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Martin Eden è un romanzo di Jack London pubblicato inizialmente a puntate sul Pacific Monthly nel 1908. Non è quindi attuale. Non è nemmeno originale perché è una storia d’amore fra un uomo dalle basse origini sociali, Martin Eden, e una ragazza dell’high class, Ruth. Non è originale neppure per il razzismo sociale che si respirava nell’Ottocento, perché su questo sono stati scritti volumi. Martin Eden è invece interessante per chi oggi la pretenda a scrittore. Martin vuole conquistare la fama letteraria per poter sposare Ruth. E scrive, scrive, scrive, racconti, poesie, saggi che manda a decine di riviste che regolarmente glieli respingono. Finché arriverà il libro che gli darà fama internazionale: La vergogna del sole nel romanzo, Il richiamo della foresta nella realtà. Perché Martin Eden è una sorta di autobiografia di Jack London che per anni dovette patire le stesse disillusioni. È una pedagogia dello scrivere, della sua fatica. Martin Eden dovrebbe essere ficcato in testa a martellate a chi oggi si illude di essere uno scrittore perché si abbevera alla Lettura.

Il Fatto Quotidiano, 22 dicembre 2021

"Il Tempo è galantuomo, si dice, ma ci mette troppo tempo" (m.f)

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“Lo Stato? Il più freddo di tutti i mostri” (Friedrich Nietzsche).

In Nuova Zelanda sta per essere approvata una legge che vieta ai nati dopo il 2013 di fumare. Attenzione, non solo per il periodo dell’età minorile, che sarebbe ancora ragionevole, ma per sempre. Fa specie che  un popolo come quello dei Maori, che ci ha abituato a danze scatenate e liberatorie dopo una vittoria nell’America’s Cup o nei campionati di rugby, sport a sua volta liberatorio perché, sia pur entro certi limiti, permette il libero sfogo della violenza, si sia fatto irreggimentare da una legge di questo genere. In realtà la legge neozelandese non è che un aspetto della tendenza molto più generale dello Stato moderno di entrare anche negli anfratti più intimi della nostra vita privata. Di recente cinque funzionari neoassunti alla Casa Bianca sono stati licenziati perché nel questionario loro proposto avevano ammesso di aver fumato marijuana. Ora è ovvio che io non posso far uso di stupefacenti in un’azienda pubblica, ma a casa mia ho il diritto di fare ciò che più mi pare e piace. Del resto negli Stati Uniti sono da tempo in voga questionari di questo genere anche per il fumo, diciamo così, normale di sigarette. Se si scopre che uno è un fumatore non lo si assume. E come lo si scopre? Facendogli fare un esame del sangue prima dell’assunzione. E qui c’è una doppia violazione della libertà dell’individuo. Perché, almeno per la legislazione italiana, nessuno può essere sottoposto a trattamenti sanitari contro la sua volontà (è il grave problema che si è posto con il Covid e l’obbligatorietà dei vaccini che lo Stato italiano non ha potuto imporre ma solo aggirare).

La legge Mancino va ancora più a fondo nella violazione della sfera privata di un individuo, rende infatti reato l’odio che è un sentimento. E i sentimenti non sono comprimibili. Anche se non è molto intelligente, io ho diritto di odiare chi mi pare e piace. È ovvio che se gli torco anche solo un capello devo finire in gattabuia. Ma questo è un altro piano di discorso perché si passa dall’area dei sentimenti e dei pensieri a quella dell’azione. Ancora un passo – e ci siamo vicini  perché in Cina, ma non solo in Cina, si stanno sperimentando queste tecnologie – e lo Stato entrerà anche nei nostri pensieri e ci metterà tutti in gattabuia perché non c’è nessuno che, almeno una volta, non abbia pensato di uccidere questo o quello o l’umanità intera.

Ci sono poi molti casi in Italia in cui solerti assistenti sociali hanno strappato i figli ai genitori perché ritenuti economicamente non all’altezza. Ma chi l’ha mai detto che vivere in un ambiente povero sia preannuncio di una sciagura certa e vivere in uno ricco una garanzia di felicità? Edoardo Agnelli si è suicidato a 46 anni, Christina Onassis a 37. “Col sole e con il mare anche un ragazzo povero può crescere felice” scrive Albert Camus (certo bisogna che ci sia il sole e il mare, secondo me le disuguaglianze climatiche non sono valutate nella loro importanza).

