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Lionel Messi ha lasciato il Barcellona per andare a giocare al Paris Saint-Germain. Chi si è allontanato dal mondo del calcio, giustamente perché è ormai diventato un groviglio economico e tecnologico insopportabile, ha criticato Messi perché avrebbe lasciato il Barça, dove era dall’età di 14 anni, per brama di denaro. Le cose non stanno così. Messi ha lasciato il Barça, dove ha percorso tutta la sua carriera e dove avrebbe voluto rimanere fino all’ultimo giorno, per una ragione che con il calcio giocato non ha nulla a che vedere e che si chiama “fair play economico”. Secondo il quale in nome del pareggio di bilancio la società catalana non avrebbe potuto permettersi Messi. La politica del Barcellona in questi anni è stata disastrosa. Ha acquistato per cifre enormi, totalmente fuori mercato, mezzi campioni tipo Neymar (poi fortunatamente riciclato proprio al Paris Saint-Germain dov’è altrettanto inutile come lo era al Barça). Ma anche quando era al massimo non riuscì ad accaparrarsi  nell’unico ruolo in cui non era forte,  quello di terzino destro, un giocatore all’altezza, dovendo così adattare in quella posizione Sergi Roberto che è un centrocampista. Sarebbe bastato un onesto Danilo D’Ambrosio, terzino dell’Inter. La stessa squadra nerazzurra è incappata nel fair play economico e ha dovuto cedere Lukaku al Chelsea. Lukaku era un peso per la nazionale belga perché accentrava troppo su di sé il gioco in una squadra che con Kevin De Bruyne e gli altri che gli giravano attorno aveva bisogno di un respiro diverso, nell’Inter era invece importante avendo trovato un’ottima intesa con Lautaro Martinez. Ma la proprietà cinese della società nerazzurra ha deciso che Lukaku era di troppo.

Spiace per Lionel Messi un fine carriera così mesto (a 34 anni non credo che nella squadra francese, di cui è proprietario un emiro del Qatar, zeppa di mezzi campioni sopravvalutati e boriosi, tant’è che spendendo una valanga di soldi il Paris non è riuscito mai a vincere la Champions, Messi possa combinare molto).

Lionel Messi non è solo un grandissimo campione è, secondo la definizione di Fabio Capello, il mister di tutti i mister, la cui parola nel calcio fa Cassazione, un “genio” insieme a Maradona e Pelé. Meritava quindi un ”addio alle armi” diverso.

Ma se andiamo a ben guardare Messi è stato grande soprattutto col Barcellona, avendo alle spalle Iniesta e Xavi. Col Barcellona ha vinto tutto, con l’Argentina pur potendo contare su un altro grande campione Angel Di Maria, “El Fideo”, si è dovuto accontentare di un secondo posto ai Campionati del mondo del 2014.

Del tutto diversa, anche se in parallelo, è la storia di Andrea Iniesta, “don Andrés”. Iniesta è stato un campione in campo e fuori. Quando era all’apice della carriera e tutti i più grandi club europei lo volevano, uscendo da un incontro con i dirigenti del Barça per il rinnovo del suo contratto disse: << Non devo essere moto bravo a trattare perché gli ho detto che, comunque vadano le cose, voglio finire la mia carriera al Barça>>. Iniesta è un tipo molto strano, modesto, che ha l’aspetto di un impiegatuccio anche un poco sofferente. I giocatori del Barça quando volevano prendersi in giro dicevano: << sei pallido come Iniesta>>. Ma in campo senza mai darsi arie da fenomeno lo era. Era chiamato “l’illusionista” perché quando aveva la palla fra i piedi la faceva sparire. Ma non era questa la sua dote principale, è che era capace di trovare nel groviglio dei difensori avversari quei trenta centimetri di spazio che mettevano il compagno solo davanti alla porta.

