0
0
0
s2sdefault
powered by social2s

Circola una petizione “Renzo Arbore for President”. L’iniziativa è di Fabio Canessa. Con tutta probabilità i lettori non sanno chi sia Canessa, non lo sa nemmeno Google che se gli fai la domanda recita: “E’ un giornalista, telecronista sportivo e conduttore televisivo italiano”. Cioè Google conosce Fabio Caressa, uno dei più volgari telecronisti sportivi, ma ignora Fabio Canessa. E anche questo è un segno dei tempi.

Canessa è un poligrafo, è curioso di tutto, sa in profondità di letteratura, arte, musica e ne scrive benissimo. Avrebbe potuto lavorare nella sezione culturale di qualsiasi grande giornale. E invece preferisce fare il professore di liceo (per molti anni a Piombino). Fa parte della razza di quegli intellettuali di provincia che agiscono in modo carsico, emergendo ogni tanto alla superficie. Mi ricordo uno straordinario convegno su Curzio Malaparte organizzato a Nepi (cittadina del viterbese attraversata da una cascata che ispirò Corot) insieme a Maurizio Bianchini che stufo di collaborare a Repubblica, vi aveva aperto un ristorante. Di Canessa c’è anche un delizioso libretto su Azzurro, la canzone di Celentano-Conte in cui sono raccolte testimonianze di Barbara Alberti, Renzo Arbore, Dario Fo, Giulio Giorello, Filippo Martinez. Nel Teatro di Oristano ho sentito tenere da Canessa una straordinaria “lectio magistralis” sul latino.

Ma non scrivo qui per sponsorizzare Canessa, bensì Renzo Arbore. Ecco come Canessa motiva la sua petizione: “Chissà se, da ora in poi, sarà chiamato Cavaliere, come Berlusconi. Finora sul suo biglietto da visita c'era scritto: Renzo Arbore, clarinettista. Se il biglietto avesse spazio sufficiente per l'elenco completo dei suoi mestieri bisognerebbe aggiungere: disc jockey radiofonico, presentatore e showman televisivo, regista e attore cinematografico, critico jazz, rock e pop…Un artista colto e insieme popolarissimo, con due punti fermi: lo swing e l'improvvisazione…Nominarlo Cavaliere di Gran Croce è stato l’ultimo atto di Sergio Mattarella, in attesa nei prossimi giorni dell’elezione del suo sostituto, che si preannuncia confusa e contrastata da veti incrociati. L’unico nome su cui destra, sinistra e centro potrebbero convergere sarebbe proprio quello del cavalier Renzo Arbore”.

Ma “Arbore for President” più che una candidatura è uno sberleffo nei confronti della mediocrità della classe politica italiana di oggi. Mai apparsa così evidente come in questi giorni di elezioni presidenziali. Ho l’età per averle seguite quasi tutte e mai avevo visto una gazzarra così indecorosa. Circolano nomi al limite del surreale. Marcello Pera di cui si ricorda nei cinque anni in cui fu presidente del Senato solo la frase: “A casa mi piace stare in mutande”. E che cosa fa a casa uno in mutande? Ciò cui allude Lucio Dalla in una sua canzone: “Però mi sono rotto, torno a casa e mi rimetterò in mutande…mi son steso sul divano, ho chiuso un poco gli occhi, con dolcezza è partita la mia mano”. Renato Schifani. Maria Elisabetta Alberti Casellati vien dal Mare che ha moraleggiato sulle “porte girevoli” peccato che lei ne sia un preclaro esempio. Prima raccattata da Berlusconi in Forza Italia, poi passata al Csm e quindi proiettata alla presidenza del Senato. Ma anche il Re Taumaturgo Mario Draghi esce immiserito da queste elezioni, poiché è andato a pietire voti da tutti, perdendo così, come Andrea d’Inghilterra, il suo status di Altezza Reale.

