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A settembre nell’ambito di una consultazione UE la presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen ha sottolineato la necessità di costituire un esercito europeo. La questione era nell’aria già da tempo, tanto che ne aveva parlato persino il pavido Angelo Panebianco che nei decenni scorsi ogni volta che si avanzava l’ipotesi di un “esercito europeo” dava in scalmane e faceva il ponte isterico. In ottobre Mario Draghi era venuto in supporto a Von der Leyen dichiarando: “La Nato è meno interessata che in passato all’Europa e ha spostato altrove la sua attenzione”. La questione va posta in modo diametralmente opposto: siamo noi europei che non dovremmo avere più alcun interesse a restare nella Nato.

Già a metà degli anni Ottanta francesi e tedeschi avevano cercato di costituire un esercito comune che avrebbe poi dovuto essere allargato a tutti gli altri paesi europei. Gli americani si opposero: “Che vi serve? A difendervi ci pensa la Nato”. L’obiezione era allora comprensibile perché in presenza dell’Urss la Nato, vale a dire gli americani, perché la Nato è stata sempre un’organizzazione totalmente in mano agli Stati Uniti, anche se per pudore o piuttosto per mascherare la realtà vi si nomina a Presidente un danese, o come oggi, un norvegese. La Nato era la sola ad avere il deterrente necessario, alias l’Atomica, per scoraggiare l’ ‘orso russo’ dal tentare avventure militari in Europa Ovest. In realtà anche questa ipotesi era inverosimile e pretestuosa perché già nella Conferenza di Yalta del 1945 Roosevelt e Stalin, all’insaputa ovviamente dei propri cittadini i quali, come sempre, sono dei sudditi, avevano deciso quali erano le zone d’influenza. È  questo, fra gli altri, uno dei motivi per cui il Partito comunista non avrebbe potuto andare al potere in Italia anche se avesse avuto la legittimazione delle elezioni cosicché il segretario del Pci, Enrico Berlinguer, fu costretto, per non lasciare immobilizzata una forza consistente che era molto più larga di quella elettorale dato che dopo il Sessantotto tutta l’intellighenzia italiana si era spostata a sinistra, ad affermare che: “Si è spenta la funzione propulsiva della Rivoluzione d’Ottobre”.

Ma dopo il collasso dell’Urss nel 1989 la Nato non aveva più alcun ragion d’essere per noi europei. Continuava ad averne invece per gli Stati Uniti perché la Nato è stata uno dei principali strumenti, se non addirittura il principale, con cui gli americani hanno tenuto in stato di minorità l’Europa, in senso militare, politico, economico, culturale.

È quindi dal 1989, cioè trent’anni fa, che gli europei avrebbero dovuto porsi il problema di sganciarsi da una Organizzazione da cui non traevano più alcun vantaggio, ma solo rischi e danni. Fra i leader politici europei solo Angela Merkel lo aveva capito quando qualche anno fa dichiarò: “I tempi in cui potevamo contare pienamente su altri sono in una certa misura finiti. Noi europei dobbiamo veramente prendere il nostro destino nelle nostre mani” (Monaco, maggio 2017). E infatti la Germania si è tenuta fuori dalle disastrose guerre alla Serbia, all’Iraq e alla Libia, tutte targate Nato, cioè a stelle e strisce, anche se in quella alla Libia c’è il forte zampino dei francesi e, in secondo piano, degli italiani (Berlusconi premier) i quali sono riusciti nell’impresa di mettere in subordine i loro interessi economici alla inossidabile sudditanza agli americani. E se la Germania è stata anch’essa in Afghanistan è solo perché quella guerra, a differenza di Serbia, Iraq e Libia, aveva, almeno all’inizio, la copertura dell’Onu e quindi una legittimazione internazionale. Tutte queste guerre sono venute in culo all’Europa. La guerra all’Iraq ha partorito l’Isis la cui furia si è abbattuta inizialmente su Francia, Germania, Spagna, Belgio e che ora si è espansa in tutto il globo tranne che in America, troppo lontana e troppo poliziesca per essere raggiunta. La guerra alla Libia ha accresciuto le migrazioni bibliche che si abbattono soprattutto sulle coste italiane.