Ho assistito alla partita d’addio di Iniesta il 20 maggio 2018 contro il Villa Real. Mi trovavo per caso a Barcellona, il Camp Nou era zeppo all’inverosimile, non perché la partita col Villa Real contasse qualcosa ma perché era l’ultima partita di don Andrés. Ho trovato due posti per miracolo grazie a mio figlio che nella città catalana è di casa. L’allenatore del Barça, Valverde, fece uscire Iniesta a quindici minuti dalla fine per concedergli la standing ovation che durò per tutto il tempo in cui Iniesta, lentamente,  lasciò il campo di gioco. Tempo che l’arbitro non pensò nemmeno di dover recuperare perché non era la partita che contava ma l’addio di Iniesta.  La folla cantava “infinit Iniesta”. Fu un momento di grande commozione. Le telecamere dello stadio inquadravano Iniesta seduto in panchina. Era pallido come al solito, più del solito. Si capiva chiaramente che stava pensando ai 22 anni in cui era stato al Barça dove era entrato, come Messi, a 14 anni.

A proposito di addii mi piace ricordare quello di Ruud Van Nistelrooy al Madrid. <<Tutti i calciatori del Real, comprese le riserve, erano schierati a centrocampo in tenuta da gioco. Van Nistelrooy entrò in campo in abiti civili, si diresse verso quelli che erano diventati i suoi ex compagni. Tutti lo salutarono. Anche Cristiano Ronaldo, dimenticati gli antichi dissapori, alzo i pollici come per dire “good luck”. Ruud uscì senza tenere discorsi, non era il tipo. Ma alla fine della partita il pubblico del Bernabeu lo richiamò a gran voce. Non era ancora sazio. Voleva tributargli un’ultima standing ovation>>.

Passi d’addio per grandi campioni che lasciano in modo definitivo la carriera sono stati organizzati molte volte (mi pare per Baggio e Del Piero, fra gli altri) ma non era questo il caso di Van Nistelrooy che passava all’Amburgo e quindi a una potenziale avversaria in Champions. Oggi Van Nistelrooy, la mia passione di tutte le passioni dopo il Mullah Omar, è piuttosto dimenticato. Ma non si può dimenticare che Ruud è quarto in Champions per media fra partite giocate e gol segnati con lo 0,74, dopo Messi, Ronaldo e Robert Lewandowski che lo ha appena raggiunto. Ed è in Champions che si misura il vero valore di un attaccante. Motivo per cui tipi come Higuain, “il Pipita”, ma è solo un esempio, molto sopravvalutati hanno chiuso in modo assai modesto la loro carriera e la Juventus se n’è volentieri liberata. Mi piacerebbe anche che Capello si ricordasse ogni tanto di Van Nistelrooy che gli ha fatto vincere un campionato spagnolo col peggior Madrid di tutti i tempi, dove c’erano appena tre grandi giocatori, Ruud appunto, Sergio Ramos e il portiere Iker Casillas, non a caso soprannominato “san Iker”. Come centrocampista c’era Gago, figuriamoci. Oggi il centravanti che più somiglia a Van Nistelrooy è Robert Lewandowski, non solo perché è un grande cannoniere, 553 reti in 822 partite, media 0,67, ma perché, come Ruud, apre il gioco agli altri e ha la generosità di servire il compagno meglio piazzato (in antiquo Cristiano Ronaldo) anche quando potrebbe tirar lui.

Comunque, tornando all’addio di van Nistelrooy, ci piace ricordare ciò che scrisse il corrispondente da Madrid della Gazzetta dello Sport Filippo Maria Ricci: <<Gli ultras hanno inneggiato a lungo Van Nistelrooy che aveva salutato il Bernabeu prima dell’inizio e che torna fuori alla fine per rispondere alla chiamata dei tifosi. Per i nuovi eroi ci sarà tempo>>.

Il Fatto Quotidiano, 15 agosto 2021

I Talebani trionfano a Kabul. Che Allah ti abbia sempre in gloria Omar. Non so se scriverò ancora su Afghanistan. Il mio dovere l'ho fatto per 25 anni cercando di smascherare le fandonie, le menzogne e mezze verità, che sono ancor peggio, che i media occidentali hanno riversato sul movimento talebano. Adesso, nonostante la vergognosa sconfitta o forse proprio per essa, i soliti media cercano di dipingere i Talebani come "brutti, sporchi e cattivi" dimenticando chi in questa vicenda sono stati gli aggressori e chi gli aggrediti e soprattutto senza cercar minimamente di capire quali sono state, e quali sono, le ragioni del movimento talebano, ragioni che invece aveva ben inteso uno dei nostri soldati là impegnati, Matteo Miotto, a cui ho dedicato il mio libro Il Mullah Omar. E a questo libro, che è del 2011 ma in cui c'è già in nuce tutto quello che accadrà fino a oggi, rimando il lettore che voglia saperne di più. (m.f.)

