tutto, spinge l’uomo verso la donna è la nostalgia della vita. Nel linguaggio degli innamorati lui le dice “tu sei la mia vita” (come nella canzone di Del Monaco), lei invece lo chiama amore, tesoro, gioia, cucciolo e con ogni altra sorta di vezzeggiativi, ma quasi mai gli dice “Tu sei la mia vita”. Perché la vita è lei.

Ad aggravare la situazione c’è che, per ragioni antropologiche poi divenute culturali, è l’uomo ad essere dalla parte della domanda. Per quanto facciano i bulli i maschi non sono sempre pronti al rapporto sessuale. Nemmeno lei lo è, ovviamente. Ma la défaillances di lui è decisiva. Per questo l’uomo può fare la sua ‘avance’ solo quando si sente veramente pronto, ponendosi così,  per la gioia di quelle del MeToo, nella posizione debole della domanda.

La reazione a questo inconfessato ‘inferiority  complex’ è la violenza. Esemplare, in questo senso, è lo stupro. Con la facilità, almeno apparente, che c’è oggi nei rapporti fra uomini e donne non c’è alcun bisogno di ricorrere allo stupro per soddisfare il proprio bisogno sessuale. La ragione dello stupro non è sessuale, è psicologica: si vuole umiliare, dominare, distruggere l’odiato nemico di sempre (“L’amore? L’eterno odio tra i sessi.” scrive Nietzsche).

Sulla parità dei diritti tra uomo e donna non si discute. Ma a me pare che oggi, raggiunta bene o male questa parità, la donna approfitti un po’ troppo di questa sua posizione di forza mascherata da fragilità “Lacrime (femminili) Irresistibili. Disarmanti. Eterno e impareggiabile strumento di seduzione, d’inganno e di ricatto che la donna utilizza a piene mani, se si può dir così, sfruttando la propria emotività che con fragilità fa solo rima. Insincere anche quando sono autentiche. Bisognerebbe estrarre la pistola al primo singhiozzo. Invece ci si arrende senza condizioni.” (Di[zion]ario erotico, 2000).

Il Fatto Quotidiano, 8 giugno 2021

"L'amore? Un disturbo psicosomatico inventato dalla Natura per avvicinare due sessi altrimenti incompatibili" (m.f.)

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Enrico Letta, segretario del Pd, ha proposto, alcuni giorni fa, di alzare al 20% la tassa di successione per i redditi che superino i cinque milioni di euro, e solo sull’eccedenza. Il ricavato, secondo Letta, sarebbe sufficiente per dare una “dote” di 10.000 euro alla metà dei 560.000 ragazzi che ogni anno compiono i fatidici 18.

Finalmente un segretario del Pd ha detto qualcosa “di sinistra”. Si sono opposti quasi tutti, a cominciare da una buona metà del suo partito argomentando che non è il caso di proporre nuove tasse in periodo elettorale. A parte che l’Italia è sempre, per una ragione o per l’altra, in periodo elettorale o preelettorale, l’argomentazione è risibile perché è una tassa che colpirebbe solo l’1% della popolazione e soggetti che certamente non votano Pd. Per le destre, Lega, Fratelli d’Italia, Forza Italia, ogni tentativo, sia pur minimo, di una ridistribuzione sociale della ricchezza, si tratti di tassa sull’eredità o di patrimoniale, è come l’apparizione stessa di Belzebù, come un “esproprio proletario” dei tempi di Lotta Continua. In quanto al premier, Mario Draghi, ha affermato che un provvedimento del genere va inserito nel più generale riordino del sistema fiscale italiano che è la classica “fuga in avanti” per annullare qualsiasi iniziativa poco gradita tante volte usata dai nostri politici di professione. Del resto da un banchiere di professione non ci si può certo attendere un occhio di attenzione per le classi più disagiate come del resto mi pare venga fuori dal intricatissimo piano di riforme presentato nei giorni scorsi all’Ue in cui è pressoché certo che, a parte la sacrosanta abolizione della incomprensibile norma che concede l’appalto all’azienda che fa il massimo ribasso e non a quella che offre le garanzie migliori, sarà dato il via libera a tutti i famelici e assatanati fautori di “mega opere” compreso l’inutilissimo e ambientalmente devastante Ponte di Messina.

