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L'Istat nel ristrutturare la composizione della popolazione italiana per fasce d'età, definisce gli over 65 'giovani anziani'. E' una caratteristica tipica di questa nostra società bizantina di mettere le parole al posto delle cose credendo cosi' di mutarne la natura. Smettiamola di prenderci in giro con questa ossessione della giovinezza a tutti i costi. I Romani che erano meno ipocriti e retorici di noi fissavano l'inizio della vecchiaia a 60 anni. E cosi' è anche oggi come sa chi abbia compiuto questo fatidico compleanno. Come immutato è il periodo di fecondità della donna, che raggiunge il suo apice a 27 anni per degradare poi e concludersi poco dopo i quaranta, a meno di non ricorrere a qualche artificio tecnologico degno del laboratorio del dottor Frankenstein.

Viviamo più a lungo, è vero. Ma non nei termini cosi' clamorosi di cui ci informano, non innocentemente, gli storici e gli scienziati, secondo i quali gli uomini nel Medioevo vivevano in media 32 anni. Ora, gli uomini e le donne del Medioevo si sposavano, in genere, rispettivamente a 29 e a 24 anni (solo nella classe nobiliare i matrimoni erano molto precoci, soprattutto per motivi di intrecci dinastici). Non avrebbero avuto quindi nemmeno il tempo di crescere i primi figli, invece ne partorivano a dozzine o mezze dozzine. Come si spiega? Col fatto che parlare di 'vita media' di 32 anni è una statistica alla Trilussa, perchè quella società scontava l'alta mortalità natale e perinatale. Il confronto corretto, come sanno benissimo gli scienziati e gli storici moderni anche se lo nascondono, è con l'aspettativa di vita dell'adulto. Un uomo del Medioevo viveva, in linea di massima, 70 anni. Non a caso padre Dante fissa il «mezzo di cammin di nostra vita» a 35 anni. Oggi l'aspettativa di vita, in Italia, è di 78 anni per l'uomo e di 83 per la donna. Abbiamo guadagnato circa dieci anni, che comunque non è poco. Bisogna vedere pero' come li viviamo questi anni lucrati in più all'esistenza. Spesso, troppo spesso, li trasciniamo portandoci addosso malattie terrorizzanti, dolorose, umilianti, dimidianti, intubati, attaccati a macchine, tenuti in vita a forza dalla medicina tecnologica tanto per confortare le statistiche sulla longevità (io, come tutti, ho paura della morte, ma ho ancora più paura che i Frankenstein moderni «mi salvino»). Ma la questione di fondo non è nemmen questa quando si parla di vecchiaia nella modernità. Nella società preindustriale il vecchio, contadino o artigiano che fosse (il 90% della popolazione), restava fino all'ultimo il capo della famiglia, attorniato dai figli, dai nipoti, dalle donne, dai numerosi bambini (oggi, in Europa, solo il 3,5% degli anziani vive con i propri figli), in una società a tradizione prevalentemente orale era il detentore del sapere, conservava un ruolo e la sua vita un senso. Oggi ( a parte alcune categorie di privilegiati:i politici, gli artisti) il sapere del vecchio è obsoleto, non conta più nulla. Scrive lo storico Carlo Maria Cipolla: «Una società industriale è caratterizzata dal continuo e rapido progresso tecnologico. In una tale società gli impianti divengono rapidamente obsoleti e gli uomini non sfuggono alla regola. L'agricoltore poteva vivere beneficiando di poche nozioni apprese nell'adolescenza. L'uomo industriale è sottoposto a un continuo sforzo di aggiornamento e tuttavia viene inesorabilmente superato. Il vecchio nella società agricola è il saggio, nella società industriale è un relitto». Altro che 'giovani anziani'.