 

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Se Marco Travaglio in un articolo del 6 agosto non avesse sollevato il caso di Renato Farina, in arte Betulla, arruolato, con 18.000 euri l’anno,  come “consulente giuridico” nello staff del ministro della Pubblica Amministrazione Renato Brunetta, la cosa sarebbe rimasta del tutto inosservata. Del resto anche quando si venne a sapere che il Farina, che allora lavorava al Giornale, faceva due lavori, uno come giornalista, si fa per dire, e l’altro come informatore del Sismi, prendendo soldi dagli uni e dagli altri, ci fu chi lo difese perché in questo paese di corrotti e corruttori c’è sempre qualcuno più corrotto degli altri. Giuliano Ferrara, che a suo tempo era stato informatore della Cia, non si sa se pagato con denari sonanti o altro tipo di favoritismi, scrisse: <<Prende due stipendi? E che male c’è, fa due lavori>>. E’ come se un poliziotto prendesse uno stipendio dallo Stato e un altro se lo intascasse come refurtiva.

Mi ricordo che all’epoca di quei fatti Valeria Braghieri, che lavorava e ancora lavora al Giornale mi raccontò di aver trovato il Farina affranto, appoggiato a uno stipite, che piagnucolava: <<Sì, è vero, ho preso dei soldi dal Sismi, ma li ho dati in beneficenza>>. E’ tipico di questo genere di cattolici salvarsi la coscienza con i nostri soldi.

Ora il Farina si è dimesso. Ma il problema di fondo resta perché non riguarda questo povero straccio, ma il ministro della Pubblica Amministrazione Renato Brunetta. Perché è stato lui che, con dispregio del pericolo, del ridicolo ma anche dei suoi concittadini, ha assunto un soggetto che era stato condannato a sei mesi (poi patteggiati) per  “favoreggiamento in sequestro di persona”. Quindi non è il Farina, che scappati ormai i buoi dalla stalla, doveva dimettersi,  ma semmai Renato Brunetta. E ci piacerebbe che su questa questione che non è affatto risolta con le dimissioni del Farina ci fosse almeno un’interpellanza dell’opposizione, in particolare di Giorgia Meloni a cui abbiamo sempre riconosciuto, nonostante noi la si pensi molto diversamente, un’autentica passione politica. Ma anche gli altri partiti, 5stelle, Pd, Leu, Lega e quei radicali che ai bei tempi di Marco Pannella erano molto attenti alla cosiddetta “questione morale”, non rimanessero indifferenti. Non ci possiamo appellare invece agli uomini di Forza Italia non solo perché Renato Brunetta è al centro della questione, ma perché a un partito che ha come leader un tale che ha avuto lo stomaco di truffare una minorenne orfana di entrambi i genitori non può interessare in alcun modo l’etica. Sia detto con buona pace del cattolico Renato Farina.

A sostegno del Farina è venuto in questi giorni Piero Sansonetti, uno che ha avuto un altro tipo di stomaco passando dall’Unità, quando i comunisti erano forti, al Riformista, oggi che a essere forti sono le cosiddette destre (chiedo scusa alla Destra). Ha scritto infatti il Sansonetti, paragonando i giornalisti del Fatto  alle squadracce fasciste: <<Gli squadristi facevano così. Andavano in sette otto, prendevano un avversario solo solo e lo bastonavano con ferocia>>. A parte che questo è un oltraggio agli autentici martiri dell’antifascismo, da Matteotti ai fratelli Rosselli, non mi pare che si possa definire “solo solo” un tale che è stato parlamentare per il Popolo della Libertà e che è ben incistato nel mondo berlusconiano che, fra le altre cose, gli ha permesso di fare un mestiere, quello del giornalista, per il quale non è per nulla tagliato.

