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Pubblico la lunga intervista che mi è stata chiesta dalla rivista "controculturale" francese Rébellion. Evidentemente all'estero mi si considera un po' più che in Italia. Non c'è solo Rébellion, ovviamente, non ricordo se il New York Times o il New Yorker, andando un po' oltre il segno, mi ha definito uno dei pochi filosofi italiani contemporanei. Nemo profeta in patria, come si suol dire. (m.f.)

Rébellion, 15 Luglio 2021

Intervista disponibile qui in francese, qui in italiano, qui in tedesco.

D’ora in poi scriverò solo per Der Spiegel, in italiano naturalmente, e per il Novel Observateur (col francese me la cavo un po’ meglio) visto che da quelle parti ritengono che ciò che scrivo abbia un senso. (m.f.)

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Il generale americano Austin Miller, comandante della missione in Afghanistan, ha affermato che prepara raid aerei se i Talebani non fermeranno la loro offensiva. Ma come? Gli americani non hanno appena firmato a Doha un accordo con i Talebani in cui si impegnano a por fine a una belligeranza che dura da più di vent’anni? Ma che fine della belligeranza è mai se una parte decide sì di abbandonare fisicamente, con i propri uomini, l’Afghanistan, ma poi continua a bombardare il nemico dalle sue basi in Pakistan o magari dal Nevada? Che valore possono avere, non solo per i Talebani che sono i diretti interessati, ma per chiunque, gli impegni, le parole, l’onore degli americani?

Intanto americani e turchi stanno discutendo fra di loro su chi debba gestire l’aeroporto di Kabul. E questo senza consultare non dico i Talebani ma quello che gli stessi americani ritengono il governo legittimo dell’Afghanistan, quello di Ashraf Ghani. Cioè non rispettano nemmeno quello che loro stessi hanno deciso. A questo punto non si riesce più nemmeno a trovare le parole per descrivere una situazione che viola non solo ogni norma di diritto internazionale, ma la correttezza più elementare, il rapporto di fiducia più elementare, la morale più elementare.

Sono almeno vent’anni che i governi americani, democratici o repubblicani che siano, violano costantemente quello che dovrebbe essere il diritto internazionale: l’aggressione alla Serbia del 1999, quella all’Iraq del 2003, quella alla Libia del 2011 sono state condotte non solo senza l’approvazione dell’Onu ma contro la sua volontà. A questo punto ci si chiede cosa conti l’Onu. Con tutta evidenza: niente.

In tutto questo aggiungiamo, per sola misura di contorno, che la stampa italiana riesce a essere più serva di qualsiasi servo. Sul Corriere della Sera la collega Marta Serafini ci fa un lacrimevole ritratto dell’Afghanistan in questi vent’anni di guerra: civili uccisi, bimbi uccisi, donne uccise. Si dimentica però di dire chi ha causato queste vittime. Non certo i Talebani. Per due motivi. Uno formale, l’altro sostanziale. Nel Libretto Azzurro, naturalmente irriso in Occidente, il Mullah Omar dettava precise indicazioni ai suoi comandanti militari: “Il sacrificio dei valorosi figli dell’Islam è lecito soltanto se il bersaglio è importante, vale a dire solo per obiettivi militari e politici cha abbiano una certa rilevanza, col massimo impegno per scongiurare vittime civili”. E il Mullah Omar aveva il prestigio sufficiente per imporsi, ammesso ce ne fosse stato bisogno, ai suoi combattenti che rispettarono puntualmente quelle consegne. Motivo sostanziale, come ho scritto e ripetuto alcune centinaia di volte, è che i Talebani non avevano alcun interesse a inimicarsi la popolazione civile sul cui sostegno hanno potuto condurre, in totale inferiorità per mezzi tecnici, una vittoriosa guerra di indipendenza ventennale. Per quanto possa sembrar strano ad orecchie occidentali, bombardate dagli articoli della Serafini e di tutte le Serafini, il Mullah Omar era un uomo etico, di principi, come dimostra, in modo inequivocabile e non contestabile, il trattamento che i Talebani han sempre riservato ai loro prigionieri, considerandoli correttamente prigionieri di guerra e non trattandoli alla Guantanamo. Lasciamo anche perdere, per carità di patria, la consueta confusione che si fa, volutamente o per ignoranza, fra Talebani e Isis.

Il destino del governo “regolare” di Ashraf Ghani è segnato. I soldati regolari accettarono a suo tempo l’ingaggio per avere, in una Kabul che aveva raggiunto la dimensione mostruosa di cinque milioni di abitanti e dove era stato distrutto anche l’artigianato locale, un salario purchessia, ma adesso disertano: o si uniscono ai Talebani o si rifugiano, cercando protezione, presso i rispettivi clan.

Il generale Miller si dice preoccupato che l’Afghanistan sia sconvolto da una guerra civile che veda contrapposti pashtun, tagichi, uzbechi. Questo è possibile. Peccato che nella loro travolgente avanzata fra il 1994 e il 1996 , i Talebani, in maggioranza pashtun, avessero sconfitto i leggendari “signori della guerra”, Dostum, Heckmatyar, Ismail Khan, che si erano messi a capo delle rispettive etnie per pure ragioni di potere personale, riportando per sei anni l’ordine, la pace e la legge in quel Paese (in Uzbekistan fu ricacciato Dostum, che attualmente è vicepresidente del governo afghano, un tale pendaglio da forca che gli stessi americani gli hanno negato il visto per gli Stati Uniti, Heckmatyar e Ismail Khan si rifugiarono nell’Iran sciita, in quanto a Massud, che aveva tradito il suo Paese chiedendo l’aiuto americano, s’è fatto fuori da solo perché i servizi segreti USA, ritenendolo troppo ingombrante, lo avevano a suo tempo eliminato).