Massimo Fini

Il Gazzettino,25 aprile 2013

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Per motivi legati ai tempi di una rubrica scrivo prima che sia iniziata la quarta votazione per il Quirinale (quella che potrebbe essere la decisiva perchè richiede la maggioranza assoluta e non dei due terzi), ma quando il Pd si è ufficialmente ricompattato sul nome di Romano Prodi. E' la fine del 'grande inciucio' che Pier Luigi Bersani e Silvio Berlusconi avevano tentato accordandosi sul nome di un frusto e sbiadito notabile dell'antico regime come Franco Marini. E probabilmente è anche la fine di Silvio Berlusconi che nei giorni scorsi aveva arrogantemente dichiarato: «Se fanno Prodi ce ne andiamo tutti all'estero». E che ci vada (lui, non i suoi elettori che meritano rispetto), alle Bermude, possibilmente nel Triangolo. Perchè l'energumeno, con la sua violenza in doppiopetto, col dispregio di ogni forma di legalità («delinquente naturale» lo ha definito il Tribunale di Milano che lo ha condannato a quattro anni per il truffone sui diritti televisivi di Mediaset) è stato per quasi vent'anni un macigno sulla politica e la vita del nostro Paese, togliendo, fra le altre cose, alla maggioranza degli italiani quel poco di senso dell'onestà che gli era rimasto.

Sarebbe semplicemente pazzesco che i 5Stelle non votassero Prodi per insistere su Rodotà. E' vero che nelle loro 'quirinarie' Rodotà è arrivato terzo e Prodi nono. Ma non si puo' essere cosi' meccanici. E qui viene a galla la debolezza della democrazia diretta via web, che va bene, forse, per la scelta dei parlamentari o per l'approvazione di una legge, ma è troppo astratta per una partita a scacchi cosi' complessa come quella del Quirinale. Del resto Grillo avrebbe già potuto risolvere la questione se invece di avanzare i nomi dell'inutile Gabanelli o dell'improbabile Strada avesse puntato fin da subito sulla terna inizialmente proposta da Bersani (Zagrebelsky, Caselli, Rodotà) che stavano pure nella 'decina' scelta dagli elettori 5Stelle. Il segretario del Pd non avrebbe potuto dirgli di no perchè erano i 'suoi' candidati. Invece ha perso due giorni dando modo a Berlusconi e Bersani di tentare l'inciucio, per fortuna fallito.

Adesso per Rodotà è troppo tardi. Perchè Bersani dopo aver ricevuto uno schiaffone non potrebbe accettare un candidato che, con i suoi sponsor, gli si è messo di traverso. Del resto fra Prodi e Rodotà c'è un abisso. Rodotà, deputato 'indipendente' del Pci nel '79, del Pds nel '83 e nell'87, presidente del Pds nel '91 -'92, è un tipico esponente della sinistra radical-chic che tanto piace alla Repubblica e a Scalfari. Basta vederlo in bermuda nell'isola esclusiva di Alicudi per capire chi è Stefano Rodotà. Che ci hanno a che fare i grillini? Prodi ha tutt'altra caratura. Ma anche se non ha 80 anni non è nemmen lui di primo pelo. Era ministro dell'Industria già nel 1973, è stato un boiardo di Stato, due volte presidente del Consiglio. Non è certamente 'il nuovo che avanza'. Ma per intanto cominciamo a far fuori Berlusconi. Poi verrà la volta anche del Pd. Alle prossime elezioni. Allora la sarà finita, una volta per tutte, con una partitocrazia che per trent'anni ha rubato, taglieggiato, come la mafia, costituendosi in una oligarchia clientelare che ha umiliato il cittadino che ha voluto conservare la propria dignità rimanendo un uomo libero.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 20 aprile 2013

