Gianni Riotta, neoeditorialista di Repubblica, intervistato a Sky Tg24 da Milo D’Agostino, ha affermato: “E’ noto che i Talebani sono una creatura del Pakistan”. E’ noto solo a lui. E’ già un falso, come ho cercato di dimostrare nei precedenti articoli, che i servizi segreti pachistani abbiano aiutato il movimento talebano, ma nessuno si era mai spinto a dire che questo movimento è stato creato dal Pakistan. Nel 2001 prima dell’attacco all’Afghanistan, il Pakistan, alleato degli Stati Uniti, aveva fornito agli americani le basi aeree perché i loro bombardieri potessero agire partendo più da vicino. E allora che senso ha creare un movimento per poi distruggerlo? Ce lo spieghi Gianni Riotta. Come ho già raccontato, ma con la disinformatia occidentale, così unilaterale e zeppa di menzogne da superare quella sovietica, è necessario ogni volta, poiché siam soli, ripetersi, il più devastante attacco al movimento talebano fu opera dell’esercito pachistano, quello della valle di Swat del maggio del 2009. Quell’attacco oltre a un numero imprecisato di morti provocò un milione di profughi (in realtà saranno due) Il Corriere della Sera titolerà: “Un milione in fuga dai Talebani”. Invece fuggivano dall’attacco dell’esercito pachistano teleguidato dal generale americano David Petreus. Commenterà lo stesso Petreus: “La sfida dei Talebani ha ‘galvanizzato’ l’esercito del Pakistan”. E allora come può essere, lo chiediamo a Riotta e a tutti i Riotta, che il Pakistan fosse un alleato dei talebani o addirittura li avesse creati? Il titolo del Corriere capovolgeva la realtà ed è esattamente questo tipo di disinformazione che oggi in Occidente, pretende di informarci. I Talebani, a differenza dei “signori della guerra”, armati dagli americani, non avevano nemmeno missili terra-aria Stinger e allora, lo chiediamo a Riotta e a tutti i Riotta, che aiuto mai è venuto loro dai servizi segreti pachistani? La verità è che quello talebano-afghano fu un movimento spontaneo che reagì agli abusi, ai soprusi, agli stupri, alle prepotenze, dei “signori della guerra” che si erano trasformati, loro stessi e i loro sottoposti, in bande mafiose che spadroneggiavano in Afghanistan come volevano. Dirà il giovane Omar: “Come potevamo restare fermi mentre si violentavano le ragazze e si faceva ogni sorta di violenza sulla povera gente”. Ai giovani talebani afghani si uniranno poi molti studenti delle madrasse pachistane, ma fu anche questo un movimento spontaneo, dal basso, che nulla aveva a che vedere col governo del Pakistan.
Si possono considerare i Talebani come si vuole, ma non si può arrivare al punto spregevole di volergli togliere anche la dignità di una guerra di indipendenza, vinta con armi di fortuna, contro alcuni dei più potenti eserciti del mondo, contro la disinformazione occidentale, contro l’opinione pubblica occidentale che non ha mai emesso un fiato per le centinaia di migliaia di vittime civili che abbiamo fatto in Afghanistan, con i nostri bombardieri più che con i nostri soldati.
I Riotta, e tutti i Riotta, prima di dire sciocchezze e alimentarsi delle proprie menzogne, dovrebbero almeno cercare di informarsi un poco. Leggersi per esempio due libri di Ahmed Rashid, lo scrittore e giornalista pachistano considerato il maggiore esperto dei problemi dell’Asia Centrale e in particolare dell’Afghanistan: Talebani del 2001 (edizioni Feltrinelli) e Caos Asia del 2008 (edizioni Mondadori). In Talebani Rashid racconta come gli uomini del Mullah Omar arrivarono al potere. In Caos Asia documenta la corruzione endemica di tutti gli apparati dello Stato all’epoca del fantoccio Karzai (con Ashraf Ghani andrà anche peggio): governo, amministratori provinciali, polizia. Sulla strada del passo del Salang, fondamentale perché collega il nord dell’Afghanistan a Kabul, gli autotrasportatori dovevano pagare venti taglie alla polizia o a vari gruppi di tagliagole. Con Omar si pagava un solo pedaggio, com’è per le nostre autostrade. La magistratura era, ed è rimasta fino all’ultimo, così corrotta che da anni gli afghani preferivano affidarsi a quella talebana. Insomma per avere una sentenza favorevole bisognava pagarsela.