Anche lo speciale di Sky è stato deludente. Non ha seguito lo spoglio delle schede, sprecando la sua bellissima conduttrice, Stefania Pinna in inutili interviste ai soliti vecchi marpioni. Ma ha perso anche il momento clou, quello in cui il presidente della Camera Roberto Fico dava il risultato finale.

E quindi bisogna ammettere che a petto di una mediocrità politica ce n’è anche una giornalistica. Non a caso Renzo Arbore nella sua vita ha fatto di tutto, mai il giornalista.

Il Fatto Quotidiano, 27 gennaio 2022

0
0
0
s2sdefault
powered by social2s

Secondo un rapporto dell’Organizzazione non profit Oxfam durante i due anni di Covid i dieci uomini più ricchi del mondo (Jeff Bezos, Elon Musk, Bernard Arnault, Bill Gates, Mark Zuckerberg, Warren Buffet, Larry Ellison, Larry Page, Sergey Brin, Steve Ballmer) hanno incrementato il loro patrimonio di 821 miliardi di dollari, per contro, sono grandemente aumentate le povertà assolute. Questi dieci personaggi detengono una ricchezza sei volte superiore al patrimonio del 40% più povero della popolazione mondiale. Ma il Covid non ha fatto che accentuare una divaricazione economica tra le diverse classi sociali che è in atto da tempo nel mondo occidentale e, adesso che la Cina ha abbracciato il nostro modello di sviluppo (il capitalismo di Stato è pur sempre un capitalismo) anche orientale.

Facciamo un passo indietro. Prendiamo le statistiche riguardanti gli Stati Uniti della metà degli anni Ottanta:  l’1% delle famiglie aveva il 6,8% del reddito nazionale, cioè più del doppio di quello che avevano, tutte insieme il 20% delle famiglie americane più povere. Il rapporto era cioè di 40 a 1. Se prendiamo le statistiche di Gregory King relative all’Inghilterra della fine del Seicento, che sono le più accurate relativamente all’epoca, un 5% della popolazione controllava il 28% del reddito, mentre alle classi più basse, che assorbivano il 62% della popolazione, toccava il 21% del reddito. Si può dire quindi che l’ultimo 5% della popolazione aveva un reddito dell’1,7% e cioè che i più ricchi vantavano un reddito 16,4 volte superiore a quello dei più poveri.  Oggi il rapporto fra i ricchissimi e i più poveri è di 40 a 1, nell’ancien régime di 16 a 1.

Naturalmente sono statistiche notevolmente approssimative perché mettono insieme Paesi diversi, come nel nostro caso Stati Uniti ed Inghilterra, ed epoche in cui la disciplina statistica era ancora agli albori e l’età di oggi in cui le statistiche, pur scontando anch’esse delle approssimazioni, sono molto più accurate e precise. Ma quella che rimane intatta è la sequenza storica  per cui le divaricazioni economiche fra le classi sociali tendono costantemente ad aumentare come scrivevo ne La Ragione aveva Torto?  del  1985: “bisogna ammettere un fatto piuttosto imbarazzante: che lo sviluppo economico ed industriale aumenta le disuguaglianze. Questo aumento non si ha solo in un primo tempo, quello dell’accumulazione del capitale, ma continua indefinitamente”.  I Bezos e gli altri paperoni che abbiamo citato all’inizio, non sono, per ora, che l’apice di questa tendenza che la globalizzazione ha contribuito ad esasperare. Oggi anche molti ricchi cinesi, che un tempo si contavano sulla punta delle dita, sono infinitamente più ricchi della maggioranza delle popolazioni occidentali e la stessa cosa si potrebbe dire per gli indiani, o per gli Emiri arabi. Insomma la globalizzazione ha realizzato una sordida perequazione verso l’alto e una perequazione ancor più sordida verso il basso.

