Se il Presidente della Repubblica fosse scelto dai normali cittadini credo che verrebbe fuori un personaggio molto diverso da quello che si imporrà. Ma i cittadini comuni non hanno alcuna voce in capitolo, l’hanno i parlamentari e i Grandi Elettori che rispondono a logiche del tutto diverse da quelle dell’uomo della strada. Sono logiche di partito che poco o nulla hanno a che fare con la rispettabilità del personaggio scelto, tant’è che sono mesi che le cosiddette destre van reclamando a gran voce che il nuovo Presidente della Repubblica deve essere un personaggio che sta dalla loro parte. Il che, dal punto di vista costituzionale, è un controsenso perché il Presidente della Repubblica non può, per definizione, stare dalla parte di nessuno. Inoltre le cosiddette destre sostengono che tutti i precedenti Presidenti della Repubblica sono stati di sinistra, o quantomeno scelti dalla sinistra, e quindi adesso tocca a loro. Che i predecessori di Mattarella siano stati tutti di sinistra più che opinabile è un falso. Luigi Einaudi era un liberale, oltre che un uomo di grande levatura culturale e morale (altri tempi) che certamente non può essere confuso con la sinistra, soprattutto con il Partito Comunista egemone in quegli anni insieme alla Democrazia Cristiana. Il pisano Giovanni Gronchi, oltre che un ambiguo trafficone (lo scandalo dei “Gronchi rosa”), era di sinistra. Antonio Segni era anticomunista e tendenzialmente di destra. Giuseppe Saragat, socialdemocratico, era di sinistra ed è stato forse il nostro miglior Presidente della Repubblica se si eccettua ovviamente Luigi Einaudi. Giovanni Leone, oltre che una macchietta, era politicamente indefinibile essendo stato sostenuto da DC, PSDI, PLI e PRI. Certamente non era di sinistra. Sandro Pertini era, senza se e senza ma, un socialista. Francesco Cossiga era un golpista di destra. Oscar Luigi Scalfaro era un cattolico di destra. Carlo Azeglio Ciampi era un banchiere e in vita mia non ho mai visto un banchiere di sinistra. Giorgio Napolitano, il “migliorista”, era di una sinistra talmente tiepida da essere quasi irriconoscibile. Solo la mediocrità della classe politica attuale ha potuto rendere importante un personaggio che era stato definito “un coniglio bianco in campo bianco”. Sergio Mattarella, che a mio parere ha svolto molto bene il suo compito, con imparzialità, è stato sia di destra moderata con la DC che di sinistra moderata con il PD, ammesso che nel PD ci sia ancora qualcosa di sinistra. Tra l’altro Mattarella fu eletto soprattutto perché fratello di Piersanti Mattarella, ucciso dalla mafia. Ed è perlomeno curioso che oggi si proponga come Presidente della Repubblica chi ha avuto come braccio destro un personaggio condannato per “concorso esterno in associazione mafiosa” (Marcello Dell’Utri) e come braccio sinistro Cesare Previti (qui basta il nome). Come si vede scorrendo rapidamente l’elenco dei nostri capi di Stato è un pot-pourri in cui c’è un po’ di tutto.
Nella gran partita del Quirinale quindi noi non centriamo, siamo solo degli spettatori. Possiamo però, dagli spalti, quindi parecchio lontano dal campo di gioco, fare il tifo per questo o per quello. Mi permetterò quindi anch’io di dire la mia. Ho due preferenze in ordine di importanza. La prima è per Rosy Bindi. Preliminarmente dirò che mi ha sempre dato fastidio che in questo Paese, dove tutti si dichiarano femministi, la Bindi fosse oggetto di lazzi e scherni per la sua scarsa avvenenza. Uno dei lazzi glielo indirizzò a una trasmissione di Bruno Vespa Silvio Berlusconi che, riprendendo una battuta di Sgarbi (che ora lavora per lui come telefonista, “un grande avvenire dietro le spalle”), che disse: “Lei è più bella che intelligente”. Bindi rispose: “Comunque non sono una donna a sua disposizione”. Perché l’ex Cavaliere fra i meriti che si è attribuito su un’intera pagina pubblicata da Il Giornale, tra gli altri quello di aver posto fine alla Guerra Fredda, dovrebbe anche mettere quello di essere l’uomo più volgare d’Italia (qualcuno ricorderà, forse, quello schiocco di dita televisivo in cui faceva intendere che in quel brevissimo lasso di tempo lui stava guadagnando miliardi, umiliando tutti coloro che ogni mattina si alzano alle sette per guadagnarsi una paga da quattro soldi).