Infine. E’ la prima volta, credo, nella storia del mondo, che a voler dettare le condizioni non sono i vincitori ma i vinti. In Italia a fare la voce grossa contro la decisione di Joe Biden di ritirarsi dall’Afghanistan, come era stato pattuito con i Talebani nei colloqui di Doha, sono soprattutto Salvini e Berlusconi. A parte che ai Talebani di Salvini e Berlusconi non frega assolutamente nulla, per loro fortuna non sanno nemmeno chi sono, ci vadano i nerboruti leghisti e i forzuti berlusconiani, a cominciare da Giorgio Mulé, a combattere i Talebani. Per lo meno ce ne saremmo liberati per sempre.
Il Fatto Quotidiano, 27 agosto 2021
Per l'ultimo capoverso di questo articolo, in particolare per il riferimento a Giorgio Mulé, vengo attaccato da tutte le parti. Non ho intenzione di difendermi dicendo che era una battuta. Mulé non è un berlusconiano qualsiasi, è il sottosegretario alla Difesa, e quindi ha il dovere di soppesare attentamente ciò che dice. E cosa dice quando dice "Qualsiasi deadline è priva di senso": che dobbiamo restare in Afghanistan anche quando gli americani se ne vanno? E' lui che deve chiarire, non io.
m.f.
“Un liberale che pretende che tutti siano liberali, non è un liberale: è un fascista.” (Il Ribelle dalla A alla Z)
Agli illustri colleghi che si occupano in questi giorni dell’Afghanistan descrivendo in coro i vincitori talebani come la feccia della terra vorrei fare una domanda semplice semplice. Abbiamo visto tutti le scomposte fughe di massa di migliaia di afgani che accerchiano l’aeroporto di Kabul disposti a calpestarsi l’un l’altro pur di raggiungere un qualsiasi luogo che non sia in Afghanistan. Bene. Quando nel 1996 dopo aver sconfitto i “signori della guerra” il Mullah Omar, che mi pare fosse un talebano, prese il potere a Kabul non ci furono “fughe di massa” (né di massa né di frange della popolazione) né ci furono durante i sei anni in cui governò il Paese. Allora che cos’è cambiato in questi vent’anni? Gli illustri colleghi dovrebbero porsi qualche domanda e darci una risposta.
La disfatta degli occidentali in Afghanistan non è vergognosa in sé – le guerre si possono anche perdere – ma per quello che abbiamo fatto, o non abbiamo fatto, nei vent’anni di occupazione. Sentivo l’altro giorno a Sky Tg24 Economia Cottarelli e altri pregevoli economisti che affermavano, senza porsi a loro volta qualche domanda, che l’Afghanistan, già povero, lo è più oggi di vent’anni fa. Ma com’è possibile visto che gli americani hanno riversato in quel paese 2.300 miliardi di dollari? Dove è andato quel fiume di denaro? È finito nelle tasche di coloro che hanno accettato di collaborare con noi, che magari ora sono proprio quelli che fuggono terrorizzati, è finito nella corruzione del governo, dell’esercito, della polizia, dei governatori provinciali, della magistratura. I sovietici avevano fatto grandi distruzioni materiali, noi, oltre a quelle, abbiamo devastato moralmente l’Afghanistan. Ashraf Ghani che ha conseguito un master alla Columbia University e che quindi non può essere minimamente sospettato di simpatie talebane, prima di diventare presidente dell’Afghanistan al posto dell’ancor più corrotto Karzai, il cui fratello era uno dei massimi trafficanti di droga, disse: “Questo profluvio di dollari che ci è caduto addosso ha corrotto la nostra integrità”.
