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Canto notturno di un pastore errante dell’Asia ( Giacomo Leopardi )

Nel libro: “Sbagliando non si impara” la psicologa Sara Garofalo scrive tra l’altro che “siamo bombardati di informazioni che il nostro cervello non può controllare”. Questa mancanza di controllo è in realtà un meccanismo di difesa che si rifà al principio dell’ “utilità marginale” che ti insegnano al secondo anno di Economia: il primo cucchiaio di minestra ti salva dalla fame, il secondo pure, il terzo ti fa star bene, il quarto anche, il centesimo ti uccide. 

L’eccesso di informazioni finisce per uccidere l’informazione. Siamo come un Tantalo bulimico cui basterebbero pochi sorsi d’acqua per esaudire la sua sete, ma che messo davanti a un lago lo beve tutto e ne muore. Pubblicità, televisioni, radio, stampa, facebook, film, libri ( solo in Italia se ne pubblicano circa 80.000 l’anno) ci inondano di offerte, a volte anche di buon livello, ma noi finiamo per non ritenerne nulla. Ho amici abbonati a Netflix, un’orgia di film. Ma se gli chiedi chi è il regista di quel film, di cui ti hanno appena detto meraviglie, non lo sanno. La trama la confondono con quella di altri film visti, più o meno contemporaneamente o in un passato recente. Si ricordano gli attori, questo sì.

Ma questo rigetto della memoria del presente si ripercuote su quella del passato. Giulia Soncini ha notato lo straordinario declassamento culturale avvenuto nel nostro Paese, ma credo che la cosa riguardi l’intero Occidente che ha demonizzato le tradizioni a favore dell’ “innovazione” ( che cosa ci sia poi ancora da “innovare” non è facile capire ). Internet poi non aiuta o, per essere più precisi, aiuta anche troppo. Tu vuoi sapere qualcosa di un autore di cui hai vagamente sentito dire, clicchi su Wikipedia e hai dieci righe di spiega, ma è un’informazione totalmente superficiale. Vuoi sapere di Albert Camus? Non solo non bastano le brevi di Internet ma nemmeno conoscere le sue opere ( Lo straniero, La chute, poniamo ) ma bisogna aver letto prima Rimbaud, Baudelaire, Lautréamont, si deve cioè fare un percorso faticoso. Ma il mondo attuale è indotto a rifiutare qualsiasi fatica che non sia legata al nostro lavoro di “schiavi salariati”. La superficialità, è quasi tautologico dirlo, uccide la creatività. Il grande romanzo ottocentesco legato a una borghesia in ascesa, è scomparso insieme a questa stessa borghesia, sostituita da un’informe classe media senza idee e senza ideali. Nel Novecento però il romanzo è stato sostituito da grandi film più facili da assorbire perché, per quanto profondi, sono pur sempre “visivi”, mentre la lettura, anche quando è affascinante, vuole uno sforzo maggiore. Ma l’ultimo grande film: “Blade Runner” è di trent’anni fa. Poi abbiamo avuto solo degli spiccioli, a volte anche gradevoli, ma solo spiccioli.

Forse il mezzo migliore nel campo dell’informazione è la radio, perché vuole attenzione da parte di chi parla e di chi ascolta, mentre anche uno scimmione può schiacciare un bottone e vedere un’immagine. Ma dopo l’avvento della Tv la radio è retrocessa a media minore, tanto che i partiti pur non rinunciando ad occuparla, di fatto se ne disinteressano. 

L’arte è ferma a Duchamp, alla sua geniale intuizione, quando mettendo una bicicletta sul podio disse: “questa è un’opera d’arte per la sola intenzione dell’artista”. Ed in effetti tutto dipende da come tu le guardi le cose. Gli oggetti di per sé sono atoni, siamo noi a dar loro un significato e un’anima (“L'apparenza delle cose come vedi non m'inganna/ preferisco le sorprese di quest'anima tiranna/ che trasforma coi suoi trucchi la realtà che hai lì davanti / ma ti apre nuovi occhi”). Era nata l’arte concettuale. Ma dopo Duchamp qualcuno ha pensato di essere artista mettendo sul piedistallo un mongoloide, Biennale d’Arte di Venezia di qualche anno fa, un orso disteso con fra le cosce un enorme cazzo istoriato o le vasche di Jan Fabre. Per questo, credo, non si fan che scavi per trovare reperti antichi, di cui soprattutto l’Italia è ricca, un po’ più validi, più concreti e meno astratti.

