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In democrazia tutte le idee, anche quelle che appaiono aberranti ai più, hanno diritto di cittadinanza. Quindi anche quelle di Forza Nuova (Dio, Chiesa, Famiglia, Patria, Nazione). Ma c’è un limite assoluto e invalicabile: nessuna idea, buona o cattiva che sia, può essere fatta valere con la violenza. Perciò è del tutto legittimo che i responsabili degli attacchi alla sede della Cigl e al Pronto Soccorso dell’ospedale Umberto I siano finiti in galera tanto più che colti, senza possibilità di equivoco, in flagranza di reato (anche se oggi, Cartabia dixit, nemmeno la flagranza è a volte sufficiente per l’arresto, naturalmente per i reati di `lorsignori`, cioè corruzione e concussione, mentre per i reati da strada, in genere commessi da povera gente, vige il motto di Madama Santanché: "in galera subito, e buttare via le chiavi”).

Sono invece assolutamente contrario allo scioglimento di Forza Nuova. Per due motivi. Il primo è di principio e si rifà, come ho detto, al diritto di espressione di qualunque idea. È vero che la legge Scelba del 1952, recependo l’articolo XII delle “disposizioni transitorie” della Costituzione, vieta la ricostituzione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista e ogni manifestazione di apologia del fascismo. Questa legge era storicamente comprensibile perché uscivamo da una sanguinosa guerra civile e una ricostituzione del partito fascista a soli sette anni dalla fine del conflitto non pareva accettabile. Anche se qualche dubbio vi fu. Palmiro Togliatti era avverso alla legge Scelba perché capiva benissimo che si comincia col mettere fuori legge i fascisti e si finisce per farlo anche con i comunisti. Si apre cioè una voragine che può non aver fine. Sia come sia è una legge giustificata da quel particolare momento storico, ma non può valere per l’eternità tanto che, appunto, si richiama alle “disposizioni transitorie” della Costituzione. Ora, se le parole hanno un senso ciò che è “transitorio” deve pur avere un termine. E a 75 anni dalla fine della seconda guerra mondiale questo termine appare abbondantemente scaduto.

Il secondo motivo è pratico. Una organizzazione politica, strutturata, è controllabile dalle forze di polizia, se la sciogli i suoi adepti si disperdono nella società. È in fondo lo stesso discorso del rapporto fra "mondo di mezzo" romano e la Mafia propriamente detta. La Mafia è una organizzazione strutturata, con boss, sottoboss, esecutori, individuati e individuabili e quindi, sol che lo si volesse, contrastabile ed eliminabile (lo fece proprio il Fascismo perché un potere forte non può tollerare al proprio interno un altro potere forte). Il “mondo di mezzo” è liquido, per dirla con Vattimo, e quindi è molto difficile sapere dove stia. Può albergare ovunque, anche nella persona con cui in treno stai intrattenendo una piacevole conversazione. Non ha modi di fare per cui lo si possa individuare come delinquente.

Ma le manifestazioni, in buona parte pacifiche, anche se poi strumentalizzate da una minoranza di violenti, contro il green pass o, poniamo, contro la TAV, non sono che l’epifenomeno di una questione molto più vasta: la disaffezione o piuttosto il disprezzo di buona parte degli italiani nei confronti del sistema partitocratico. Green pass o no TAV fanno provvisoriamente da collante a questa disaffezione. Mi rifiuto di credere che il 48% dei cittadini italiani che alle recenti amministrative hanno disertato le urne siano fascisti o neofascisti o anche semplicemente dei militanti no vax. Sono persone che rifiutano l’attuale sistema partitocratico, in favore di una vera democrazia, e lo fanno nel modo più pacifico possibile: con il non voto. È su questo che la classe politica attuale dovrebbe riflettere invece di lasciarsi andare a facilissimi, e strumentali, crucifige di Forza Nuova o di chi per lei. Insomma la classe politica dovrebbe innanzitutto, e soprattutto, guardar dentro se stessa.    

"Anche il più puro dei puri trova sempre qualcuno più puro di lui, che lo epura" ( Pietro Nenni )

Il Fatto Quotidiano, 14 Ottobre 2021

 

 

 