In tutti i principali Paesi occidentali la tassa di successione è molto più alta che in Italia (dove l’aliquota è attualmente al 4%): in Francia varia tra il 5 e il 60%, in Germania la massima è del 30%, negli Stati Uniti e in Gran Bretagna del 40.

Del resto la tassa di successione è perfettamente coerente col pensiero liberista che vuole un’uguaglianza, almeno teorica, sulla linea di partenza (mentre su quella d’arrivo vince il più bravo, ma anche qui non senza dei limiti perché sia Adam Smith che David Ricardo sono contrari al monopolio e agli oligopoli perché violano un altro dei cardini della dottrina liberista, quello della libera concorrenza). Sul versante opposto di questa posizione liberista c’è l’umanissimo desiderio di lasciare i frutti del lavoro di una vita ai propri figli. Ma questo riguarda le persone normali, le eredità, diciamo così, normali, non certamente quelle enormi che al contrario pongono dei problemi ai discendenti. Perché se ci si ritrova ad avere, senza alcun merito personale, una montagna di soldi, poi non si sa più che cosa fare della propria vita. I suicidi di Edoardo Agnelli e di Christina Onassis dovrebbero aver insegnato qualcosa.

Ma la proposta di Letta, che certamente non risolverà la questione, è importante perché segnala un fenomeno in atto da almeno cinquant’anni in Occidente: i ricchi diventano sempre più ricchi, e anche un pochino più numerosi, mentre i poveri diventano sempre più poveri e molto più numerosi finendo così per assottigliare il ceto medio che è il collante necessario di ogni società perché rende meno evidente il divario fra le classi sociali. E questa divaricazione non ha fatto altro che aumentare. Ne La Ragione aveva Torto? (1985), che fotografa la situazione dell’Italia degli anni ‘80, scrivevo: “Il decile più ricco, cioè il 10% che sta alla sommità della piramide sociale, ha il 29,9% del reddito complessivo rispetto al 2,4% del decile più povero, i ricchi cioè hanno un reddito che è 12,5 volte quello dei più poveri”. Ma il dato più sconcertante lo si ha se si mettono a raffronto le ricchezze invece dei redditi. Nell’Italia degli anni Ottanta il 6,7% delle famiglie deteneva il 42% della ricchezza totale e il 15,8% si spartiva il restante 66%. Per contro il 47,8%, cioè quasi la metà della popolazione, aveva lo 0,8%. Da allora la situazione in Italia, ma il problema è mondiale, non ha fatto che peggiorare. Secondo un rapporto della Banca d’Italia del 2018 “Nel decennio tra il 2006 e il 2016, i due decili più bassi della ricchezza netta sono passati, rispettivamente, da 2.300 a 1.100 euro e da 12.000 a 6.200”. Ma oggi assistiamo, ammirati ma anche spaventati, all’accumularsi di ricchezze (Bezos, Musk, Zuckerberg) che non erano pensabili non dico in era preindustriale, ma fino a una decina di anni fa. Oggi il normale cittadino, lo “schiavo salariato” come lo chiama Nietzsche, è più lontano da Bezos, come ricchezza ma anche come status sociale, di quanto lo fosse il contadino della società preindustriale rispetto al più ricco dei feudatari o forse allo stesso re. Bisogna allora ammettere un fatto piuttosto imbarazzante: lo sviluppo economico, industriale ma oggi soprattutto finanziario, aumenta a dismisura le diseguaglianze. È un processo che si autoalimenta e sembra ormai del tutto fuori controllo.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 5 giugno 2021

 

"Oggi chi lavora non può diventare ricco: perde troppo tempo a lavorare." (Il Ribelle dalla A alla Z)