Adesso il Farina, non sapendo dove altro appigliarsi, se la prende con me su Libero per un articolo che ho scritto sul Fatto a proposito degli “integralismi” Covid e MeToo. Lasciamo pur perdere che quel pezzo è in totale contrasto con la linea del Fatto, ma Marco Travaglio lo ha pubblicato ugualmente perché, a differenza del Farina, abituato a mettersi a bucopunzoni davanti a qualsivoglia potere purchessia, è un giornalista e un autentico “liberale montanelliano”, a Renato Farina non rispondo,  non perché la sua prosa sgangherata non possa essere confutata punto per punto, non per supercigliosità, ma perché col Farina ho avuto già a che fare. In un anno che non ricordo Vittorio Feltri, direttore allora di Libero, mi mandò a casa il Farina per una lunga intervista. Nelle intenzioni di Feltri era una gentilezza nei miei confronti. Purtroppo su due pagine solo le prime dieci righe, scritte peraltro in un italiano penoso, erano veritiere, per il resto erano domande inventate e risposte altrettanto inventate. Mi ricordo che, stupito, mandai un biglietto a Vittorio  che diceva pressappoco:  <<A tipi così, ai nostri tempi, si sarebbero affidati, e sarebbe stata ancora cara grazia, solo i “Taccuini”>>. E allora che credito posso mai dare al Farina che oltre tutto, molto cattolicamente, mi da già per defunto?

Il Fatto Quotidiano, 12 agosto 2021

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La musica contemporanea mi butta giù” (Franco Battiato)

A me “buttano giù“ altre cose. Non ne posso più degli integralismi che attraversano la nostra società. Il primo è l’integralismo sul Covid o, per essere più precisi, sulle misure anticovid. Intanto le comunicazioni del Governo (mi spiace per il ministro Speranza che è una brava persona) e del suo Comitato scientifico  sono così farraginose, complesse e contraddittorie che sfido qualsiasi persona normale a capirci qualcosa. Il Green pass ne è l’ultimo esempio. Se costoro pensano di trascinarci ancora per anni con vaccini, richiami dei vaccini e richiami dei richiami si sbagliano. Lo stress che sopportiamo da due anni non è più sostenibile . Non che noi si abbia la forza di ribellarci in modo attivo, lo faremo per omissione rifiutandoci di farci vaccinare. Oltre tutto è abbastanza chiaro, almeno così a me sembra, che il Covid 19 sfugge ai vaccini, preparati troppo in fretta e sulle cui conseguenze a medio e lungo termine non possiamo saper nulla, perché muta in continuazione. Tra l’altro opponendoci in modo così ottuso al Covid noi in realtà ne prolunghiamo l’esistenza. Se avessimo lasciato fare alla Natura quello che alla natura compete, cioè sfoltire la popolazione quando è in sovrabbondanza, il Covid sarebbe morto per inedia e sarebbe durato un paio di anni. L’epidemia si sarebbe ripresentata in forma diversa dopo qualche decennio com’è stato per tutte le epidemie del passato. Inoltre io non capisco proprio perché per salvare dei settuagenari od ottuagenari, in genere affetti da due o tre gravi patologie, si sia bloccata la vita di intere generazioni a cui il Covid non poteva far nulla. Che muoia chi deve morire e smettiamola con questa farsa tragica. “Settanta sono gli anni della vita dell’uomo” dice la Bibbia e padre Dante fissa il “mezzo del cammin di nostra vita” a 35 anni , il che vuol dire che gli uomini del Medioevo pensavano che una vita media, normale, avesse quella durata. Non ci si deve far fuorviare dal fatto che gli scienziati e gli storici, in perfetta malafede,  affermano che la vita media dell’uomo del Medioevo era di trent’anni o poco più. Il dato è falso perché sconta l’alta mortalità natale e perinatale che lasciava in vita solo i più robusti. Il raffronto va fatto non con la vita media ma con l’aspettativa di vita dell’adulto. Da questo punto di vista, è vero, abbiamo guadagnato alcuni anni poiché questa aspettativa, secondo dati del 2016, è di 80,6 per gli uomini e di 85 per le donne. Ma bisogna poi vedere qual è la qualità della vita in questi anni che abbiamo strappato. Fatta ogni debita eccezione, tutti noi abbiamo esperienza di anziani che trascinano una vita che non è più una vita in interminabili e penose agonie cui sarebbe di gran lunga preferibile la morte. In fondo la morte, se non si trascinano le cose oltre ogni limite di decenza, è una cosa pulita. Infine noi stiamo creando, artificiosamente, un mondo di vecchi che pesa sulle generazioni più giovani e vitali. Lo psicoanalista Cesare Musatti, a novant’anni, e quindi al di sopra di ogni sospetto, disse: <<Un mondo popolato in prevalenza da vecchi mi farebbe orrore>>.