Sulla creazione di un autonomo esercito europeo tutti i leader del vecchio continente, anche quelli favorevoli, Mario Draghi in testa, si sono affrettati a dichiarare che “è complementare alla Nato, ma non la sostituisce”. E invece quello che si dovrebbe fare, come prima mossa, per sottrarsi all’eterna sudditanza americana, è proprio denunciare il Patto Atlantico e uscirne. “Pacta sunt servanda” dice il diritto internazionale, ma aggiunge: “Rebus sic stantibus”. E poiché dal 1989 ad oggi le cose sono cambiate, e di molto, il Patto potrebbe essere legittimamente stracciato.

La seconda mossa è togliere alla Germania democratica l’anacronistico divieto di possedere l’Atomica. Non è possibile che quest’arma, che è un deterrente indispensabile, la posseggano, oltre Russia, Stati Uniti, Gran Bretagna, Cina, India anche il Pakistan, il Sudafrica, Israele, la Corea del Nord e non il più importante Paese europeo. “Vasto programma” avrebbe detto De Gaulle. Vero, ma la cosa è tanto più imprescindibile ora che la Gran Bretagna, potenza atomica, ha lasciato l’Europa e, per legittime ragioni storiche, i suoi interessi sono legati strettissimamente a quelli Usa. L’Atomica ce l’ha la Francia, ma dei francesi sul piano militare c’è da fidarsi pochissimo, sarebbero capaci di buttarsela sui piedi.

Gli americani sono anche dei competitors sul piano economico, sleali e pericolosi. Tutte le grandi crisi finanziarie da quella del ’29 alla Lehman Brothers del 2008 nascono negli Usa, per poi abbattersi principalmente sull’Europa. È l’allegra finanza americana che immette nel sistema trilioni di dollari che non rappresentano nulla se non un enorme debito contratto verso il futuro (e poi hanno anche l’impudenza di piangere lacrime di coccodrillo su “i nostri giovani, i nostri figli, i nostri nipoti, i nostri pronipoti”) creando una gigantesca bolla inflazionistica che prima o poi si abbatte non solo su chi l’ha creata ma su chi ha la sfortuna, o la dabbenaggine, di avervi rapporti. E per questo Merkel ha voluto per l’Europa una politica di austerità. Ma l’austerità diventa inutile se dall’altra parte c’è qualcuno che bara.

Il Fatto Quotidiano, 16 Novembre 2021

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C’è stato il G20 di Roma centrato su Climate Change and Environment e Sustainable Development. A seguire è venuto Cop26 di Glasgow organizzato dalle Nazioni Unite sul cambiamento climatico. I cosiddetti “Grandi della Terra” hanno scoperto improvvisamente l’ambientalismo e fanno di tutto per accreditarsi come difensori del Pianeta. Non fan che parlare di bio e di green e hanno eletto a stella polare, vezzeggiata e coccolata, quel ‘mostrino ‘ di Greta Thunberg. Naturalmente né il G20 di Roma, in cui Mario Draghi se la dava da leader mondiale, né Cop26 hanno cavato, anche a detta dei commentatori più benevoli, un ragno dal buco. Né potevano. Come ha notato sul Fatto Luca Mercalli nessun Paese sviluppato si è detto disposto a rinunciare a “standard di vita che nel mondo occidentale continuiamo a considerare non negoziabili, né a fermare la crescita economica così come la intendiamo oggi”. Siamo quindi, come al solito, di fronte a una truffa, tanto per tener buoni i giovani innocenti, ma inconsapevoli e creduloni, che manifestano in buona parte del mondo. Non si può inneggiare all’ambientalismo e, nello stesso tempo, alla crescita del Pil. Sono incompatibili. Né c’è “energia rinnovabile”, eolica o solare che sia, che può risolvere la questione. Perché ogni energia, qualsiasi energia, vuole per essere innescata altra energia. “Nulla si crea e nulla si distrugge” dice Democrito. La sola cosa seria da fare è ridurre i consumi e quindi la produzione. Ma da questo orecchio, essendo malati di otite permanente, nessuno ci sente, né i cosiddetti Grandi della Terra né i comuni cittadini.  Insomma per parlare seriamente bisognerebbe rovesciare da cima a fondo l’attuale modello di sviluppo. Vi immaginate un Premier che dicesse io non vi prometto più beni materiali, più viaggi, migliori automobili, più innovazione, più tecnologia, più bellurie di ogni tipo ma vi propongo meno beni materiali, meno viaggi, meno automobili, siano esse a benzina o elettriche, meno innovazione, meno tecnologia, meno bellurie, insomma meno consumi, ma più tempo per voi? Sarebbe fucilato sul campo sia dai consumatori che dai produttori.