Il distico che precede questo articolo è dedicato a Mario Sechi, direttore dell’AGI, e a Emma Bonino entrambi intervistati da Sky. Dopo aver sparato sui Talebani si mettono sulla linea Bush-Fukuyama per cui ogni stato al mondo deve essere “democratico, basato sulla libera intrapresa e sul consumo”. Su Bonino c’è qualcosa da aggiungere. Nel 1997 Bonino, che era commissario Ue, chiese al governo talebano di poter visitare l’Afghanistan. I Talebani non avevano alcun dovere di accettare questa richiesta visto che la Ue non riconosceva il loro governo, invece le diedero il visto e la trattarono con gentilezza e cortesia come gli afgani, per tradizione, han sempre fatto con gli ospiti stranieri. Bonino poté visitare tutto ciò che voleva. Arrivata a Kabul entrò in un ospedale seguita da un codazzo di giornalisti, fotografi, cameramen e si diresse nel reparto femminile dove i fotografi cominciarono a fare i loro scatti e i cameramen a filmare. Arrivò il “Corpo per la promozione della virtù e la punizione del vizio” acchiappò la Bonino e la portò al primo posto di polizia dove le spiegarono come andavano le cose da quelle parti. Del resto nemmeno in Italia è possibile fotografare o filmare i degenti senza il loro consenso oltre a quello della Direzione dell’ospedale. Per un reato di questo genere allora in Afghanistan era prevista la fustigazione con “le verghe sacre”, invece la rilasciarono dopo due ore. Avrebbero fatto meglio a fustigarla. Con “le verghe sacre”, naturalmente. Forse avrebbe capito ciò che, da buona radicale occidentale, non ha mai capito: che anche la sensibilità e i costumi degli altri meritano rispetto. Invece Bonino, rientrata a Bruxelles, ottenne che la Ue tagliasse i fondi umanitari per l’Afghanistan. Più o meno è quanto si sta facendo adesso congelando i beni afgani, oggi talebani, all’estero, il che non aiuterà certamente la popolazione e indurrà i talebani a indurirsi.
Adesso dopo un lungo soggiorno in Gran Bretagna e a Parigi spunta Ahmad Massoud, figlio del più celebre Ahmad Shah Massoud, il “Leone del Panshir”. E anche su questo personaggio, molto ammirato in Occidente, bisogna dire alcune cose chiare. È stato Massoud a dare inizio alla tragedia dell’Afghanistan post sovietico. Finito il regime sovietico occupò Kabul che fu immediatamente circondata dagli uomini di Hekmatyar, suo storico nemico. Fu l’inizio del conflitto civile fra i “signori della guerra”, cui si aggiunsero Dostum e Ismail Khan (forse il migliore del gruppo) che fecero dell’Afghanistan terra di stupri, di violenze e di ogni sorta di abusi sulla povera gente. Fu questo a dare la spinta al movimento talebano guidato dal Mullah Omar che sconfisse i “signori della guerra” ricacciando Massoud nel Panshir, Dostum in Uzbekistan, Hekmatyar e Ismail Khan in Iran, ponendo fine alla guerra civile e portando la pace e l’ordine in quel paese. Mi ha raccontato Gino Strada, che ha un po’ più di autorità di me visto che nell’Afghanistan talebano ci ha vissuto: “Non c’era criminalità. Assolutamente. Si poteva girare tranquilli, anche di notte. Gli afgani dovevano rispettare certe regole. C’era la seccatura del “Corpo per la promozione della virtù e la punizione del vizio” che li fermava se non avevano la barba della giusta misura, li ammoniva o gli gridava dietro. Qualche volta volavano anche delle botte. Ma era raro… Non grandi cose. Con l’ospedale ho avuto qualche problema all’inizio, quando lo stavamo costruendo. Venne da me il viceministro della Sanità, Stahikzai, che apparteneva a una delle migliori famiglie di Kandahar, un uomo colto, distinto, amabile. Perché gli afgani sono strana gente, possono essere molto signorili o invece rozzissimi, tipi che si scaccolano o si puliscono i piedi davanti a te, non per scortesia o disprezzo, perché sono abituati così. Beh Stahikzai mi dice: ‘Qui ci vuole un blocco solo per le donne e anche il personale deve essere tutto femminile, medici compresi’. ‘Ma come facciamo se medici donne non ce ne sono o sono pochissime?’. Dopo un po’ di tira e molla ci accordammo e da allora abbiamo potuto lavorare regolarmente. Il 40% del nostro personale femminile era afgano.” (Il Mullah Omar, p.35).