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Alla buon’ora. C’è stato bisogno dell’attentato Isis alla moschea sciita Eidgah di Kabul dove si teneva la cerimonia funebre della madre di Zabihullah Mujahed, capo della Commissione culturale del nuovo governo afghano, perché anche i media e i politici occidentali capissero quello che sto scrivendo da anni: e cioè che Talebani e Isis non solo sono due cose diverse, i primi indipendentisti, i secondi terroristi internazionali, che non sono sovrapponibili nella galassia del radicalismo islamico e soprattutto che si combattono da sei anni da quando Isis ha provato a entrare in Afghanistan. In fondo, anche senza essere sul campo, bastava che ci si prendesse la briga di leggere i documenti. Il 16 giugno 2015 il Mullah Omar inviava ad Al-Baghdadi una lettera aperta in cui gli intimava di non entrare in Afghanistan dicendo sostanzialmente noi stiamo facendo una guerra di indipendenza che non ha nulla a che fare con i tuoi deliri geopolitici. La lettera è firmata da Mansur che era il suo storico numero due (mentre Baradar, indicato oggi impropriamente come co-fondatore del movimento talebano era solo uno dei collaboratori più stretti di Omar, adibito alla logistica). Comunque a parte le dichiarazioni di principio sono sei anni che Talebani e Isis si combattono in Afghanistan. Innumerevoli sono stati gli scontri regolarmente ignorati dalla stampa nostrana. Solo che i Talebani dovendo combattere contemporaneamente anche gli occupanti occidentali hanno fatto fatica a contenere Isis. Ora che hanno le mani libere lo spazzeranno via facilmente. Con i loro metodi che, legittimati dalla contro guerriglia Isis, non sono esattamente quelli di una democrazia occidentale. Quando nel 1996 il Mullah Omar prese il potere cacciando dall’Afghanistan i signori della guerra il Paese era infestato da bande di briganti che in queste situazioni trovano il loro brodo di coltura. Omar ordinò di arrestarne un manipolo e ne fece impiccare i componenti in una pubblica piazza. Fine dei briganti. La stessa sorte toccherà agli Isis ancora presenti in Afghanistan. In un articolo per Il Fatto (Afghanistan. Le verità che nessuno osa dire, 21/08/2021) dicevo che fra coloro che più rischiavano per la vittoria dei Talebani c’era proprio l’Isis.

Nei giorni scorsi un alto esponente della politica americana, mi pare Tony Blinken, esprimeva la preoccupazione che il disordine che c’è attualmente in Afghanistan avrebbe potuto portare ad attentati jihadisti negli Stati Uniti. Niente di più inverosimile. Se c’è un posto in cui l’Isis non ha possibilità né interesse a restare è proprio l’Afghanistan. Starebbe più al sicuro in Italia. È molto più probabile che gli jihadisti cerchino rifugio in Tagikistan dove sono scappati gli uomini del fu Massoud che hanno il dente avvelenato con i Talebani per essere stati da loro sconfitti due volte. È quindi casomai il Tagikistan e non l’Afghanistan che deve essere `monitorato` in senso antijihadista.

Dopo vent’anni di guerra la situazione economica e sociale dell’Afghanistan è ovviamente disastrosa. Gli Stati Uniti hanno congelato 9,5 miliardi di dollari che la Banca centrale afghana, la Da Afghan Bank, aveva depositato nelle banche Usa. Un provvedimento al limite della legalità, o forse del tutto illegale perché questi dollari appartenevano allo stato afghano e nulla dovrebbe contare il fatto che in Afghanistan è cambiato il governo. Uno stato esiste a tre condizioni: che abbia un governo, un territorio, una popolazione e queste condizioni lo stato afghano le ha tutte. Da questo embargo economico, e non dal governo talebano, derivano tutte le difficoltà che affrontano oggi i cittadini afghani: le banche non possono dare più di 200 dollari alla settimana, molti conti sono semplicemente bloccati, difficoltà nel dare i salari ai dipendenti. E questo stato di cose paralizza l’intera società afghana. Gli occidentali avendo perso nel modo più ignominioso la guerra con l’Afghanistan talebano cercano ora di rifarsi strangolandolo economicamente. Non sappiamo far guerre se non economiche. Del resto l’usanza non è nuova. È stata utilizzata con l’Iran, con il Venezuela e con tutti gli stati e i popoli che non sono allineati con l’Occidente.

La cosa più ragionevole sarebbe che allo stato afghano-talebano sia riconosciuto un seggio all’Onu e che all’Onu possano essere presenti anche i rappresentanti afghani. Cosa che i Talebani hanno già chiesto ricevendone però un niet. Se l’ottusità ideologica dell’Occidente continua sarà fatale che i Talebani si rivolgano alla Cina, che non li ha aggrediti, e anche alla Russia che dopo la disastrosa impresa dell’invasione 1979-1989 è stata la prima a cercare di avere buoni rapporti con i Talebani. Già cinque anni fa Putin aveva riconosciuto ai Talebani lo status di movimento "politico e militare non terrorista". Putin è un delinquente ma è un uomo di stato intelligente. Non so se la stessa cosa si possa dire di Biden, Macron e compagnia cantante.

Il Fatto Quotidiano, 9 ottobre 2021

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Chi ha vinto le recenti elezioni amministrative? Io. Perché appartengo da sempre a quel movimento degli astensionisti che in questa tornata si è confermato come prima forza politica del Paese, lasciando, col suo 46%, i partiti, anche quelli che credono di avere vinto o piuttosto dicono di avere vinto, a una distanza siderale. Una vittoria “a paletti” come si dice in gergo ippico. E a quel 46% andrebbero aggiunte le schede bianche e nulle, dati che il Viminale si guarda bene, prudentemente, di fornire, di cittadini che, pur disgustati dalla politica, vogliono comunque onorare il rito democratico.