La sola cosa seria che possiamo fare è ridurre il superfluo di cui ci nutriamo. Qui nasce però il problema che mi pose quel grande storico, economista ed intellettuale dotato anche, cosa assai rara, di sense of humour ( “Le leggi fondamentali della stupidità umana”) che è stato Carlo Maria Cipolla: “Bisogna intendersi su che cosa consideriamo superfluo e cosa necessario. Per lei necessari sono magari i libri, per altri qualcuno degli infiniti beni che ci vengono offerti”. Vero. Però è altrettanto vero che l’area del superfluo è immensa da quando si è affermata, agli albori della Rivoluzione industriale, la terrificante legge di Say: “l’offerta crea la domanda”. La modernità ha creato bisogni di cui l’uomo non aveva mai sentito il bisogno. “Si scopre la natura illimitata dei bisogni o, piuttosto, la facilità con cui gli esseri umani si lasciano influenzare. Si scopre cioè che i bisogni possono essere eterodiretti, suscitati artificialmente e dall’esterno. Nasce il consumatore e con lui la produzione di massa del futile e anche dell’inutile” ( Il denaro <Sterco del demonio>). Oggi sono nate negli Usa e, naturalmente sbarcate immediatamente in Italia, le ‘Tiktoker House’ cioè scuole dove influencer, che non san nulla di nulla, insegnano ad altri, in genere giovani, che ne san meno di loro come influenzare il mercato ad uso di questa o quella azienda.

Usciremo mai da questo circolo vizioso? No, perché, per riprendere Cipolla, la prevalenza del cretino è indistruttibile. In quanto ai giovani che scendono in strada senza sapere “di che sangue e di che lacrime grondi” ciò che chiedono, la sola cosa, modesta ma onesta, che possono fare è: invecchiare.

Il Fatto Quotidiano, 13 novembre 2021

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Sarebbe meglio dichiarare che in Italia la Costituzione è sospesa sino a data da destinarsi. Non solo perché da due anni sono state abolite quasi tutte le libertà costituzionalmente garantite, ma perché è saltato l’intero impianto istituzionale. Il Parlamento, che dovrebbe essere l’asse portante di una democrazia, è scavalcato dai continui decreti legge i quali, a loro volta, sfuggono al Consiglio dei ministri perché i titolari dei vari Dicasteri ne vengono informati cinque minuti prima che siano emessi e quindi, di fatto, senza poterli leggere. Approvano al buio. Decidono Mario Draghi e i suoi cari. Di passata: su Mario Draghi si è rovesciata un’adulazione che non avrebbe fatto piacere nemmeno a Lui perché eccessiva e controproducente, Roberto Napoletano ha presentato a Tg24 di Sky, una televisione un tempo interessante e che ora si è appiattita su qualsiasi ‘communis opinio’, un libro intitolato: “Mario Draghi. Il ritorno del Cavaliere bianco”, che dovrebbe far arrossire non solo chi l’ha scritto ma anche chi lo legge.

Cerchiamo di rifare la storia dall’inizio. Con l’occasione, o il pretesto, della pandemia si è cominciato col mutilare la libertà di circolazione garantita dall’art. 16 della Costituzione. Ma mentre noi dovevamo restare tappati in casa o c’era permesso al massimo di fare il giro dell’isolato ( non più di 200 metri, ricordate?) colui che nel frattempo aveva fatto cadere irresponsabilmente il governo in piena pandemia con motivazioni risibili, unico caso in Europa a eccezione dell’Olanda ( dove però il Premier Rutte si era dimesso e per ragioni molto più serie ), vale a dire Matteo Renzi si librava in volo verso l’Arabia Saudita o andava a vedere un Gran Premio di Formula Uno. Da notare che questa mossa di Renzi, paralizzando il governo Conte, ci ha fatto perdere tre settimane nella lotta alla pandemia.