Per tornare ai film non è un caso che oggi dominino le ‘serie’ che si basano su un meccanismo psicologico elementare, quasi ipnotico come certi giochi dalla capostipite Candy Crush ai suoi derivati o ultimo grido “i gattini”. Che aiutano a dormire, cosa che non è di poco conto, ma certamente non a riflettere. E non è nemmeno un caso che siano in ascesa i docufilm che stanno gradualmente sovrapponendosi ai film. 

Senza profondità non ci può essere creatività o, più probabilmente, questa si indirizza in campi che non hanno nulla a che fare con l’arte, la poesia, la letteratura, ma piuttosto con la produttività e gli algoritmi. Come scriveva Marcuse ne: L’uomo a una dimensione: “Al di sotto della sua ovvia dinamica di superficie, questa società è un sistema di vita completamente statico, che si tiene in moto da solo con la sua produttività oppressiva”. 

E in questa calma piatta mi pare del tutto improbabile, anzi impossibile, che possa rinascere un uomo che sappia unire al genio poetico quello filosofico, in modo magico e quasi sconvolgente, come Giacomo Leopardi ne “Il canto notturno di un pastore errante dell’Asia”.

Il Fatto Quotidiano, 21 Novembre 2021



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A settembre nell’ambito di una consultazione UE la presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen ha sottolineato la necessità di costituire un esercito europeo. La questione era nell’aria già da tempo, tanto che ne aveva parlato persino il pavido Angelo Panebianco che nei decenni scorsi ogni volta che si avanzava l’ipotesi di un “esercito europeo” dava in scalmane e faceva il ponte isterico. In ottobre Mario Draghi era venuto in supporto a Von der Leyen dichiarando: “La Nato è meno interessata che in passato all’Europa e ha spostato altrove la sua attenzione”. La questione va posta in modo diametralmente opposto: siamo noi europei che non dovremmo avere più alcun interesse a restare nella Nato.

Già a metà degli anni Ottanta francesi e tedeschi avevano cercato di costituire un esercito comune che avrebbe poi dovuto essere allargato a tutti gli altri paesi europei. Gli americani si opposero: “Che vi serve? A difendervi ci pensa la Nato”. L’obiezione era allora comprensibile perché in presenza dell’Urss la Nato, vale a dire gli americani, perché la Nato è stata sempre un’organizzazione totalmente in mano agli Stati Uniti, anche se per pudore o piuttosto per mascherare la realtà vi si nomina a Presidente un danese, o come oggi, un norvegese. La Nato era la sola ad avere il deterrente necessario, alias l’Atomica, per scoraggiare l’ ‘orso russo’ dal tentare avventure militari in Europa Ovest. In realtà anche questa ipotesi era inverosimile e pretestuosa perché già nella Conferenza di Yalta del 1945 Roosevelt e Stalin, all’insaputa ovviamente dei propri cittadini i quali, come sempre, sono dei sudditi, avevano deciso quali erano le zone d’influenza. È  questo, fra gli altri, uno dei motivi per cui il Partito comunista non avrebbe potuto andare al potere in Italia anche se avesse avuto la legittimazione delle elezioni cosicché il segretario del Pci, Enrico Berlinguer, fu costretto, per non lasciare immobilizzata una forza consistente che era molto più larga di quella elettorale dato che dopo il Sessantotto tutta l’intellighenzia italiana si era spostata a sinistra, ad affermare che: “Si è spenta la funzione propulsiva della Rivoluzione d’Ottobre”.

Ma dopo il collasso dell’Urss nel 1989 la Nato non aveva più alcun ragion d’essere per noi europei. Continuava ad averne invece per gli Stati Uniti perché la Nato è stata uno dei principali strumenti, se non addirittura il principale, con cui gli americani hanno tenuto in stato di minorità l’Europa, in senso militare, politico, economico, culturale.