Sì, è possibile che in Afghanistan ritorni la guerra civile che si era scatenata, fra il 1990 e il 1996,  dopo il ritiro degli invasori sovietici e a cui l’avvento dei Talebani aveva posto fine. In questo caso avremmo fatto tornare indietro l’orologio della storia afghana di trent’anni. Complimenti.

Il Fatto Quotidiano, 14 Luglio 2021

"I miei veri lettori non sono miei lettori" (m.f.)

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“È evidente che la gente è poco seria quando parla di sinistra o destra… Ma cos'è la destra, cos'è la sinistra. Fare il bagno nella vasca è di destra, far la doccia invece è di sinistra. Un pacchetto di Marlboro è di destra,
di contrabbando è di sinistra. Ma cos'è la destra, cos'è la sinistra… Se la cioccolata svizzera è di destra la Nutella è ancora di sinistra… Il pensiero liberale è di destra, ora è buono anche per la sinistra… È il continuare ad affermare un pensiero e il suo perché con la scusa di un contrasto che non c'è. Ma cos'è la destra, cos'è la sinistra. Destra, sinistra. Destra, sinistra. Destra, sinistra. Destra, sinistra. Basta!”.

(Destra Sinistra, Giorgio Gaber).

La canzone è del 1994. Gaber si rendeva conto, ma la questione era nata molto prima, che destra e sinistra erano due categorie che non esistevano più e che dividersi su esse era lasciato a dettagli inconsistenti se non ridicoli.

Destra e sinistra sono due ideologie nate con l’Illuminismo che cercò di razionalizzare quel grande evento epocale nato in Inghilterra a metà del XVIII secolo, la Rivoluzione industriale, che ha cambiato radicalmente le nostre vite e che a sua volta è preceduta dalla rivoluzione scientifica e, in modo più profondo, dall’avvento del mercante come forte e rispettata classe sociale, mentre fino ad allora il mercate occupava l’ultimo gradino nella gerarchia dei valori.

Destra e sinistra hanno quindi un’origine comune e molti tratti in comune. Sono entrambe positiviste, progressiste, ottimiste, moderniste, economiciste, entrambe hanno il mito del lavoro (per Marx è “l’essenza del valore”, per i liberisti è esattamente quel fattore che, combinandosi col capitale, dà il famoso “plusvalore”), sono industrialismi che pensano che l’industria e la tecnica creeranno una tale cornucopia di beni da dare la felicità a tutti (Marx) o, più realisticamente per i liberisti, al maggior numero di uomini. Fin qui ciò che hanno in comune. Divergono profondamente, invece, sul modo di produrre e soprattutto di distribuire la ricchezza.

Per semplificare le cose è lo scontro in atto dalla metà del XVIII secolo fra capitalismo e, al suo estremo opposto, il comunismo nelle sue varie declinazioni. Io vedo capitalismo e marxismo come due arcate di un ponte che per secoli si sono sostenute a vicenda. Ma il crollo del marxismo prelude, rifacendoci all’immagine del ponte, a quello del capitalismo per la mancanza di opposizione e di limiti. Come scrivo ne Il Ribelle dalla A alla Z: “Se il comunismo è vittima del suo insuccesso, il capitalismo lo è del suo successo”. Ma per ora il capitalismo è pienamente in sella. Tutto il mondo oggi è organizzato secondo il libero mercato, che è l’essenza stessa del capitalismo. Anche paesi totalitari, come ad esempio la Cina, sono a libero mercato sia all’interno che all’esterno. E dove c’è il libero mercato non ci può essere comunismo o fascismo se non nella loro forma più deteriore che è quella della dittatura e della cancellazione di ogni libertà civile.

Anche la ricerca della famosa “terza via”, cioè di una composizione fra liberismo e diritti civili, su cui le sinistre storiche si sono divise mille volte, non ha dato risultato, perché dove c’è libero mercato non ci può essere quell’uguaglianza che è forse l’obiettivo principale del pensiero di Marx.

Per la verità una soluzione, almeno teorica, ci sarebbe e si chiama socialismo, che cerca di coniugare una ragionevole uguaglianza sociale con i diritti civili. Ma quel che resta del socialismo è combattuto in tutto il mondo dal capitalismo occidentale imperante e viene bollato come dittatura anche quando dittatura non è, come nel caso del socialismo bolivariano preso in mano in Venezuela da Chávez e poi da Maduro, o da Lula in Brasile, fatto fuori con un pretesto risibile (è chiaro che Bolsonaro è molto più funzionale) o la Serbia di Milosevic che aveva il gravissimo torto di essere rimasto l’ultimo paese socialcomunista d’Europa.

Destra e sinistra, cioè le ideologie, hanno avuto anche, per molto tempo, un’importante funzione psicologica. Hanno sostituito laicamente il vuoto lasciato dalla “morte di Dio” e più in generale del sacro, che l’Illuminismo, come ha scritto benissimo Nietzsche, aveva consumato. Ma a due secoli e mezzo di distanza possiamo dire, con amarezza, che questa utopia bifronte ha fallito. Oggi l’uomo è stato spossessato di se stesso dall’Economia, il cui tono non è più nemmeno industriale ma finanziario, dalla Tecnologia, dalla Scienza, idoli cui bisogna sacrificare senza obiezioni. Siamo tutti omologati. Destra e sinistra, categorie di cui non si può negare l’importanza storica, oggi son divenute obsolete perché non sono in grado di intercettare le esigenze più profonde dell’uomo contemporaneo, occidentale, che, al di là delle apparenze, non sono economiche ma esistenziali. Vale il distico di Gaber “la passione, l'ossessione della tua diversità, dove è andata non si sa”.

Il Fatto Quotidiano, 6 luglio 2021