Né ci si può consolare affermando, come ho sentito dire, che anche nelle altre democrazie occidentali l’affluenza alle urne è piuttosto scarsa (comunque sempre intorno al 65, 70%). Perché il voto non voto – anche il non voto è un voto -  ha ragioni opposte. Nelle altre democrazie non si va a votare perché i cittadini si fidano della propria classe politica e quindi vinca l’uno o l’altro fa poca differenza. In Italia al contrario il non voto esprime una profonda diffidenza nei confronti della classe politica. Ci si può chiedere se un Paese dove una persona su due non va a votare sia ancora una democrazia. E infatti non lo è. È una partitocrazia, che è cosa diversa. La partitocrazia esaspera tutti gli elementi negativi della democrazia. La selezione della classe dirigente non avviene per merito perché, a differenza delle aristocrazie storiche, l’uomo politico democratico, e tanto più partitocratico, non possiede qualità specifiche, la sua sola qualità è tautologicamente quella di fare politica. Sono i professionisti della politica secondo la classica definizione di Max Weber. “Poiché non è necessaria alcuna qualità prepolitica la selezione della nomenklatura è autoreferenziale, puramente burocratica, avviene all’interno degli apparati di partito attraverso lotte oscure, feroci, degradanti, spesso truffaldine” (Sudditi. Manifesto contro la Democrazia). In una situazione particolarmente degradata come quella italiana, dove si è perso il senso di valori condivisi, dove i partiti occupano non solo l’intero settore pubblico ma condizionano pesantemente anche quello privato, un sistema del genere porta inevitabilmente verso l’illegalità. Per prevalere  su un mio compagno di partito o su un altro sono disposto a tutto. E questa situazione di illegalità diffusa coinvolge spesso anche chi volentieri ne starebbe fuori. Non è tanto quindi una questione di uomini, perché nella nostra classe dirigente ce ne sono anche di capaci, ma di sistema. Per non farci mancar nulla assistiamo negli ultimi tempi, non solo da parte della cerchia berlusconiana che per motivi facilmente intuibili è sempre stata contro la Magistratura, a un tentativo di delegittimazione di quello che viene sprezzantemente chiamato il “manipulitismo” di cui si è fatto vessillifero anche Luciano Violante che pur è un ex magistrato. Insomma si tende a togliere di mezzo anche l’unico momento in cui la classe dirigente è stata chiamata a rispettare quelle leggi che tutti noi abbiamo l’obbligo di seguire. La classe politica sta dandosi da sola il calcio dell’asino. Non c’è quindi da meravigliarsi se molti e sempre di più si astengono per non legittimare questo gioco sporco.

Qualcuno ha ululato di gioia perché, dando già per scomparsi, peraltro un po’ prematuramente, i 5 stelle che pur avevano come uno dei punti fermi la legalità, si tornerebbe al bipolarismo. Ma che senso avrebbe questo bipolarismo. Sarebbe un bipolarismo senza ideali, asettico. Che cosa ci sia di sinistra nell’attuale Sinistra è difficile capire (“D’Alema dì qualcosa di sinistra, dì qualcosa”, Nanni Moretti) in quanto a questa destra definirla tale è un oltraggio alla Destra, una categoria storica che ha avuto una certa importanza.

Per tutto ciò, paradossalmente, a uscire vincitore da questa tornata elettorale è Silvio Berlusconi, non per la vittoria di Occhiuto in Calabria dove ha votato il 43%, ma perché si propone e viene proposto come federatore di sinistra, centro, destra in una grande ammucchiata da cui a essere escluso è solo il normale cittadino. Del resto il “delinquente naturale” sarebbe il presidente della Repubblica ideale perché rappresenta al meglio il peggio degli italiani.

L’altro paradosso è che a uscire vincente da queste elezioni è una perdente: Virginia Raggi. Ritengo quasi miracoloso che abbia ricevuto il 19% dei voti, dopo che per cinque anni è stata sottoposta ad un fuoco di fila di cui non ricordo l’uguale. Non aveva fatto ancora in tempo a mettere piede in Campidoglio che il Corriere della Sera apriva su due pagine una rubrica titolata “Caos Roma”. Improvvisamente si scoprivano i rifiuti di Roma, le buche di Roma, i topi di Roma, le rane di Roma e qualsiasi altro animale compreso l’Ippogrifo. Raggi, oltre ad aver dimostrato una tenuta nervosa straordinaria per una così giovane donna, ha molti meriti soprattutto per essersi dedicata alle periferie romane (qualcuno ricorderà, forse, il suo intervento in prima persona per far sloggiare i Casamonica da stabili che avevano occupato abusivamente per farvi entrare chi ne aveva diritto, è solo un esempio). Ma il suo torto maggiore è di aver cercato, in armonia con i principi dei 5 stelle, di riportare legalità in una città che vive di illegalità.

Infine. Sono decenni che ci rompono il cazzo con il femminismo. Per una volta che due donne, Appendino e Raggi, hanno raggiunto posizioni apicali in genere riservate agli uomini, si è fatto di tutto da parte dei media e di coloro che li controllano per stroncarle. E poi sarei io il misogino.

Il Fatto Quotidiano, 06 Ottobre 2021