È quindi dal 1989, cioè trent’anni fa, che gli europei avrebbero dovuto porsi il problema di sganciarsi da una Organizzazione da cui non traevano più alcun vantaggio, ma solo rischi e danni. Fra i leader politici europei solo Angela Merkel lo aveva capito quando qualche anno fa dichiarò: “I tempi in cui potevamo contare pienamente su altri sono in una certa misura finiti. Noi europei dobbiamo veramente prendere il nostro destino nelle nostre mani” (Monaco, maggio 2017). E infatti la Germania si è tenuta fuori dalle disastrose guerre alla Serbia, all’Iraq e alla Libia, tutte targate Nato, cioè a stelle e strisce, anche se in quella alla Libia c’è il forte zampino dei francesi e, in secondo piano, degli italiani (Berlusconi premier) i quali sono riusciti nell’impresa di mettere in subordine i loro interessi economici alla inossidabile sudditanza agli americani. E se la Germania è stata anch’essa in Afghanistan è solo perché quella guerra, a differenza di Serbia, Iraq e Libia, aveva, almeno all’inizio, la copertura dell’Onu e quindi una legittimazione internazionale. Tutte queste guerre sono venute in culo all’Europa. La guerra all’Iraq ha partorito l’Isis la cui furia si è abbattuta inizialmente su Francia, Germania, Spagna, Belgio e che ora si è espansa in tutto il globo tranne che in America, troppo lontana e troppo poliziesca per essere raggiunta. La guerra alla Libia ha accresciuto le migrazioni bibliche che si abbattono soprattutto sulle coste italiane.

Sulla creazione di un autonomo esercito europeo tutti i leader del vecchio continente, anche quelli favorevoli, Mario Draghi in testa, si sono affrettati a dichiarare che “è complementare alla Nato, ma non la sostituisce”. E invece quello che si dovrebbe fare, come prima mossa, per sottrarsi all’eterna sudditanza americana, è proprio denunciare il Patto Atlantico e uscirne. “Pacta sunt servanda” dice il diritto internazionale, ma aggiunge: “Rebus sic stantibus”. E poiché dal 1989 ad oggi le cose sono cambiate, e di molto, il Patto potrebbe essere legittimamente stracciato.

La seconda mossa è togliere alla Germania democratica l’anacronistico divieto di possedere l’Atomica. Non è possibile che quest’arma, che è un deterrente indispensabile, la posseggano, oltre Russia, Stati Uniti, Gran Bretagna, Cina, India anche il Pakistan, il Sudafrica, Israele, la Corea del Nord e non il più importante Paese europeo. “Vasto programma” avrebbe detto De Gaulle. Vero, ma la cosa è tanto più imprescindibile ora che la Gran Bretagna, potenza atomica, ha lasciato l’Europa e, per legittime ragioni storiche, i suoi interessi sono legati strettissimamente a quelli Usa. L’Atomica ce l’ha la Francia, ma dei francesi sul piano militare c’è da fidarsi pochissimo, sarebbero capaci di buttarsela sui piedi.

Gli americani sono anche dei competitors sul piano economico, sleali e pericolosi. Tutte le grandi crisi finanziarie da quella del ’29 alla Lehman Brothers del 2008 nascono negli Usa, per poi abbattersi principalmente sull’Europa. È l’allegra finanza americana che immette nel sistema trilioni di dollari che non rappresentano nulla se non un enorme debito contratto verso il futuro (e poi hanno anche l’impudenza di piangere lacrime di coccodrillo su “i nostri giovani, i nostri figli, i nostri nipoti, i nostri pronipoti”) creando una gigantesca bolla inflazionistica che prima o poi si abbatte non solo su chi l’ha creata ma su chi ha la sfortuna, o la dabbenaggine, di avervi rapporti. E per questo Merkel ha voluto per l’Europa una politica di austerità. Ma l’austerità diventa inutile se dall’altra parte c’è qualcuno che bara.