La ragione per cui sto con Bindi è la seguente. Tutti i democristiani han sempre proclamato a gran voce che la politica si fa per “spirito di servizio”. Naturalmente hanno sempre fatto l’opposto. Rosy Bindi, insieme a pochissimi altri dc, per esempio Tina Anselmi (e poi il maschilista sarei io), no. Quando ha ritenuto di non essere più utile in politica ha fatto un passo indietro, non si è presentata alle elezioni del 2018, continuando pur sempre a lavorare, ma in un altro ambito, in particolare nella lotta contro la mafia.
La seconda scelta è Pier Ferdinando Casini, l’eterno Pierferdi. È un vero moderato, a differenza di Berlusconi che adesso si dichiara tale ma, sostanzialmente, è un violento (“La moderazione non è un luogo dello spazio – cioè il posto al centro che si occupa in Parlamento, ndr – ma è un modo di essere” disse Mino Martinazzoli). Può essere quindi accettato da tutti, a destra come a sinistra. Inoltre non fa parte della gerontocrazia, pur essendoci da sempre ha solo 66 anni. Infine è ancora un bel “ragazzo” che non sfigurerebbe negli incontri di gruppo fra i vari leader internazionali.
Il Fatto Quotidiano, 20 gennaio 2022
La morte di Silvia Tortora ha riportato alla memoria la drammatica vicenda di suo padre Enzo, il famosissimo presentatore di Portobello, arrestato all’hotel Plaza di Roma (17 giugno 1983), esibito in manette, condannato e alla fine, dopo tre anni di penoso calvario, assolto dall’accusa di essere un camorrista.
Sono stato il primo a difendere Tortora (non Biagi, non Bocca che arrivarono molto dopo, dimenticanza, veniale, in cui incorre anche l’amico Verdelli), con un articolo pubblicato sul Giorno solo sette giorni dopo l’arresto e che titolai: “Io vado a sedermi accanto a Tortora” (lo si può ritrovare nel mio libro Il conformista pag. 121-124). Ovviamente in quel momento non potevo sapere se Tortora fosse colpevole o innocente. Diversi sono i motivi che mi spinsero a scrivere quell’articolo che poteva apparire azzardato. Il primo è il disgusto. Disgusto per il linciaggio che si scatenò immediatamente contro il presentatore da parte dell’opinione pubblica e di molti media. C’era in questo linciaggio la meschina e piccina soddisfazione di far pagare in un colpo solo a un personaggio famoso la sua popolarità. Era accaduto una decina di anni prima anche ad Alain Delon. A sfavore di Tortora giocava anche il fatto che in quegli anni di orgiasmo sinistrorso, quando quasi tutti gli intellettuali e quasi tutti gli artisti erano di sinistra, lui si permetteva di essere un uomo di destra (ma io direi piuttosto un autentico liberale). Il secondo è personale. Conoscevo Tortora dal 1971 quando seguivamo entrambi, da sponde opposte, lui per il Resto del Carlino, io per l’Avanti!, il processo ai sei ragazzi anarchici accusati per le bombe del 25 aprile 1969 alla Fiera di Milano. Io ero innocentista, lui colpevolista. E ci fu anche in quel caso una sorta di linciaggio. Il pubblico era tutto di anarchici e qualcuno più scalmanato degli altri tentò di aggredirlo. Fu salvato a stento dalla polizia. Il giorno dopo quell’episodio in sala stampa nessuno dei colleghi osava avvicinarglisi, come fosse un appestato (era questo il vero linciaggio). Tortora, pallidissimo, se ne stava isolato. Mi alzai e, fra lo stupore dei miei amici anarchici e dei colleghi, andai a sedermi accanto a Tortora, mi presentai perché non gli avevo fin lì mai rivolto la parola, gli diedi la mano e cominciai a chiacchierare con lui. Fu l’abbozzo di quella che sarebbe diventata in seguito un’amicizia. Tortora era un uomo colto, elitario e anche un po’ sprezzante, con una radicata vocazione all’indipendenza. E a me sembrava impossibile già allora in quel giugno del 1983 che un simile uomo, che non si sarebbe iscritto nemmeno ad una bocciofila, avesse potuto aderire a un’organizzazione come la camorra dove uno, in cambio di protezione, rinuncia alla propria indipendenza, alla propria anima, a se stesso.