Si è proseguito nel solito modo obliquo imponendo di fatto i vaccini, ma in maniera surrettizia, vietando il lavoro a chi non si è voluto o non si vuole vaccinare. Sarebbe stata più onesta una legge che dicesse a chiare lettere: “il vaccino è obbligatorio” ma il governo non ha avuto il coraggio di emanare una legge così apertamente liberticida.

Adesso si è giunti a vietare le manifestazioni dei no vax anche quando si svolgano del tutto pacificamente. Il pretesto è sempre quello: sono occasioni di contagio. E la grande manifestazione pro Cgil di sabato 16 ottobre che cos’era? Io credo che esista un diritto a vaccinarsi ma anche a non vaccinarsi. C’è molta gente che rifiuta pregiudizialmente ogni vaccino, ma anche avere pregiudizi è un diritto, ce n'è però anche altra che ne ha semplicemente paura. E non ha tutti i torti. Report ci ha fatto sapere che agli over 80 è stata somministrata una dose doppia di Moderna, cioè a 30 o 40 mila persone già “fragili” per conto loro. Se non sono rimasti stecchiti sul colpo per overdose questo potrebbe accadere benissimo fra un mese o tre mesi o più oltre ancora. C’è anche stato detto che i vari vaccini avevano efficacia per sei mesi poi si è scoperto che la copertura era molto minore, due o tre mesi e che comunque essere immunizzati non impedisce di prendere il Covid-19 nelle sue varianti. Dovremo quindi vivere facendo richiami in continuazione con tutto lo stress che ciò comporta?

L’ex ministra svedese della Salute Lena Hallengren  ( la Svezia non ha fatto lockdown ) ha detto che i conti veri di questa pandemia si faranno tra due o tre anni. Si dovrà innanzitutto calcolare quanti malati di patologie ben più gravi, tumore per esempio, non hanno potuto essere curati perché l’attenzione era tutta concentrata sul Covid o non hanno potuto avere diagnosi in tempo utile. Ci sono poi persone, soprattutto giovani ma non solo, a cui il lockdown ha provocato problemi di salute gravi: anoressia, depressione, nevrosi. Fra i giovani dagli 11 ai 18 anni, cioè i preadolescenti e gli adolescenti, il ricorso agli Ospedali pediatrici è aumentato del 20 per cento. Molti di noi, essendoci impedito di muoverci, sono diventati obesi e l’obesità è una porta spalancata alle malattie cardiovascolari, all’ infarto, all’ ictus.

Le misure liberticide sono state giustificate col fatto che siamo in uno “stato di guerra”, tant’è che il generale Francesco Paolo Figliuolo, “Commissario straordinario per l’emergenza Covid-19”, che ricopre un ruolo civile, va in giro in tenuta militare.

Il Covid come la guerra? Ma non diciamo cazzate. La seconda guerra mondiale ha provocato dai 65 ai 70 milioni di morti, in un’area relativamente ristretta, Europa e Giappone. Al momento i morti di Covid in tutto il globo, tenendo nel conto anche i paesi che non hanno fatto alcuna profilassi perché avevano altro di più serio cui pensare, sono circa lo 0,06 per cento della popolazione del globo che è di 7 miliardi e 800 milioni. Poniamo pure che senza le misure di contrasto alla pandemia i morti, in questo macabro conto, sarebbero raddoppiati, triplicati, quadruplicati, quintuplicati. La percentuale fa lo 0,32 per cento. Cioè per tutelare lo 0,32 per cento della popolazione, in generale vecchi con due o tre patologie pregresse, e che lockdown o non lockdown, vaccino o non vaccino, sarebbero morti di lì a poco, abbiamo bloccato il 99,7 per cento della popolazione.

In realtà più che una pandemia di Covid c’è stata una pandemia di panico.

Il Fatto Quotidiano, 6 novembre 2021

"Muore mille volte chi ha paura della morte" (Epicuro, ripreso in Cyrano se vi pare...)