Fin qui il paragone fra lo ieri e l’oggi è su base esclusivamente economica. Ma forse la cosa più sorprendente è che sono grandemente aumentate, rispetto alla premodernità, le distanze sociali. Il contadino era più vicino al suo feudatario, di quanto io lo sia rispetto a Bezos e i suoi simili. Il contadino viveva a stretto contatto col feudatario, io Bezos lo posso vedere solo col binocolo, è per me inavvicinabile. Ma non c’è bisogno di arrivare a Bezos bastano Fedez e i suoi simili, cioè tutta la fairy band dei cosiddetti Vip, rockstar, showman o showwoman, attori anche non necessariamente hollywoodiani, anche non necessariamente degli artisti della recitazione, che conducono una vita totalmente diversa dalla mia alla quale io non posso accedere se non come spettatore.

Certo il contadino e il nobile avevano degli status diversi, formalmente invalicabili, ma in buona parte vivevano nelle stesse condizioni. Per fare un esempio che riguarda la salute, vivere in un castello era meno salubre che vivere sui campi. Cibarsi di cacciagione tutti i giorni, come facevano i nobili, portava a malattie invalidanti (idropisia) che i contadini non avevano, ne avevano altre forse più evidenti (molti a furia di star curvi sulla terra erano stortignacoli come sa ogni buon medico condotto). Insomma, in alto o in basso che si fosse, si stava, da questo punto di vista, sulla stessa barca. I nobili non vivevano più a lungo dei poveri. Né la medicina di allora poteva fare la differenza (si pensi a Don Rodrigo). Oggi se di Covid si ammala Berlusconi può cavarsela grazie all’équipe di specialisti da cui è circondato, se mi ammalo io, che pur ho qualche anno di meno, ci resto secco.

Però una certa perequazione il Covid l’ha portata. Non conosce confini, non conosce status, di suo non fa differenze tra ricchi e poveri, colpisce a chi cojo cojo, è tendenzialmente egalitario. Azzardando un poco si potrebbe dire che è socialista.

Il Fatto Quotidiano, 25 gennaio 2022

0
0
0
s2sdefault
powered by social2s

Se il Presidente della Repubblica fosse scelto dai normali cittadini credo che verrebbe fuori un personaggio molto diverso da quello che si imporrà. Ma i cittadini comuni non hanno alcuna voce in capitolo, l’hanno i parlamentari e i Grandi Elettori che rispondono a logiche del tutto diverse da quelle dell’uomo della strada. Sono logiche di partito che poco o nulla hanno a che fare con la rispettabilità del personaggio scelto, tant’è che sono mesi che le cosiddette destre van reclamando a gran voce che il nuovo Presidente della Repubblica deve essere un personaggio che sta dalla loro parte. Il che, dal punto di vista costituzionale, è un controsenso perché il Presidente della Repubblica non può, per definizione, stare dalla parte di nessuno. Inoltre le cosiddette destre sostengono che tutti i precedenti Presidenti della Repubblica sono stati di sinistra, o quantomeno scelti dalla sinistra, e quindi adesso tocca a loro. Che i predecessori di Mattarella siano stati tutti di sinistra più che opinabile è un falso. Luigi Einaudi era un liberale, oltre che un uomo di grande levatura culturale e morale (altri tempi) che certamente non può essere confuso con la sinistra, soprattutto con il Partito Comunista egemone in quegli anni insieme alla Democrazia Cristiana. Il pisano Giovanni Gronchi, oltre che un ambiguo trafficone (lo scandalo dei “Gronchi rosa”), era di sinistra. Antonio Segni era anticomunista e tendenzialmente di destra. Giuseppe Saragat, socialdemocratico, era di sinistra ed è stato forse il nostro miglior Presidente della Repubblica se si eccettua ovviamente Luigi Einaudi. Giovanni Leone, oltre che una macchietta, era politicamente indefinibile essendo stato sostenuto da DC, PSDI, PLI e PRI. Certamente non era di sinistra. Sandro Pertini era, senza se e senza ma, un socialista. Francesco Cossiga era un golpista di destra. Oscar Luigi Scalfaro era un cattolico di destra. Carlo Azeglio Ciampi era un banchiere e in vita mia non ho mai visto un banchiere di sinistra. Giorgio Napolitano, il “migliorista”, era di una sinistra talmente tiepida da essere quasi irriconoscibile. Solo la mediocrità della classe politica attuale ha potuto rendere importante un personaggio che era stato definito “un coniglio bianco in campo bianco”. Sergio Mattarella, che a mio parere ha svolto molto bene il suo compito, con imparzialità, è stato sia di destra moderata con la DC che di sinistra moderata con il PD, ammesso che nel PD ci sia ancora qualcosa di sinistra. Tra l’altro Mattarella fu eletto soprattutto perché fratello di Piersanti Mattarella, ucciso dalla mafia. Ed è perlomeno curioso che oggi si proponga come Presidente della Repubblica chi ha avuto come braccio destro un personaggio condannato per “concorso esterno in associazione mafiosa” (Marcello Dell’Utri) e come braccio sinistro Cesare Previti (qui basta il nome). Come si vede scorrendo rapidamente l’elenco dei nostri capi di Stato è un pot-pourri in cui c’è un po’ di tutto.