Il terzo motivo è strettamente giuridico. Quasi subito venne fuori che Tortora era accusato sulla base di dichiarazioni di “pentiti” che si riferivano a dichiarazioni di altri pentiti, insomma “de relato” come si dice in gergo giuridico. Erano gli effetti perversi delle leggi sui “collaboratori di giustizia” volute nel 1982 dal governo per combattere i terroristi ma che si sarebbero rivelate una mina pericolosissima perché, come denunciai in un articolo sul Giorno del 2 dicembre 1981 (“Sono contro il condono ai pentiti”), da allora sarebbe bastata la parola di un mascalzone, purché mascalzone, per far finire in galera un innocente. È quanto avvenuto puntualmente nel caso Tortora, che però è solo il più famoso ma ha distrutto la vita anche di molti altri innocenti.
Nei periodi di libertà provvisoria fui più volte ospite a cena, in via Piatti 8, nella casa di Tortora che mi era grato per quel mio intervento. Conobbi così la sua compagna, Francesca Scopelliti, la sorella Anna, autrice, fra le altre cose, di Portobello e strettissima collaboratrice del presentatore e il marito di lei, il dottor Carozza. In quelle occasioni Enzo Tortora riusciva a conservare il suo aplomb ma si sentiva che era un uomo profondamente scosso. E non per nulla fece appena in tempo, una volta risultato innocente, a riprendere Portobello, che morì di tumore nel 1988. Oserei dire che fu un tumore psicosomatico.
Mi ricordo che Anna Tortora, che morirà anch’essa di tumore ma molti anni dopo, si infuriava quando nell’ambito delle inchieste di Mani Pulite i corruttori e i corrotti si permettevano di paragonare, strumentalmente, le loro vicende a quella di suo fratello. Perché nel caso degli inquisiti di Mani Pulite le accuse non si basavano su dichiarazioni di “pentiti”, ma su carte, documenti bancari, confessioni. Questo lo dico a pro di coloro che, di destra o di sinistra che siano, si sono scoperti “garantisti” solo quando sott’inchiesta sono finiti i politici, ma che a suo tempo non hanno difeso né Tortora, né Valpreda, né Naria, né tanti altri stracci che han fatto anni di carcere da innocenti. È il famoso “garantismo a targhe alterne”.
Il Fatto Quotidiano, 18 gennaio 2022
Se Draghi va al Quirinale noi usciamo dall’attuale maggioranza, cade il governo e si va ad elezioni anticipate. Questo è il senso della manovra attribuita, e men che meno smentita, a Silvio Berlusconi. Che si vada ad elezioni anticipate, per chiarire una situazione confusissima, è ciò che anche noi ci siamo augurati nell’articolo scritto per il Fatto l’11 gennaio, ma l’intento dell’ex Cavaliere è tutt’altro. Non ci vuole un genio per capire che Berlusconi vuole che Mario Draghi resti premier in modo che non gli faccia ombra nella corsa verso il Quirinale in cui è decisissimo a competere e non da figurante. È perlomeno un anno che l’uomo di Arcore e ora anche di Villa Grande lavora per questo obiettivo. Fa il moderato, l’europeista, cerca di tenere buoni rapporti anche con i partiti che gli sono tradizionalmente più avversi, il Pd e persino i 5 Stelle cui ha graziosamente concesso che il reddito di cittadinanza, prima sputacchiato, oltre che da lui, da tutti i suoi media, non è poi una così cattiva cosa. Sono convinto che sarebbe addirittura disposto ad un abbraccio con quella Magistratura cui è sempre stato, per comprensibili motivi, ferocemente avverso (dalla Spagna definì nientemeno che “criminale” la Sentenza che lo condannava per una colossale frode fiscale). Insomma cerca di accreditarsi in tutti i modi come “pacificatore” e “uomo super partes” che è il ruolo che la Costituzione affida al Presidente della Repubblica.
La sorprendente uscita di Berlusconi è passata fra la sostanziale indifferenza dei media e della classe politica o è stata avversata in termini così flebili da avvalorarla. Enrico Letta, l’unico, mi pare, che abbia alzato un laio ha affermato che Berlusconi non può fare il Presidente della Repubblica perché è il capo di un partito politico ed è quindi un uomo divisivo. “Divisivo” Silvio Berlusconi lo è da un quarto di secolo, cioè da quando nel 1994 entrò in politica. Ma non è questo il vero ostacolo alla sua candidatura come Presidente della Repubblica italiana. Si tratta di un uomo che è stato condannato in via definitiva per un’evasione fiscale di 7 milioni di euro che non è che una minima parte di quella che è finita sotto la mannaia delle prescrizioni, degli indulti, delle leggi ad personam. Di un uomo che ha goduto di nove prescrizioni in tre delle quali la Cassazione ha accertato che i reati che gli erano attribuiti li aveva effettivamente commessi. Di un uomo che ha tre processi in corso per corruzione. Di un uomo di cui è stato accertato, attraverso due sentenze, quella del 2.5.2008 che assolveva Giovanni Ruggeri autore del libro “Berlusconi. Gli affari del Presidente”, l’Espresso e il sottoscritto e quella del Tribunale di Roma del 21.4.2021 che riguarda me solo, che in combutta con l’avvocato Cesare Previti aveva truffato per miliardi una minorenne, orfana di entrambi i genitori periti in circostanze tragiche.