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Scrivo, per motivi di orario, fra la prima e la seconda votazione che non dovrebbe pero' cambiare la situazione perchè Pdl e Pd hanno già dichiarato che voteranno scheda bianca. Il grande sconfitto, ma lo sappiamo tutti, è Pierluigi Bersani che facendosi sedurre da Berlusconi a puntare su un notabile dell'ancien régime come Franco Marini è riuscito non solo a perdere l'alleato Sel ma a spaccare il suo partito in tre o quattro pezzi tanto che non è più nemmen certo che un Partito democratico esista ancora. Silvio Berlusconi esce rafforzato dalla prova. Non gli è riuscito il 'grande inciucio' sul nome di Marini che doveva essere il preludio a quel governo di 'grosse koalition' cui mirava (pero' puo' sempre riprovarci con un altro candidato Pd a lui non sgradito ma più digeribile dalla base dei democrat), ma ha dimostrato di avere totalmente in pugno il suo partito (e anche la Lega) e con le sue falangi schierate a testuggine come l'antico esercito romano ha disarticolato le fragili schiere di quello che fino a ieri era il suo principale avversario (ora diventa Grillo).

C'è poi un piccolo sconfitto anche se appare un vincitore. Ed è Matteo Renzi. Il sindaco di Firenze ha mostrato tutta la sua smisurata ambizione e ambiguità. Dopo innumerevoli dichiarazioni di lealtà al segretario del suo partito lo ha pugnalato alle spalle nel momento cruciale. Una figura, oltre che inaffidabile, umanamente ripugnante e di questo, credo, terranno conto anche gli altri partiti qualora volesse crearne uno suo. Secondo me Renzi, da oggi, è un appestato da cui restare alla larga.

Beppe Grillo ha sbagliato la prima mossa. Se invece di affidarsi alle troppe astratte modalità delle cosidette 'quirinarie' avanzando il nome dell'inutile Gabanelli o dell'improbabile Strada, avesse proposto fin da subito uno dei nomi che stavano sia nella sua decina sia nella terna iniziale del Pd (Zagrebelsky, Caselli, Rodotà) Bersani non avrebbe potuto dirgli di no, poichè erano i 'suoi' nomi, e Silvio Berlusconi sarebbe stato messo definitivamente nell'angolo. Invece ha perso due giorni durante i quali il Cavaliere e il leader del Pd hanno potuto preparare l'inciucio. Deve imparare a conoscere meglio i tempi della politica, che possono essere lentissimi ma, quando occorre, anche fulminei. Adesso ci puo' riprovare con Rodotà, ma non è la stessa cosa. Perchè prima era Bersani a proporre e Grillo ad aderire, ora sarebbe Grillo ad imporre e Bersani a dover subire. E non è detto che dopo aver ricevuto un primo schiaffo voglia prenderne anche un secondo e proprio da Grillo che è inviso a buona parte dei democratici che sanno benissimo che nel progetto di 5Stelle c'è di spazzar via tutti i vecchi partiti, e quindi anche il Pd, e non solo Berlusconi. Comunque, in cuor suo, Grillo si augura che alla fine l'inciucio fra Pd e Pdl si faccia e che formino insieme un governo che gli sputanerebbe davanti ai propri elettori., Un governo che date le infinite incompatibilità fra i berluscones e quel che resta della sinistra, durerebbe pochi mesi durante i quali 5Stelle avrebbe le mani libere per continuare a sparare a palle quadre contro la democrazia dei partiti. E alle successive elezioni prenderebbe il 50 o il 60% dei voti completando cosi' l'operazione iniziata con la tornata di febbraio. La partitocrazia avrebbe concluso finalmente un ciclo ignominioso durato trent'anni.

Quanto a Rodotà non mi sembra molto diverso da Marini. Non solo perchè ha 80 anni come lui, ma perchè, deputato del Pci nel '79 e poi del Pds nell'83 e nell'87, presidente del Pds nell'91-'92, lo abbiamo sul gobbo, come personaggio della Prima e della Seconda Repubblica da più tempo di Franco Marini. Non rappresenta certo «il nuovo che avanza».

Massimo Fini

Il Gazzettino, 19 aprile 2013