Nella gran partita del Quirinale quindi noi non centriamo, siamo solo degli spettatori. Possiamo però, dagli spalti, quindi parecchio lontano dal campo di gioco, fare il tifo per questo o per quello. Mi permetterò quindi anch’io di dire la mia. Ho due preferenze in ordine di importanza. La prima è per Rosy Bindi. Preliminarmente dirò che mi ha sempre dato fastidio che in questo Paese, dove tutti si dichiarano femministi, la Bindi fosse oggetto di lazzi e scherni per la sua scarsa avvenenza. Uno dei lazzi glielo indirizzò a una trasmissione di Bruno Vespa Silvio Berlusconi che, riprendendo una battuta di Sgarbi (che ora lavora per lui come telefonista, “un grande avvenire dietro le spalle”), che disse: “Lei è più bella che intelligente”. Bindi rispose: “Comunque non sono una donna a sua disposizione”. Perché l’ex Cavaliere fra i meriti che si è attribuito su un’intera pagina pubblicata da Il Giornale, tra gli altri quello di aver posto fine alla Guerra Fredda, dovrebbe anche mettere quello di essere l’uomo più volgare d’Italia (qualcuno ricorderà, forse, quello schiocco di dita televisivo in cui faceva intendere che in quel brevissimo lasso di tempo lui stava guadagnando miliardi, umiliando tutti coloro che ogni mattina si alzano alle sette per guadagnarsi una paga da quattro soldi).

La ragione per cui sto con Bindi è la seguente. Tutti i democristiani han sempre proclamato a gran voce che la politica si fa per “spirito di servizio”. Naturalmente hanno sempre fatto l’opposto. Rosy Bindi, insieme a pochissimi altri dc, per esempio Tina Anselmi (e poi il maschilista sarei io), no. Quando ha ritenuto di non essere più utile in politica ha fatto un passo indietro, non si è presentata alle elezioni del 2018, continuando pur sempre a lavorare, ma in un altro ambito, in particolare nella lotta contro la mafia.

La seconda scelta è Pier Ferdinando Casini, l’eterno Pierferdi. È un vero moderato, a differenza di Berlusconi che adesso si dichiara tale ma, sostanzialmente, è un violento (“La moderazione non è un luogo dello spazio – cioè il posto al centro che si occupa in Parlamento, ndr – ma è un modo di essere” disse Mino Martinazzoli). Può essere quindi accettato da tutti, a destra come a sinistra. Inoltre non fa parte della gerontocrazia, pur essendoci da sempre ha solo 66 anni. Infine è ancora un bel “ragazzo” che non sfigurerebbe negli incontri di gruppo fra i vari leader internazionali.

Il Fatto Quotidiano, 20 gennaio 2022