Se l’elezione del Presidente della Repubblica fosse diretta espressione dei cittadini di questo Paese dubito molto che, nonostante il generale abbassamento etico della nostra popolazione, Silvio Berlusconi avrebbe una qualche possibilità di salire alla più alta carica dello Stato. Che ne penserebbe, poniamo, un cittadino che per tutta la vita ha pagato le tasse (esistono anche di questi imbecilli) e che viene inseguito senza pietà dall’Agenzia delle entrate per un banale disguido amministrativo o per una multa stradale? Che ne penserebbero i cittadini della moralità di un uomo che ha truffato un’orfana minorenne che è come picchiare per strada un bambino? Non voglio credere che siamo scesi così in basso da accettare che si picchino i bambini per strada.
Personalmente ho difeso Berlusconi sulla questione, troppo spesso strombazzata, delle cosiddette “feste eleganti”, perché il Presidente del consiglio, come qualsiasi altro cittadino, in casa sua ha diritto di fare ciò che più gli pare e piace, sempre che non vi commetta reati. E l’ho difeso anche nella vicenda di “Ruby rubacuori” perché oggi molto spesso una ragazza di 17 anni è minorenne solo per l’anagrafe. Quello che conta non è la moralità privata di un aspirante alla Presidenza della Repubblica, ma quella pubblica quando si è messa in contrasto con le leggi dello Stato italiano.
Ci sono poi da notare, per incidence e in subordine, altre cose. In quasi tutti i casi giudiziari che lo hanno riguardato Berlusconi quasi mai si è difeso solo nel processo (come hanno invece fatto Andreotti e Forlani) ma più spesso fuori dal processo dimostrando di non credere affatto alle Istituzioni dello Stato, in particolare alla Magistratura che ne è la garante. Per questo in uno dei miei articoli ho osato azzardare, venendone assolto, un paragone con Renato Vallanzasca. Vallanzasca non ha mai contestato il potere e il diritto dello Stato a punirlo per i suoi delitti, Berlusconi, in linea generale, si è comportato nel modo opposto. Insomma ha contestato quelle Istituzioni di cui pretende di diventare il massimo rappresentante e in particolare la Magistratura di cui, attraverso il Csm, diverrebbe paradossalmente il Capo.
Sempre in via subordinata. Il Presidente della Repubblica rappresenta l’Italia all’estero e Berlusconi nel periodo in cui è stato premier ci ha esposto a memorabili gaffe internazionali che qui è inutile ricordare. Il Presidente della Repubblica ha impegni assai gravosi, molti dei quali all’estero. In che modo Silvio Berlusconi, che ha 85 anni e ha subìto tre gravi operazioni, potrebbe onorarli? Una cosa è tenere un meeting tra i suoi e i suoi amici a Villa Grande, altra è viaggiare per l’intera Europa e magari oltreoceano.
Sulla strada di “Berlusconi for President” ci sono però alcuni ostacoli. Deve ottenere l’appoggio incondizionato dei suoi alleati, Lega e Fratelli d’Italia, perché l’uscita dal governo della sola Forza Italia, che attualmente è attestata al 7%, non è in grado di far cadere l’Esecutivo. Sarebbe disponibile l’intera Destra a coprirsi di fango, perché di questo si tratta, per il solo beneficio di un suo esponente di minoranza? Inoltre la caduta del governo comporterebbe la perdita della poltrona, e degli annessi privilegi, per moltissimi parlamentari in virtù della legge, voluta dai Cinque Stelle, che ne ha diminuito il numero.
Eppure Silvio Berlusconi a questo suo sogno ci crede e ci lavora con quell’incredibile energia che è forse la sua migliore dote e che nessuno onestamente può negargli. Non per nulla in questi giorni, sia in prima persona sia attraverso i suoi uomini più fidati, sta facendo scouting, nel Gruppo Misto, tra i Grandi Elettori e ovunque ne veda una qualsiasi possibilità.
Personalmente sono diviso fra due opposte opzioni. La prima è che l’incubo “Berlusconi for President” non si avveri, per il bene dell’Italia. La seconda è che si avveri perché disveli al mondo intero, e in particolare all’Europa, che cos’è diventato realmente il nostro Paese.
Il Fatto Quotidiano, 13 gennaio 2022