Sul Mullah Omar gli americani avevano messo una taglia di 25 milioni di dollari. Con una simile cifra da quelle parti si compra tutto l’Afghanistan e anche un po’ di Pakistan. Ma in quindici anni non si è trovato nessuno che abbia tradito Omar. Anche questo è l’Afghanistan, così diverso da noi. In Italia ci si vende per mille euro e anche meno.
Il Mullah Omar non era, prima che lo attaccassimo, antioccidentale ma aoccidentale. Voleva conservare le tradizioni del suo paese senza disdegnare però alcune conquiste della nostra cultura soprattutto nel campo della medicina e dei trasporti, che in Afghanistan hanno molta importanza. Sognava cioè un “medioevo sostenibile” in contrasto col nostro modernismo insostenibile che ci sta portando al fosso. Preferisco il Medioevo.
Il Fatto Quotidiano, 25 agosto 2021
Negli “ultimi giorni di Saigon” in salsa afghana ci sono dei risvolti grotteschi. In un discorso alla Nazione Joe Biden ha accusato i soldati dell’esercito governativo di non essere stati capaci di difendersi. Ma come, non sono stati proprio gli americani, insieme ad alcuni dei loro alleati, fra cui l’Italia, ad essersi assunti il compito di “addestrare “ l’esercito lealista? Forse l’Italia non è stata di grande aiuto visto che uno dei nostri soldati mentre cercava di spiegare agli afghani come si usano le armi si è sparato addosso. Forse prima che gli fosse assegnata la funzione di “addestratore” doveva essere addestrato lui. La vicenda ricorda quella del giocatore portoghese Figo chiamato a insegnare in una scuola calcio. Per far vedere come si tira un rigore invece che il pallone colpì il terreno fratturandosi la caviglia.
Non gli passa per la mente a Biden, e a tutti i suoi reggicoda occidentali, che i soldati governativi non hanno opposto nessuna resistenza forse perché la maggioranza della popolazione afghana preferisce essere governata dai Talebani, che sono pur sempre degli afghani, piuttosto che da degli stranieri o da dei loro reggicoda?
Nella confusione generale bisogna tornare, per l’ennesima volta, a mettere dei punti fermi.
- L’aggressione occidentale del 2001 all’Afghanistan, che ebbe la copertura dell’ONU, fu motivata con la tragedia delle Torri Gemelle di cui i Talebani sarebbero stati complici. Il New York Times e il Washington Post, giornali in questo caso al di sopra di ogni sospetto, hanno documentato che l’attacco all’Afghanistan era stato programmato sei mesi prima dell’11 settembre. Parimenti, sia pur qualche anno dopo, è stato accertato che la dirigenza talebana dell’epoca era completamente all’oscuro dell’attacco alle Torri Gemelle. In ogni caso, come ha ricordato Travaglio e come noi abbiamo scritto almeno un centinaio di volte, in quei commandos c’erano sauditi, tunisini, egiziani, yemeniti e arabi di ogni sorta, c’erano tutti tranne che degli afghani, tantomeno talebani. E nessun afghano, tantomeno talebano, c’era nelle cellule, vere o presunte, di Al Qaeda scoperte in seguito. Di più: quando, nell’inverno del 1998, dopo gli attentati alle ambasciate americane di Nairobi e Dar es Salaam, Bill Clinton propose al Mullah Omar di far fuori Bin Laden che era ritenuto l’ispiratore di quegli attentati, Omar si disse disponibile purché gli americani cessassero di bombardare a tappeto le alture di Khost, dove ritenevano si fosse nascosto il Califfo saudita, facendo centinaia di vittime civili. Ma all’ultimo momento Clinton si tirò indietro. E questi sono documenti del Dipartimento di Stato del 2005. Inoltre i Talebani Bin Laden se lo erano trovato in casa. Ce lo aveva portato dal Sudan Massud perché lo aiutasse a combattere un altro “signore della guerra”, suo storico avversario, Heckmatyar. Benché gli afghani che non sono arabi li detestino Bin Laden in Afghanistan godeva di una certa popolarità perché con le sue risorse personali aveva costruito ospedali, strade, infrastrutture, cioè quello che avremmo dovuto fare noi e che in vent’anni di occupazione non abbiamo fatto se non in misura ridicola.