Lo Stato determina poi i nostri comportamenti in modo più indiretto influendo sulla cultura generale. Dobbiamo essere tutti sani e fare almeno sei checkup l’anno, cioè dobbiamo vivere da vecchi fin da giovani, perché se ci ammaliamo le spese per la nostra salute ricadono sullo Stato. Io, dico la verità, anche se giovane non sono, preferisco vivere, e lo Stato risolva questi problemi in altro modo che non sia quello di imporci una salute forzata. La salute è mia e la gestisco io.

Un altro tema è quello del fascismo/antifascismo. A parte frange assolutamente minoritarie, siamo diventati tutti “antifascisti” ora che il fascismo non esiste più, lo eravamo molto di meno quando il fascismo c’era (“Esiste oggi una forma di antifascismo archeologico che è poi un buon pretesto per prendersi una patente di antifascismo reale.  Si tratta di un antifascismo facile facile.” Pier Paolo Pasolini).

Insomma ci stiamo omologando tutti a gran velocità. Ci siamo abituati a subire il Potere, politico o culturale, quale che sia. I “complottisti” sostengono che il Covid non è stato altro che una prova generale per abituarci a obbedire. Sciocchezze. È da tempo che siamo entrati nel mondo di Orwell e che il Grande Fratello decide per noi, docili come pecore, asini al basto.

Il Fatto Quotidiano, 21 dicembre 2021

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A trent’anni di distanza da Mani Pulite è in atto, da parte della fairy band berlusconiana ma non solo ( “abbasso il manipulitismo”, Luciano Violante) la campagna per la “liquidazione finale” di quell’esperienza, stravolgendone anzi capovolgendone la storia.

Mani Pulite viene da lontano. Viene dal collasso dell’Unione Sovietica del 1989. Essendosi di fatto spenta la minaccia dell’ “Orso russo” si liberò il voto di molti cittadini che avevano appoggiato la Prima Repubblica e la sua corruzione col fegato in mano (il “turatevi il naso” di Indro Montanelli). Questi voti democristiani ma anche non democristiani finirono per convergere su un movimento nuovo, anti partitocratico, la prima Lega di Umberto Bossi. La comparsa di una vera opposizione, dopo che da trent’anni il Pci si era associato al potere,  liberò le mani dei magistrati di Milano dove la corruzione, partitica e imprenditoriale,  estesa per tutto lo Stivale era più presente e più pesante. Se in clima consociativo un magistrato osava indagare su qualche “colletto bianco” veniva trasferito lontano dal suo distretto di competenza in modo da renderlo innocuo.

Mani Pulite ebbe un vastissimo sostegno popolare: per la prima volta dopo decenni, a parte casi eccezionali, la classe dirigente, politica ed economica,  era chiamata a rispondere alle leggi che tutti noi dovevamo osservare. Non fu una “rivoluzione” come si dirà in seguito per dare un significato eversivo alla legittima azione dei magistrati. Fu piuttosto un atto di conservazione, di rispetto di quel minimo di legalità che una comunità deve avere per poter tenersi insieme.

All’inizio anche i grandi giornali, che avevano la coda di paglia per avere appoggiato, o comunque non denunciato, la corruzione della Prima Repubblica, si schierarono dalla parte dei magistrati. Esemplare è un editoriale di Paolo Mieli allora direttore del Corriere intitolato: “Dieci domande a Tonino”. Tonino, come se ci avesse mangiato insieme a Montenero di Bisaccia.

Le resistenze al ripristino della legalità portato dalle inchieste di Mani Pulite cominciarono appena il clima si fece un po’ meno incandescente. E’  del 1994 – primo governo Berlusconi, ministro della giustizia Alfredo Biondi - il cosiddetto “decreto salva ladri” che impediva la carcerazione preventiva sostituendola con i “domiciliari” per i reati tipici di “lorsignori”: corruzione, peculato, concussione, abuso d'ufficio, finanziamento illecito, falso in bilancio, frode fiscale.

Premesso che della carcerazione preventiva, quando riguardava la cosiddetta gente comune, non si era mai interessato nessuno,  tantomeno le cosiddette destre (solo dopo Mani Pulite diventate improvvisamente “garantiste”), che anzi intonavano la canzone “in galera subito e buttare via le chiavi”. Per Pietro Valpreda, in galera da quattro anni senza processo e Giuliano Naria che fece nove anni di carcerazione preventiva, entrambi risultati innocenti, non si levò da quelle sponde un solo laio. Sono solo due esempi. Quando in gattabuia cominciarono a finire i colletti bianchi si invocò Amnesty international , perché, si disse, i magistrati li incarceravano per farli confessare, in pratica li torturavano. Replicò Francesco Saverio Borrelli: “Non è così. Noi li arrestiamo e loro confessano”.