Il Fatto Quotidiano, 16 Novembre 2021

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C’è stato il G20 di Roma centrato su Climate Change and Environment e Sustainable Development. A seguire è venuto Cop26 di Glasgow organizzato dalle Nazioni Unite sul cambiamento climatico. I cosiddetti “Grandi della Terra” hanno scoperto improvvisamente l’ambientalismo e fanno di tutto per accreditarsi come difensori del Pianeta. Non fan che parlare di bio e di green e hanno eletto a stella polare, vezzeggiata e coccolata, quel ‘mostrino ‘ di Greta Thunberg. Naturalmente né il G20 di Roma, in cui Mario Draghi se la dava da leader mondiale, né Cop26 hanno cavato, anche a detta dei commentatori più benevoli, un ragno dal buco. Né potevano. Come ha notato sul Fatto Luca Mercalli nessun Paese sviluppato si è detto disposto a rinunciare a “standard di vita che nel mondo occidentale continuiamo a considerare non negoziabili, né a fermare la crescita economica così come la intendiamo oggi”. Siamo quindi, come al solito, di fronte a una truffa, tanto per tener buoni i giovani innocenti, ma inconsapevoli e creduloni, che manifestano in buona parte del mondo. Non si può inneggiare all’ambientalismo e, nello stesso tempo, alla crescita del Pil. Sono incompatibili. Né c’è “energia rinnovabile”, eolica o solare che sia, che può risolvere la questione. Perché ogni energia, qualsiasi energia, vuole per essere innescata altra energia. “Nulla si crea e nulla si distrugge” dice Democrito. La sola cosa seria da fare è ridurre i consumi e quindi la produzione. Ma da questo orecchio, essendo malati di otite permanente, nessuno ci sente, né i cosiddetti Grandi della Terra né i comuni cittadini.  Insomma per parlare seriamente bisognerebbe rovesciare da cima a fondo l’attuale modello di sviluppo. Vi immaginate un Premier che dicesse io non vi prometto più beni materiali, più viaggi, migliori automobili, più innovazione, più tecnologia, più bellurie di ogni tipo ma vi propongo meno beni materiali, meno viaggi, meno automobili, siano esse a benzina o elettriche, meno innovazione, meno tecnologia, meno bellurie, insomma meno consumi, ma più tempo per voi? Sarebbe fucilato sul campo sia dai consumatori che dai produttori.

La sola cosa seria che possiamo fare è ridurre il superfluo di cui ci nutriamo. Qui nasce però il problema che mi pose quel grande storico, economista ed intellettuale dotato anche, cosa assai rara, di sense of humour ( “Le leggi fondamentali della stupidità umana”) che è stato Carlo Maria Cipolla: “Bisogna intendersi su che cosa consideriamo superfluo e cosa necessario. Per lei necessari sono magari i libri, per altri qualcuno degli infiniti beni che ci vengono offerti”. Vero. Però è altrettanto vero che l’area del superfluo è immensa da quando si è affermata, agli albori della Rivoluzione industriale, la terrificante legge di Say: “l’offerta crea la domanda”. La modernità ha creato bisogni di cui l’uomo non aveva mai sentito il bisogno. “Si scopre la natura illimitata dei bisogni o, piuttosto, la facilità con cui gli esseri umani si lasciano influenzare. Si scopre cioè che i bisogni possono essere eterodiretti, suscitati artificialmente e dall’esterno. Nasce il consumatore e con lui la produzione di massa del futile e anche dell’inutile” ( Il denaro <Sterco del demonio>). Oggi sono nate negli Usa e, naturalmente sbarcate immediatamente in Italia, le ‘Tiktoker House’ cioè scuole dove influencer, che non san nulla di nulla, insegnano ad altri, in genere giovani, che ne san meno di loro come influenzare il mercato ad uso di questa o quella azienda.

Usciremo mai da questo circolo vizioso? No, perché, per riprendere Cipolla, la prevalenza del cretino è indistruttibile. In quanto ai giovani che scendono in strada senza sapere “di che sangue e di che lacrime grondi” ciò che chiedono, la sola cosa, modesta ma onesta, che possono fare è: invecchiare.

Il Fatto Quotidiano, 13 novembre 2021