La seconda intollerabile intransigenza è quella del cosiddetto metoo. Il reato di molestie sessuali è il solo, mi pare, che prevede un’immediata presunzione di colpevolezza  invece della presunzione di innocenza che, dal punto di vista giuridico, è il caposaldo di ogni democrazia che voglia definirsi tale. Adesso sotto il torchio di metoo, ma è solo l’ultimo di moltissimi casi analoghi, c’è il Governatore di New York, Andrew Cuomo, accusato di “comportamenti inopportuni” e pressioni da undici donne. Il presidente Joe Biden ne ha chiesto le immediate dimissioni e la stessa richiesta l’ha fatta in una conferenza stampa la Procuratrice generale di New York, Letitia James, che è un Pm non un giudice. Vogliamo almeno aspettare una sentenza? In questi casi, come ho già scritto, io consiglio una querela per diffamazione, perché secondo le regole del diritto è l’accusa a dover provare l’esistenza del reato, non la difesa del presunto colpevole a dover provare la propria innocenza. E poi le “molestie sessuali” hanno assunto contorni sempre più estesi e sempre meno definiti. Che cos’è infatti un “comportamento inopportuno”? Tutto può essere “inopportuno”. Se io seduto sul mio divano abbraccio le spalle della donna che mi sta a fianco è un comportamento “inopportuno”? Se la guardo con troppa intensità è un comportamento “inopportuno”?  Ma allora come faccio a farle capire che mi piace e che la desidero? Dovrò forse presentarle una richiesta scritta, come già si fa in America? In quanto a lei ha mille modi per farmi capire che la cosa non le va. Il primo, e il più eloquente, è alzarsi e prendere la porta di casa.

Il direttore dell’Orchestra Reale di Amsterdam, l’italiano Daniele Gatti, nel 2018 è stato licenziato in tronco per “comportamenti inappropriati”. Poi si sono aperte le cateratte che hanno investito, fra gli altri, Depardieu, poi assolto per “insufficienza di prove”, Placido Domingo, Vittorio Grigolo e da ultimo Kevin Spacey eliminato brutalmente dal cast di un film di Ridley Scott, carriera finita. Al ministro gallese, Carl Sargeant, non è bastato dimettersi, investito da una campagna stampa si è suicidato a 46 anni. Fin dove vogliamo arrivare?

Quando io ero giovane c’era tra noi ragazzi un codice non scritto. Faccio il solito esempio del ballo, “il ballo del mattone” come canta Rita Pavone. Se lei ti metteva il braccio sul petto voleva dire che era meglio lasciar perdere, se ti metteva la mano sulla spalla il segnale era neutro, se ti metteva il braccio attorno al collo era incoraggiante  ma non aveva nulla di decisivo, sarebbero seguite altre schermaglie. Era l’eterno gioco della seduzione.

Oggi pare che i sessi, o generi, chiamateli come vi pare, non siano più capaci di intendersi. E comincia a diventare sinistramente vera un’affermazione del solito Nietzsche: <<L’amore? L’eterno odio tra i sessi>>.

Il Fatto Quotidiano, 10 agosto 2021

"L'amore è un disturbo psicosomatico creato dalla Natura per costringere a congiungersi due sessi altrimenti incompatibili" (m.f.)