Un’altra canzone intonata soprattutto da Berlusconi era che le inchieste danneggiavano l’immagine del nostro Paese all’estero. Falso. In quel periodo l’intera stampa internazionale ammirava, meravigliandosene, l’Italia perché stava riuscendo a ripristinare la legalità (la legalità, non la moralità che è altra cosa) in un Paese che aveva la trista, ma giustificata, fama di essere particolarmente corrotto e Ilda Bocassini, componente del Pool di Mani Pulite fu inserita tra le cento personalità più rilevanti del mondo occidentale. Altra canzone cantata soprattutto da Berlusconi ma non solo era che Mani Pulite danneggiava l’economia del nostro Paese. Falso anche questo. Tangentopoli ci è costata, secondo le indagini al ribasso di Giuliano Cazzola, 630 miliardi, cioè un quarto dell’attuale debito pubblico. Si inventarono poi di sana pianta categorie giuridiche mai prese in considerazione da alcun Codice Penale, come l’”accanimento giudiziario” e la “modica quantità” per i falsi in bilancio.

Non sapendo a che altro aggrapparsi i ladri di regime invocarono la pacificazione nazionale. Cioè il cittadino che si era comportato onestamente, che non aveva evaso  le tasse o rubato sottobanco, che insomma aveva rispettato la legge, doveva “pacificarsi” con quelli che la legge l’avevano violata. Si arrivò anche a teorizzare, da parte dell’onorevole Tremonti che “i comportamenti previsti dalla legge come reati cessano di esserlo se la coscienza morale dominante non li considera tali”. Ma su questa strada ci si è spinti anche oltre: la punibilità o meno di un cittadino dipenderebbe dal consenso che ha o non ha presso l’opinione pubblica (Angelo Panebianco). I reati non sono più tali a seconda della tipologia dei fatti, ma dei loro autori.

Ma la truffa linguistica e logica che faceva,  per così dire, da suggello a tutte le altre, e le completava, era la famosa formula “bisogna uscire da Tangentopoli” (con un’amnistia, con un indulto, con un atto di clemenza). Forse che, amnistiando gli stupratori, usciamo da Stupropoli? I mafiosi da Mafiopoli? I ladri da Ladropoli? In realtà così si incoraggiano solo gli stupratori, i ladri, i mafiosi  a continuare a fare quel che fanno. In questo caso i corruttori e i concussori.

Ma questo è il passato. Oggi, persa ormai ogni verecondia, si rifà la storia di Mani Pulite al contrario. Si sostiene che Mani Pulite fu un “colpo di stato bianco” ispirato dagli americani (perché mai gli americani avrebbero dovuto togliere di mezzo i partiti filo yankee e salvare il Partito comunista, non è facilmente comprensibile). Per Vittorio Macioce de “Il Giornale” Mani Pulite non fu che “una rivoluzione politica fallita, che si è arenata all’improvviso davanti alla vittoria di Berlusconi nel ‘94”. Per il molto commendevole prof. Panebianco, ma non solo per lui, esiste un “partito delle procure” naturalmente di sinistra. Non si è accorto il prof che la sinistra in Italia non esiste più da tempo (“D’Alema dì qualcosa di sinistra, dì qualcosa”, Nanni Moretti ). Dice ancora il prof (editoriale sul Corriere dell’8/6/2021) rimpiangendo il tempo in cui  “la si chiamasse Repubblica dei partiti oppure partitocrazia, la politica comandava e i magistrati erano dominati e controllati”. Cioè il liberale Panebianco si mette tranquillamente sotto i piedi la tradizionale separazione dei poteri (Montesquieu), Esecutivo, Legislativo, Giudiziario e sogna un Paese dove il potere giudiziario è sottoposto al Governo. Ma questo è esattamente ciò che avviene nelle dittature.

Ora, bisogna intendersi. La Magistratura è il massimo organo di garanzia di un Paese. Può sbagliare naturalmente, anche se il nostro ordinamento prevede, più di ogni altro, una serie di controlli, gip, primo grado, Appello, Cassazione, possibilità di revisione del processo. Però alla Magistratura ci si crede o non ci si crede. Se non ci si crede allora bisogna essere conseguenti e aprire tutte le carceri perché chiunque può essere stato vittima della corruzione della Magistratura.

Concludiamo questo articolo, dedicato non solo alla “liquidazione finale” di Mani Pulite ma dell’intera Magistratura, con un articolo di Goffredo Buccini (Corriere, 20/11/2021): “un personaggio pubblico in grado di migliorare di molto il clima sarebbe ancora in campo.”  Indovinate chi è?

Il Fatto Quotidiano, 15 dicembre 2021