- Un’altra sesquipedale balla, che continua a circolare, è che i Talebani siano stati sostenuti dai servizi segreti pakistani. Se così fosse avrebbero avuto almeno dei missili terra-aria Stinger. Furono proprio gli Stinger, forniti dagli americani ai sin troppo celebrati “signori della guerra”, a convincere i sovietici ad abbandonare il campo (contro gli occupanti occidentali i talebani non avevano né aviazione né contraerea). E una delle più devastanti offensive contro i Talebani fu lanciata proprio dall’esercito pakistano, sotto la regia del generale americano David Petreus, nella valle di Swat: “Dopo la prima settimana di bombardamenti i morti non si contano. Si possono invece contare i profughi. Sono almeno un milione.” (Il Mullah Omar, p. 159). Il Corriere della Sera titolerà: “Un milione in fuga dai talebani”, invece fuggivano dai bombardamenti dell’esercito pakistano.
- Chi ha da temere oggi in Afghanistan non sono i civili, a parte i principali “collaborazionisti” che potrebbero essere legittimamente passati per le armi come si è sempre fatto da che mondo è mondo, ma proprio l’Isis . E’ da quando, nel 2015, Isis ha cominciato a penetrare in Afghanistan che i Talebani lo combattono. E’ del 16 giugno 2015 una lettera aperta del Mullah Omar ad Al Baghdadi in cui intima al Califfo di non cercare di penetrare in Afghanistan “perché noi stiamo combattendo una guerra d’indipendenza che non ha nulla a che vedere coi tuoi deliri geopolitici”. E aggiunge “tu stai dividendo pericolosamente il mondo islamico”. La lettera non è firmata direttamente da Omar ma dal suo numero due Mansour. Forse perché Omar era morente o forse come accreditano le versioni occidentali perché era già morto nel 2013 (anche se a me sembra molto improbabile poter nascondere per due anni agli afghani la morte di un leader così prestigioso). In ogni caso la lettera esprime il pensiero del Mullah Omar.
Ora che i Talebani non devono più combattere contemporaneamente gli occupanti occidentali e l’Isis lo spazzeranno via dal Paese. Non sarà facile perché anche gli Isis sono dei formidabili guerrieri, e a loro di morire non importa nulla, mentre i Talebani non hanno questa vocazione al martirio. Però hanno una conoscenza del terreno molto superiore che è uno dei fattori che han permesso loro di sconfiggere le ben più potenti armate occidentali.
- Poco tranquilli possono stare i giornalisti di Tolo TV che è stata la tv di Stato durante tutta l’occupazione occidentale. Poco tranquille possono stare alcune Ong, a meno che non si chiamino Emergency o strutture altrettanto consolidate. Molte di queste Ong, almeno all’inizio, erano piene di ragazze che sono andate in Afghanistan per sperimentare una sorta di “turismo estremo”. Sculavano in shorts offendendo la sensibilità afghana. Del resto nemmeno da noi una donna potrebbe andare a seno nudo in Piazza Duomo, mentre nell’Africa Nera questo è abituale. Si tratta di sensibilità diverse che andavano rispettate. A queste ragazze, se ancora sono da quelle parti, non verrà fatto nulla, verranno solo rispedite indietro a calci nel culo. Come meritano.
- Questa invece è una domanda che pongo al nostro ministro della Difesa e a quello degli Esteri, Di Maio. Che cosa abbiamo fatto noi italiani in Afghanistan oltre ad “addestrare”, si fa per dire, militarmente gli afghani? Cosa già risibile in sé perché se i nostri bambini nascono col ciuccio in bocca i loro nascono con il kalashnikov in mano, cioè sanno usare le armi fin da piccoli. Appena arrivati là come prima cosa abbiamo costruito una chiesa che non era esattamente un’esigenza primaria da quelle parti. Certamente dopo avremo fatto anche dell’altro però vorremmo che i ministri in questione e il Governo riferissero in modo dettagliato in Parlamento su quale sia stato effettivamente, in vent’anni, il nostro contributo civile in Afghanistan.
Il Fatto Quotidiano, 21 agosto 2021